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I templi di Mrauk-U - Rakhine - novembre 2014 |
Ancora un ricordo della martoriata terra del Myanmar e di una sua regione remota e poco conosciuta, lo stato periferico del Rakhine, noto per una tragedia nella tragedia quella del popolo Rohinga, sottoposto dai buoni buddisti birmani, tutti ben solidali tra di loro, ad una spietata pulizia etnica. Questa regione nasconde tra le sue foreste le preziose gemme dei templi di basalto nero di Mruak -U, certamente una suggestione indimenticabile. Qualche giorno da queste parti rappresenta una esperienza che non può lasciare indifferenti e mi riporto volentieri a quel momento, di un'alba gravida di umidità, dalla quale emergono soltanto le cime degli alberi della foresta. La collina è una tra le tante dietro il paese, ma un po' discosta, la più alta e solitaria. La vegetazione è fitta, alberelli di foglie larghe e spesse, erba alta, arbusti e canne. Mya Than è avanti e, dopo aver lasciato la stradina che porta ad un gruppo di capanne isolate, prende un piccolo sentiero che sale deciso verso l'alto. Mi ha promesso un posto unico, di quelli da non dimenticare. Non piove più, ma il verde è ancora coperto di goccioline che scivolano a terra quando sfiori i rami più bassi. Bisogna farsi largo anche con le braccia, Dopo poco non vedi più niente intorno, tutto è sovrastato dal rigoglio della natura. Soprattutto stai attento a non prendere qualche spina e a non scivolare, mentre la salita diventa sempre più faticosa e la luce a poco a poco si affievolisce. La via però non è così lunga come sembrava, dopo una mezz'oretta di zig zag nel bosco, la guglia dorata di una piccola pagoda spunta già tra le frasche, ancora un piccolo sforzo poi, solo gradini antichi e sbrecciati, mattoni rossi corrosi dall'acqua e dal tempo su cui devi appoggiare il piede con cura per non smuoverli troppo. L'ultima parte della scalinata è più larga, ti fa intravedere come doveva essere stata pensata dal suo costruttore. Forse un tempo tutta la parte terminale del rilievo era ricoperta di mattoni e di scalinate per accedervi. Due grandi parapetti a foggia di serpente ne seguono ancora l'ultima rampa, poi un largo spiazzo orizzontale che taglia di netto la cima della collina. Al centro lo zedi della pagoda, alto una decina di metri, presenza aliena nel bosco, con la sua liscia superficie dorata e il h'ti terminale, l'ombrello di metallo da cui pendono decine di campanelle.
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Templi di Mrauk U |
Il luogo è deserto, nessuno arriva più quassù; attorno, tra i piccoli stupa che fanno corona alla costruzione centrale, non c'è più traccia di offerte, di incensi e dei piccoli lumi lasciati da fedeli premurosi. Le statue non sono avvolte da mantelli di stoffa, che mani osservanti pongono di solito a protezione della divinità durante la stagione più fresca. Tutto appare abbandonato eppure ancor vivo, mentre giri attorno alla costruzione, poggiando i piedi nudi sulle piastrelle sconnesse. Il punto domina la vallata e ti puoi mettere tranquillo lungo la balaustra ad osservare lo spettacolo che sotto e di fronte a te si sta preparando. Una foresta verde scuro, fitta di alberi bassi, resa quasi lucida dalla pioggia recente, copre tutta la valle, punteggiata qua e là, su ogni piccolo rilievo o minima sporgenza, delle cupole nere di decine e decine templi, alcuni grandi e isolati, altri raccolti a gruppi come a farsi forza l'un l'altro, come piccole campane di pietra messe a segnare un territorio, a dimostrare presenza e fede. Qualcuno è circondato di bassa erba verde su cui indovini gruppetti di animali al pascolo, altri sono sul bordo di piccoli specchi d'acqua che gli avvallamenti del terreno hanno raccolto nel tempo, altri ancora rimangono avvolti dal verde, ne vedi spuntare solo le punte orgogliose, che pretendono attenzione. Le capanne di Mrauk U sono sepolte nel bosco e non vedi quasi traccia, tranne quelle affiancate alla strada principale, il centro ed il mercato sono fuori dalla vista, dietro una collina più alta. Indovini la presenza umana solo dai fumi che cominciano ad alzarsi tra le cime degli alberi. Sono i fuochi delle cucine che le donne, appena ritornate dai pozzi con i grandi contenitori di alluminio pieni di preziosa acqua pulita, hanno acceso in attesa di preparare la cena.
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Fuochi della sera |
Intanto il sole scende tra le colline più lontane mentre tutto il cielo, variegato di nubi piatte, si incendia. La foresta è muta, senza rumori. Nell'aria, appena spira un refolo del vento della sera, senti il tintinnare del bronzo delle campanelle, l'unico fremito che non ti lascia solo di fronte a questo palcoscenico preparato solamente per te. Guardi il sole che scende dietro l'ultima collina, come ipnotizzato, fino a che l'ultimo barbaglio arancio non manda una residua lancia di luce, un rantolo di vita che sa di poter rinascere domani e quindi lascia questa scena con gioia. La luce scende di colpo, lasciando tinte rosa nel cielo che virano subito all'indaco e al viola. La foresta è già scura. Bisogna tornare in fretta, ripercorrendo i passi già fatti in discesa. Il percorso è breve, lo fai senza affanni, rimane anzi il tempo per fermarsi di tanto in tanto ancora un attimo a godere di quella vista grande, delle ondulazioni ormai nere del fondo, dell'orizzonte spezzato dalle guglie di pietra, dei ruderi abbandonati lungo la via. A metà strada, un antico tempietto in rovina, la cupola è crollata, rimane solo l'oscuro ingresso alla cappella, dove forse intravedi sul fondo il sorriso consapevole di una grande statua di pietra. Che fascino solitario quel cunicolo abbandonato tra le rocce coperte di muschio. Accendi la pila, basta superare la soglia e il piccolo corridoio segreto è lì col suo richiamo irresistibile. Da quanto tempo nessuno entra ad onorare il Buddha? Mya Than mi mette una mano sul braccio: "Meglio non entrare, tra le rocce solitarie fanno la tana i serpenti". Scendiamo in fretta, soprattutto guardando a dove si mettono i piedi.
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