martedì 11 dicembre 2018

Oman 33 - Al Hamra e le oasi di montagna


Case di Al Hamra

Nizwa - Mercato del venerdì
Io, avendo dentro di me l'animo del mancato viaggiatore, ci sarei stato tutto il giorno tra i vecchi con le barbe fluenti ed i ragazzi nelle eleganti dishdasha candide a contrattar capre, commentando tra vicini, sulla lunghezza delle corna e le dimensioni delle mammelle, ma la vita del turista è dura e segnata da scalette imprescindibili. Bisogna alzarsi ed andare senza troppi pentimenti, due datteri, un'altra piccola sorta per permettere a Iapo di ingollare un tre etti di tonno al vapore per colazione e per un ultimo giro nel suk, un mercato calmo e tranquillo con poca gente che gira tra i negozi, dove stanchi gestori sorbiscono tazze di thé sorridendo distrattamente all'eventuale avventore che si aggira buttando occhiate di convenienza alle scansie di oggetti di provenienza per lo più orientale. Tuttavia non puoi negarti una sosta prolungata al cortiletto dove si svolge il mercato dei piccoli animali, conigli, polli, cavie e soprattutto uccelli colorati, esposti in minuscole gabbiette attorno alle quali si affollano uomini dai cappellini ricamati, calcati fino alle orecchie o di sghimbescio sul cocuzzolo, che osservano e scrutano con interesse quelli dalle piume più smaglianti o che sembrano cantare le canzoni migliori. Forse anche quaggiù tra le sabbie del deserto o nei gazebi tra le case, la sera, mentre l'ombra della notte avanza, portando con sé la frescura della brezza marina che subentra alla soffocante calura pomeridiana, è dolce fumare il narghilè alle note flautate dell'usignolo, mentre qualcuno ti racconta storie di terre lontane.

Misfat al Abryyn
Lasciamo la città nello scarso traffico di metà mattina, uscendo dal grande parcheggio del mercato tra altri pickup, carichi di capre appena acquistate o di balle di fieno, che tornano ai vari villaggi e riprendiamo vie tortuose che vagano nell'ampia vallata ai bordi delle alture fatte di rocce aguzze e taglienti, tra ciuffi di acacie e palmizi rigogliosi della serie di piccole oasi che si susseguono sfruttando l'umidità dei terreni pedemontani. Passiamo ancora una volta nei pressi della caverna di al Hoota ed infine dopo Al Hamra prendiamo uno stradino laterale che si inerpica per uno stretto vallone di rocce strapiombanti. In cinque o sei chilometri siamo già a mille metri di altezza e dopo un ultimo costone, tra le tante sfumature di ocra che colorano la valle, compare una macchia verde di palmizi arroccati su una serie di terrazzini che occupano tutto il bordo della montagna ed i suoi anfratti. Ad una prima occhiata quasi non noti le case così mimetizzate e dello stesso colore dei monti circostanti. Siamo arrivati all'oasi di montagna di Misfat al Abriyyn. Questo, come pochissimi altri insediamenti vicini, è rimasto quasi completamente integro a rappresentare quello che era il volto dell'Oman del passato. Anche qui, un paio di decenni fa, gli abitanti hanno cominciato ad abbandonare il villaggio per trasferirsi nelle nuove e comode case che il sultano aveva costruito per loro più a valle ed anche questo abitato antico era destinato, come gli altri a cadere in rovina.

Nell'oasi di montagna
Lo ha salvato il turismo, che ha cominciato ad arrivare da queste parti, affamato di sapori antichi e di vedute da cartolina. Così qualcuno ha cominciato a ritornare ed a risistemare le case che oggi forniscono ancora un colpo d'occhio notevole e testimoniano uno stile di vita basato sullo sfruttamento estremo ed intelligente del pochissimo disponibile. Ricorda un poco quelle oasi di montagna dell'Atlante tunisino, come Mides, incuneate tra le spaccature dei monti scavati da wadi turbinosi, che hanno lasciato nel monte, sorgenti nascoste. Ma la terra a disposizione è pochissima e, nei secoli è stato necessaria un'opera costante e faticosissima per costruire una serie infinita di microscopiche terrazzine collegate da scalinate scoscese e da una inestricabile rete di falaj che portasse l'acqua dalla fonti lontane, più a monte. Così l'abitato e gli orticelli, anche di pochi metri quadrati, si dipanano per più di duecento metri di quota lungo i fianchi del canon, alternati alle casette, molte delle quali, adesso, ancora abitate. Anche se il caldo meridiano è forte, siamo sempre in quota e l'ombra dei palmeti è amica, permettendoti di girovagare a lungo per queste balze ripide e labirintiche. Ad ogni svolta un nuovo punto di vista, tra quinte di antichi muri, ponticelli sospesi o improvvisi slarghi tra gli alberi che mostrano la valle lontana e avvolta nella nebbiolina azzurra della calura che la avvolge. 

E' terra di silenzio, rotta forse soltanto da qualche raglio di un asino, disturbato e distolto dal mucchio di fieno che riempie una greppia fatta di legni corrosi dal tempo. Qualche bambino, ce ne sono ancora anche qui, corre nella polvere, ma circondato da un silenzio surreale. Potresti arrivare fino in fondo alla spaccatura, dove ormai le case non ci sono più, perché i saggi sanno che ogni tanto, anche se sempre più raramente, arriva qualche pioggia rovinosa e dall'alto del monte scenderà una massa di acqua e fango incontrollata a cancellare, soffocandolo, il lontano greto del wadi sottostante e che spazzerà via tutto quello che trova portandolo nel cono di deiezioni, laggiù nella piana, che sia uomo, bestia, pianta o soltanto massa di pietra trascinata lungo il precipizio dalla furia degli elementi. Cammini invece tra le case di fango e pietre, qualcuna un po' cadente, altre rimesse in sesto a rammentare cosa era il paese di un tempio. Quasi in cima, un negozietto è dotato di un ampia terrazza, ideale per una sosta davanti ad un vasto panorama sulle rocce digradanti al'infinito. L'amico di Iapo, sta lì apposta ad aspettare i radi, per lo meno in questa stagione, visitatori, tutto è pronto per riposarsi un poco sui cuscini, sorbendo un thé profumato, gustando qualche dolce dattero di montagna e soprattutto provando le diverse varietà di miele che il luogo mette a disposizione. Insomma anche qui le api operose fanno il loro mestiere e l'assaggio è un'operazione quasi obbligatoria che fa parte del piacere della tranquillità che ti circonda. E'di certo più faticoso risalire sulle auto per riguadagnare il piano, che da qui sembra potersi toccare soltanto allungando un braccio.

Vie di Al Hamra
Ma appena arriva sotto, devi fermarti ad Al Hamra, che avevi solo sfiorato salendo, la città di terra, forse l'unica rimasta ben conservata che mostra per intero la sua caratteristica bellezza. Quasi tutte le case sono state abbastanza bene mantenute. Questa era una località piuttosto importante lungo la via interna del nord e le case del centro sono alte anche due o tre piani e le vie strette e contorte riescono a mantenere un'ombra benedetta che ti consente anche nelle ore centrali della giornata di passeggiare agevolmente tra le alte case in pisé, la terra cruda mescolata a paglia e qualche pietra, tipica delle architetture dei deserti. Oggi non c'è quasi nessuno in giro, potresti avere la sensazione di vivere questo luogo all'indietro di uno o due secoli se non fosse per qualche filo della luce che passa in alto da una casa all'altra, veri e propri palazzi, e qualche auto parcheggiata negli anfratti dietro gli angoli, quasi ad ostruire completamente le vie. Questo è l'Oman del passato, quando tutte le città del paese erano costituite da un insieme di case castello di ocra chiara che si confondeva col colore del deserto, circondata dal verde polveroso del palmeto. E' una sensazione di antico che puoi provare soprattutto se ci arrivi nelle stagioni di mezzo, quando il caldo è ancora forte ed il turista merce rara. Diverso forse l'impatto, se ti devi fare largo tra le folle di Natale e Capodanno. 

Per le scale
Proprio in mezzo alla città il Bait al Safah, il palazzo più imponente e meglio conservato, che ospita una sorta di museo vivente delle tradizioni. E' una casa conservata perfettamente con tutti i suoi arredi che puoi vedere un ambiente dopo l'altro. Salire le strette scale di terra dagli alti gradini ti porta ai piani superiori, dove si aprono ampie sale coperte di tappeti. Alle pareti foto sbiadite di tempi ormai scomparsi, uomini dai grandi turbanti, gli alberi genealogici della famiglia, masserizie ed oggetti di uso comune sparsi come se la casa fosse ancora abitata attualmente. In una sala laterale, una donna spreme con fatica l'olio dai semi della moringa, una pianta che abbiamo già conosciuto in Etiopia, poi tosta i chicchi del caffè con rudimentali strumenti, infine cuoce un pane stendendo una sorta di piadina sull'apposito attrezzo. Come sono simili, gesti e forme di luoghi tanto lontani nello spazio. Le mani schiacciano la pasta e la rivoltano a lungo per renderla più morbida e collosa. Potrebbero essere quelle coperte di bracciali di avorio di una donna rajastani o quelle nocche ossute che ho visto sugli altipiani Abissini, ma anche le dita grassocce di qualche rasdora emiliana, alle prese col bolo da tirare a sfoglia. Il mondo delle donne è così uguale dappertutto e lo stesso è l'amore che le unisce, nell'impasto che diventerà cibo per i suoi cari, per fare crescere una successiva generazione e questo per secoli e secoli. Forse oggi si è rotto un ciclo ma l'impasto, però, continua a farlo il Bimbi di là nella nostra cucina, certo più bianca e luminosa.

Preparando il caffè
Il ragazzo che ci racconta queste ed altre storie, è gentile e apparentemente contento di spiegarle a gente che arriva da lontano, ma anche lui appartiene già ad un altro mondo, che queste storie non le vive più, ma può solamente narrarle. Di certo non sarà romantico ma sicuramente per lui è meglio così. Questo passaggio è sempre accaduto fin dalla notte dei tempi, oggi tutto ciò è molto più rapido e avvertibile, ma segue un filo consueto e naturale. Questa rapidità per certi versi angosciante, fa sì che ce ne accorgiamo, spesso, a torto, ce ne crucciamo, ma la storia va avanti comunque, bisogna farsene una ragione. Certo che è bello rimanere qui sdraiati a terra su cuscini e tappeti, nella penombra colorata dai vetri delle finestrelle in alto, mentre l'aria traspira tra le persiane di legno socchiuse e l'aroma del caffè esce dal bricco. I datteri sembrano più dolci, le parole più leggere, gli affanni rimangono fuori, anche loro asciugati dal caldo e dall'afa del giorno. Le spesse mura di terra isolano dal resto del mondo, puoi parlare a lungo, sottovoce, di palmeti e bestiame, di dromedari da corsa, allevati nel deserto per il piacere della gara. Oppure puoi spiegare al nuovo amico, che sogna soltanto di venire a visitare l'Italia, cosa non perdere in un paio di settimane serrate tra Firenze, Venezia, Roma e Napoli, perché ormai il tempo corre per tutti, per i dromedari nel deserto, come per le auto che devono tornare verso la capitale, e non lo misura più il sole che scende dietro le dune, ma soltanto le lancette di un orologio cinese.

Una sala del Bait al Safah

SURVIVALKIT

Lungo le scale di Misfat al Abryyn
Valle di Nizwa - Questa è l'area che presenta i maggiori interessi dal punto di vista della storia recente del paese e dove si possono ancora vedere i paesaggi e le architetture ormai scomparse nel resto del paese. Dopo Nizwa e il suo castello ormai completamente moderno ed il marcato del bestiame del venerdì, procedete nella valle verso nord dove incontrerete prima Tanuf, a una ventina di km, poi Al Hamra dopo altri 20. Questa città, la più completa e ben conservata old city del paese, ha ancora tutto il vecchio centro costituito dalle vecchie case in argilla, che sono veri e propri palazzi e danno l'idea reale di quello che erano le città omanite, soltanto pochi decenni fa, prima dell'arrivo del petrolio. Non dimenticate di visitare la casa museo Bait al Safah, interessante anche per le dimostrazioni che figuranti in costume mostrano all'interno. Da qui procedendo verso monte per una stretta stradina di 6 km, a destra, raggiungerete l'oasi di montagna di Misfat al Abryyn, dove c'è attualmente una piccola guest house che vi permetterà anche di soggiornare in loco e se ne avete voglia, di fare uno dei molti trekking ben segnalati sulle montagne circostanti. Dopo un'altra ventina di km arrivate a Jebel Sham di cui abbiamo già parlato, il gran canon dell'Oman e punto più alto del paese. Prima di Al Hamra, invece, girando a sinistra verso sud arriverete a Bahia e al suo famoso castello la cui ricostruzione è piuttosto discussa. Comunque tutta l'area è ricca di piccoli paesi e oasi nascoste ed è una delle maggiori produttrici dei famosi datteri omaniti.

Eventualmente se servono

Datteri freschi
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28 - Dal barbiere

Mercato degli uccelli







Preparando il pane




2 commenti:

John Kalthle ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Anonimo ha detto...

magnifique photo de la femme qui prépare le café !
Voilà encore un blog qui nous donne envie de visiter ce pays .Merci .
Jac.

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