sabato 31 agosto 2024

Caucaso 19 - Grotte e chiese

Ingresso della chiesa - Mtskheta - Georgia - maggio 2024


Grotte di Prometeo

Diciamo pure che questa volta il plof non ha lasciato traccia e la notte è passata tranquilla, quindi nella ennesima mattina piovosa, si parte in auto, lasciandoci alle spalle una Batumi piovosa e un po' triste, come tutte le città di mare fuori stagione, con le sue architetture criticabili, ma comunque divertenti da vedere. La fantasia in fondo non è mai da criticare e anche se è un po' trash, pazienza. Ripassiamo tutto il lungomare, al mattino è ancora più deserto; Alì e Nino continuano a ruotare su se stessi compenetrandosi in quel bacio senza fine per poi distaccarsi in uno struggente desiderio di possesso destinato a non essere mai realizzato e così anche noi lasciamo infine la città lasciandoci alle spalle quel desiderio che mi aveva preso al vedere quel confine turco così vicino e così facile oggi da scavalcare, per raggiungere la vicina Ani, con le sue maestose rovine e rivederla dopo 44 anni, così come non lo avrei mai immaginato e tornare a percorrere quelle strade anatoliche, allora sterrate, oggi chissà! A quel tempo solo soldati che ti accompagnavano vicino a quel proibitissimo confine, che mi appariva come barriera ad un mondo lontano e misterioso, che non avrei mai pensato di girare poi in lungo ed in largo, oggi invece decisamente più semplice, coi problemi di allora che si sono spostati più a nord. Il mondo cambia, le percezioni anche, rimane solo la nostalgia del tempo che non può più ritornare. 

Il fiume sotterraneo

Considerazioni nostalgiche e un po' sciocche mi direte voi, cerca di essere più concreto. E' vero, ma che mondo disperato è questo che ha sempre bisogno di doganieri baffuti, di cavalli di frisia per dividere fratelli, di armi spianate per minacciarsi a vicenda morte certa, per ribadire di essere nella ragione assoluta di fronte a chi invece ha sempre torto a prescindere, destinato a diventare concime per fertilizzare questa terra, tanto poi lo sarà comunque qualche anno più tardi. Il nostro Sarkisjan, l'autista del mezzo che ci porta verso Tbilisi, è, come dice chiaramente il suo nome di origine armena, altro popolo disperato, tra cui ci troveremo domani, forse finito da questa parte del confine, per la casualità della storia o da un matrimonio o chissà, costretto alla fuga da uno dei rivolgimenti recenti accaduti in quella terra. Guida tranquillo sulla strada ora bella e quasi deserta, mentre io tento una conversazione, osservandolo con occhio attento, visto che porta lo stesso nome di un mio caro amico, nato a Milano, dopo che la nonna era sfuggita su una nave francese al grande massacro del 1915, che mi parlava sempre di questa sua terra perduta, verso la quale nutriva grande senso di appartenenza e nostalgia. Caro Sarkis, mi sa che penserò spesso a te nei prossimi giorni. 

La chiesa di Svetis Tskhoveli

Poi il nostro prende una strada secondaria tra le colline per arrivare ad una delle meraviglie naturalistiche del paese, le grotte di Prometeo. Già perché dobbiamo sempre ricordare che qui siamo nella terra dei miti e che, visto che qui la civiltà si è sviluppata con un leggero anticipo rispetto all'Europa, le storie del passato ci hanno raccontato che tra questi monti, Prometeo rubò il fuoco agli Dei per darlo agli uomini ed in effetti proprio qui davvero scaturì quella scintilla che illuminò la mezzaluna fertile e sparse la civiltà per il Mediterraneo. Per questo gli Dei saggiamente, lo punirono legandolo su queste montagne mentre le aquile gli divoravano il fegato, pena lieve per i tempi anche se eterna, condannato a ricostituirsi di continuo. Così proprio a lui è stato dedicato questo imponente sistema di grotte, scoperte una quarantina di anni fa. Ci arriviamo proprio cinque minuti prima della partenza del tour, stavolta abbiamo avuto fortuna, se no ci toccava aspettare un'ora e ci inoltriamo nella grotta con un consistente gruppetto di persone. Da un lato bisogna dire che dal più al meno, le grotte sono tutte bellissime, ma simili tra di loro, stalattiti, stalagmiti e rocce costruite dall'acqua goccia a goccia in milioni e milioni di anni, tuttavia come restare indifferenti a queste pareti spettacolari, sapientemente illuminate da luci cangianti e sfumate via via al tuo passaggio, alle decine di massi cui la fantasia ha dato il nome di animali e figure del mito.

Pulpito

Cammini su e giù per scale e passaggi stretti che si allargano poi di colpo nel comparire improvviso di sale dalle dimensioni spettacolari dalle pareti altissime, mentre ai tuoi lati scendono cortine di sottili concrezioni calcaree o robuste colonne tra frammenti che il tempo ha congiunto. Qui infatti, ci sono almeno quattro sale colossali che ti fanno rimanere a bocca aperta ed a sguardo all'in su; le luci poi, sono state dosate in maniera assai sapiente e nei vari punti di sosta c'è anche un accompagnamento musicale molto suggestivo. Nella sala del fuoco ad esempio, tra tambureggiamenti e fragor di buccine, i continui bagliori rossi che occhieggiano dietro le rocce colossali, richiamando di continuo la leggenda, sono assolutamente stranianti, con l'accompagnamento musicale ancor di più. Insomma c'è di che trarre la giusta soddisfazione ed inserire questa visita durante qualche passaggio nelle vicinanze di Kutaisi, in quanto direi che ne vale assolutamente la pena e la fatica del percorso e delle molte scale è ampiamente ripagata. Se poi approfittate anche della parte in barca sul fiume sotterraneo, la goduria sarà completa. Anche il nostro povero Prometeo, a parte il mal di fegato, sarebbe sicuramente contento dell'omaggio dedicatogli. Poi non resta che risalire sull'auto e riprendere l'autostrada in costruzione verso Tbilisi, lungo un amplissima e bella valle, verde come sempre. Anche il cielo si è schiarito e sorride, man mano che ci allontaniamo dal mare.

La navata centrale

Alla fine arriviamo a Mtskheta a una quindicina di chilometri da Tbilisi. La città è famosa in quanto alla confluenza dei due fiumi Aragvi e Mtkhvari, fu eretta nel IV secolo sul luogo specificamente scelto da Santa Nino, la prima chiesa della Georgia. Circondata da un lungo muro di cinta, tipico per le chiese fortificate del tempo, come tanti altri siti georgiani, il luogo è ammantato da leggende e racconti di stupefacenti miracoli che lo rendono meta di continui pellegrinaggi. Infatti sembra che qui un ebreo di nome Elia abbia portato la tunica di Gesù acquistata direttamente da un soldato romano. La sorella Sidonia, al solo toccarla, morì dall'emozione e non fu più possibile staccarla dal sacro vestito tanto che la seppellirono avvolta nella tunica stessa. Ora questa famosa tunica, chi ha la mia età ricorderà un famoso colossal storico (appunto La Tunica del 1953 con Burton e Victor Mature, il primo girato in Cinemascope), ebbe una notevole importanza oltre che dalle nostre parti nelle tribolate vicende e nelle lotte di potere all'interno della chiesa medioevale, sempre alle prese tra eresie di ogni tipo, infatti per decenni si sviluppò una forte diatriba sul fatto che Gesù possedesse o meno proprio questa benedetta tunica, infatti nel primo caso sarebbe stato inequivocabile segno di possesso materiale, peculiarità che quindi non doveva essere rimproverata alla chiesa, in contrapposizione invece nel caso contrario a tutti i movimenti pauperistici che vedevano proprio in questa bramosia di averi da parte del clero, la dannazione di un potere temporale nel quale dominava l'avidità e la corruzione. 

Fedeli

In questa lotta, nella quale i sostenitori della povertà assoluta, riconosciuta come unica strada verso la vera spiritualità, ebbero quasi sempre la peggio, da Pietro Valdo, ai Catari, ai vari Fra Dolcino e a tutti gli altri massacrati o arsi vivi nel nostro medioevo, si salvò solamente Francesco, che molto più furbo degli altri accettò di subire la superiorità del resto della Chiesa Maggiore, ritagliandosi un suo spazio in cui far convergere coloro che riconoscevano nella povertà, la strada corretta. Vedete che complicazioni erano nate in quel tempo su un semplice lembo di stoffa. Intanto da queste parti, dove la tunica era stata intanto sepolta come un sudario salvifico attorno al corpo di Sidonia, proprio sulla tomba crebbe un colossale cedro che fu abbattuto nel IV secolo per far posto alla costruzione della chiesa, dopo che Santa Nino riconobbe la santità del luogo stesso. Ma dopo l'erezione dei sei pilastri che dovevano sostenere il tetto, quello messo al posto del cedro si sollevò da terra miracolosamente e solo dopo che la Santa passò tutta la notte in preghiera, vi ripiombò spargendo attorno mirra da ogni parte, che guarì all'istante tutti i malati convenuti in attesa dell'evento miracoloso, che puntualmente ebbe luogo per premiare i fedeli lì convenuti. Tanto è che la chiesa, rifatta nell'XI secolo, con ristrutturazioni successive del 1400, prende appunto il nome di Chiesa del Pilastro salvifico (Svetis Tskhoveli). 

Già l'ingresso nelle mura è assolutamente imponente e la costruzione che giganteggia al centro lo è altrettanto, di certo la più grande che abbiamo visto in Georgia. Le pareti alte danno all'interno un certo respiro e la luce del sole che penetra come un raggio divino dall'alto attraverso le minuscole aperture della cupola, una magia mistica davvero coinvolgente che raggiungere il suo apice quando vanno a colpire direttamente il famoso pilastro del miracolo attorno al quale si affollano i fedeli, alcuni guidati da un grosso pope dall'aria gigiona che impartisce benedizioni a destra e a manca. Altro punto di grande interesse sono i numerosi affreschi ancora ben distinguibili sulle pareti e sull'abside, sui pilastri e sulle volte, nonostante il tempo ed i danni dell'umidità, oltre alle tante bellissime e molto venerate icone sparse per tutta la chiesa, oltre che sulla maestosa iconostasi. Davanti ad un'abside secondaria completamente occupata da un gigantesco Cristo Pantocratore che abbraccia simbolicamente l'intero edificio, una fila di anziane donne appongono ceri accesi che illuminano l'ambiente circostante di una luce gialla e coinvolgente; tu senti solamente il mormorio delle preghiere, mentre il raggio che fende la chiesa dall'alto si mescola a questo chiarore soffuso come se il cielo vi rispondesse direttamente. Una incredibile sensazione.

La base dle famosso pilastro

La religione ha senza dubbio una potenza di coinvolgimento che non ha uguali e bisogna necessariamente concludere che sfruttando questa forza è davvero facile controllare i popoli e coinvolgerli a qualunque fine, tanto che anche oggi, pur dopo una fase illuminista e rivoluzionaria che ha coinvolto larga parte dell'umanità se ne vedono tracce consistenti dappertutto con tutti i danni conseguenti, purtroppo. Passiamo ancora davanti al famoso pilastro, posto vicino ad un pulpito mirabilmente ricoperto di pitture e continuiamo a girare per gli angoli più nascosti della chiesa, attenti a non calpestare le tante pietre che racchiudono tombe di personaggi che hanno fatto la storia del luogo. Mi piace osservare la devozione della gente che rimane davanti ad una icona o con lo sguardo rivolto ad un grande affresco; chissà quali sono le sue pene delle quali qui cerca consolazione. Quando poi esci passando sotto il nartece che prolunga il senso di sacro all'esterno, sulla vasta spianata, ti volti indietro per abbracciare ancora una volta con lo sguardo la grande costruzione, un pezzo architettonico indubbiamente di gran pregio e ti fermi ancora lungo le mura per apprezzarne la vista complessiva, le alte mura laterali, le facciate successive ricoperte di fregi e sculture, come sempre di grande raffinatezza, lo schema tripartito delle navate che si ripete nei corpi successivi fino alla cupola centrale dodecagonale di pietra policroma, sormontata da un ardito cono di tegole scure. 

Davvero una costruzione che non lascia indifferenti. Lontano sulla collina, un piccolo monastero che sovrasta la valle e ne corona la cima, verso il quale muoveremo presto il passo. Usciamo sulle mura esterne e veniamo subito avvolti da un profumo celestiale. No, non si tratta di aromi divini, di balsami sacri che ammantano sepolcreti di incensi ed unguenti delicati, ma di uno straordinario ed avvincente profumo di pane appena sfornato che in un negozio prospiciente la strada, un anziano fornaio sta estraendo, un pezzo alla volta, con un movimento antico e sempre uguale, da un forno tradizionale, deponendolo via via su un bancone, ancora bollente. Mentre il pane fuma, sembra di sentire ancora il croccare della crosta delicata, lo sbriciolarsi dei bordi cicciotti e caldi, da scottarti le dita. Va bene la carne è debole e cede di fronte all'arte, ma accidenti che spettacolo quel pane fragrante che addenti con foga mangiandolo a grandi bocconi, anche perché oggi, bisogna dirlo, ancora non abbiamo toccato cibo! Così seduti sul muracciolo millenario ci sgranocchiamo un pane a testa, così senza companatico, buonissimo da solo, senza bisogno di accompagnarlo con null'altro che non la nostra soddisfazione di stare vivendo un momento magnifico. I palazzi della fede, nella loro bonomia, ci benedicono, in fondo siamo pur brava gente.



Pope


SURVIVAL KIT

Grotte di Prometeo - A circa 20 km da Kutaisi, raggiungibili facilmente anche da Tbilisi o da Batumi (circa 3 ore in auto). Si può arrivare in taxi o marshrutska. L'ingresso è di 20 Lari + 15 per il giro in barca optional. I tour sono solo guidati e partono ogni ora per un percorso di circa 1800 metri ed eventuali 300 metri in barca su un fiume sotterraneo. In ogni caso alla fine del percorso si esce una quarantina di metri più in basso attraverso un tunnel scavato nella roccia ed una navetta gratuita riporta al parcheggio dell'ingresso. Calcolate circa un'ora per la visita. Si può unire la visita ai sanatori abbandonati di Tskhaltubo o ai monasteri di Jvari e Svetistskhoveli se arrivate da Tbilisi.

Mtskheta - Cittadina situata in una magnifica posizione alla confluenza di due fiumi, a circa 15 km da Tbilisi. Da vedere innanzitutto il complesso della chiesa di Svetis Tskhoveli, patrimonio Unesco, famosa per essere oltre che il primo edificio religioso di questa importanza costruito in Georgia e quindi non mancate di salire fino al monastero di Jvari, sulla collina retrostante, dalla quale potrete avere una spettacolare vista sulla città.


Grotta di Prometeo
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7 -  Kazbegi

lunedì 26 agosto 2024

Caucaso 18 - Passeggiando a Batumi

Mare a Batumi - Georgia - maggio 2024


I delfini
Il cielo è scuro, il mare livido, la pioggia è sempre triste e non sa raccontare belle storie eppure questa viene raccontata proprio come la città dell'amore e tale vuole sembrare. In ogni giardino ci sono statue su questo tema, grandi cuori intrecciati, figure tenere che si baciano, cuori rossi serviti su vassoi di ferro battuto, ma se nessuno cammina per la strada tenendosi per mano, se tutti cercano di ripararsi alla meglio sotto cortine di fortuna, la spiaggia è triste, inclusa la statua di Medea, che quella caso mai avrebbe i suoi motivi, le panchine nei giardini vuote ed i chioschi attendono invano di servire freddi gelati a bambini che non piangono neppure. Tuttavia possiamo certo criticare questa città per le sue esagerazioni e la sua smodata voglia di diventare quello che forse non riuscirà mai, ma questa passeggiata ti racconta di chilometri di spazi pubblici che vengono regalati ai cittadini, pieni di alberi e di fiori, accessibile a tutti gratuitamente, con bar e luoghi di divertimento, di giardini curati e di panchine, piste ciclabili ed una bella spiaggia pulita anche se con questa pioggia che magari ti disturba, ma ci dobbiamo ricordare che siamo in un'area quasi tropicale e la pioggia deve essere di casa, se, tra le altre cose vuoi tutto questo bel verde che ti circonda. 

Nuovi palazzi

Certamente c'è anche il trash e le costruzioni di speculazione che già si sbriciolano, ma anche quelle antiche e sovietiche che celebravano la grandeur del sistema, tutte interessanti da vedere, come ad esempio l'Octopus Batumi, il bar a forma di polpo rivestito di mosaici o le nuove realizzazioni celebrative come la grande torre illuminata dedicata all'alfabeto georgiano, alta 130 metri, con le sue pareti in traliccio su cui si stagliano le lettere, su cui salire per ammirare i dintorni, oppure il nuovo grattacielo con la ruota panoramica o la fontana progettata per erogare direttamente chacha, cosa poi ovviamente non realizzata sia per il costo spropositato della grappa stessa che per i problemi di ordine pubblico che avrebbe procurato, vista la presenza della massa di russi notoriamente poco inclini a contenersi quando si parla di alcool. Insomma una città all'apparenza un po' matta, una specie di Disneyland fortemente voluta dal politico Saakhashvili, prima di essere cacciato, amatissima dai turisti russi a loro volta molto mal sopportati se non addirittura odiati dai locali che invece vivono ad un paio di isolati verso l'interno ancora nelle vecchie krushove che si stanno lentamente disfacendo, sottostando da decenni all'ingiuria del tempo. 

Panchine

D'altra parte per capire questo sentimento basta dare un occhiata alle sfilate delle panchine del parco che portano intarsiato in un bel legno più chiaro, proprio sulla seduta, la scritta Fuck Putin e non si tratta di un graffito, sono proprio state progettate così. Sulla punta del molo, non lontano dal faro costruito a somiglianza di quello antico di Sukhumi, nella vicina ma irraggiungibile Abkhazia, spicca un grande monumento mobile alto quasi dieci metri. Costruito nel 2010 dall'artista georgiana Tamara Kvesitadze, è un inno all'amore contrastato. I protagonisti sono due personaggi di un famoso romanzo georgiano, Ali un ragazzo povero e musulmano azero e la principessa cristiana Nino, che all'inizio del secolo scorso furono irrimediabilmente separati dalla guerra e che, novelli Romeo e Giulietta, si giurarono amore eterno senza potere mai ricongiungersi per la morte di lui. Le due grandi statue ruotano lentamente per poi riuscire a ricongiungersi lentamente compenetrandosi in un lungo bacio per poi separarsi nuovamente senza speranza, proprio a rappresentare il desiderio del superamento delle divisioni religiose ed etniche attraverso l'amore, argomento che in questo Caucaso dai cento contrasti e dalle guerre infinite, è quanto mai particolarmente attuale. 


Ali e Nino
E' intanto arrivato il tramonto e osservare queste due figure di acciaio che si attraggono l'un l'altra in questo movimento circolare fino a fondersi per un attimo prima di lasciarsi apparentemente per sempre, di fronte al mare, coinvolge assolutamente, come si capisce anche guardando i volti delle tante coppie ferme qui di fronte con il naso all'in su, che si stringono l'un l'altro, anche perché la brezza della sera è già un poco freschina. Per calarci il carico da undici poi, proprio sotto il monumento un piccolo gruppo di artisti suona una melodia struggente, il violino la infiora, il flauto la colora di malinconia; quasi quasi colano le lacrime. Poi caso mai ci si va a prendere un gelato sul molo, che qui li fanno i turchi e sono molto buoni. Adesso che è ormai scesa la sera andiamo a farci un giro nella città vecchia, che è uno straordinario misto frutta tra costruzioni d'epoca restaurate in modo "creativo" con aggiunte di certo molto criticabili secondo il nostro metro, ma che hanno creato una serie di edifici quantomeno interessanti da considerare, al fianco di altri moderni, ma costruiti secondo stili falsi e rigenerati, fino a creare un melange che ha comunque un suo lato assolutamente curioso. 


Torre dell'alfabeto

Naturalmente poi abbiamo anche le varie piazze di cui vi ho parlato, con le copie della fontana del Nettuno e tante altre curiosità che vanno viste più che raccontate. Tuttavia rimane molto piacevole passeggiare lungo queste vecchie vie di acciottolato umido e portoni di legno scolpito. Riusciamo a vedere la moschea molto colorata, che racconta di una terra che per tre secoli è stata sotto l'impero ottomano che qui ha lasciato molto della sua impronta islamica, mentre la Cattedrale è ormai chiusa e ci dobbiamo contentare della sua imponenza esterna. Niente da fare anche per la sinagoga, in quanto di ebrei, qui ne sono rimasti pochissimi, da quando alla fine dell'URSS la maggior parte ha scelto di trasferirsi in Israele. Bisogna comunque fermarci per un boccone e dobbiamo scegliere se provare una delle tante offerte di cucina locale, in quanto pare che questa abbia un tocco particolare rispetto a quella tipica del resto del paese. Sembra infatti che le khachapuri agiare siano assolutamente imperdibili a cominciare dalla Adjaruli, che dovrebbe essere nata proprio qui. Si dicono poi meraviglie della Lazuri che prevede l'uso di due tipi di formaggio, in sostanza spesse fette di sulguni che viene fatto fondere sopra al consueto strato di imeruli sottostante. 

La moschea

Se vi chiedete cosa significhi formaggio fuso sopra un altro formaggio fuso, bisognerebbe provarlo, si dice una delizia sibaritica per gli amanti caseari che non ha eguali. E poi ancora i Sinori, fatte di pane lavash (pensate alla carta da musica sarda) inondato di burro e ricotta, per non parlar del Borano, una specie di fonduta con ancora burro caramellato ed infine si dice che qui si mangi il miglior stufato di manzo possibile. Tuttavia noi siamo attirati, visto che con l'amico Gianluca, si stanno progettando scorribande senza limiti negli sconfinati spazi dell'Asia centrale, dal ristorante Altai che promette cucina genuina delle steppe. Infatti qui si mangia il più genuino plof possibile, un riso cotto con spezie, uvetta e carne, che teoricamente dovrebbe venire rimestato per ore in un gran pentolone, che secondo tradizione non si dovrebbe mai pulire. Devo dire che questo è un altro tuffo nel passato, di un tempo quando al termine di una lunga trattativa andata a buon fine fui invitato a festeggiare nella casa del nostro cliente a Taskent in Uzbekistan. In una grande corte c'era infatti proprio il pentolone, che troneggiava sul fuoco nero di fuliggine, con gli inservienti che rimestavano il contenuto di continuo e ne mangiammo molto visto che era buonissimo. 

La cattedrale

Non facemmo certo caso, dato il clima di festa che aveva contagiato tutti, alla quantità davvero importante di mosche che vi stazionavano sopra di continuo e che un ragazzino tentava di scacciare volenterosamente con un  scopino, né alla adiacenti latrine dall'altro lato del cortile, di certo precedente stazionamento delle mosche stesse. Il plof (da cui deriva pilaf) è un cibo comunitario che appunto deve essere presente in tutte feste, per consacrare amicizie e buonumore. Ci divertimmo molto tra canti e balli, visto che ad un certo momento in questi casi, dopo che la vodka ha cominciato a scorrere copiosamente, compaiono un paio di strumenti e tutti si mettono a ballare. Fu davvero un bel momento che ricordo ancora con piacere tra abbracci e rinnovate amicizie. Tuttavia nei tre giorni successivi dovetti sottostare ad una durissima punizione di Montezuma o di Tutankhamon o come diavolo si chiama da quelle parti, di cui oltre non vi dirò per non impressionarvi troppo, ma ricordo bene che è stata dura e questo non ha contribuito a farmi avere un buon ricordo di Taskent. Questo invece, servitoci con garbo e anche con un cero stile, è andato giù benissimo accompagnato anche da una buona zuppa che ha sapientemente riscaldato lo stomaco prima di andare a dormire.

Palazzi

SURVIVAL KIT

In giro

Cosa vedere a Batumi - Passeggiare sul lungomare, girare per il centro storico godendosi i vecchi palazzi liberty, quelli neoclassici o quelli sovietici, con i vecchi portoni in legno, dove vedere se sono aperte, la Sinagoga e la Moschea, tanto per capire che la Georgia non è monoliticamente cristiana; la piazza degli eroi; i baretti turchi sempre aperti; il museo Archeologico e quello etnografico della regione Agyara; la Cattedrale e la Chiesa di S. Nicola; il mercato centrale, non molto dissimile da quelli delle altre città. Fuori città, c'è il grande orto botanico, la collina raggiungibile con la teleferica (Agro cable car) da cui vedere la città dall'alto; gli scavi archeologici romani di Gono-Apsaros. In città provate a gustare la cucina agiara, gustosa e ancor più pesante della normale georgiana, con sovrabbondanza di formaggio e di burro. Bando ai trigliceridi, vi rimetterete a casa.

In centro a Batumi
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7 -  Kazbegi

sabato 24 agosto 2024

Caucaso 17 - Dalla montagna al mare

Al ghiacciaio Shkhara - Svaneti- Georgia - maggio 2024

Verso il ghiacciaio
E' mattino presto a Mestia e l'aria è molto frizzantina. Rinunciamo definitivamente alla colazione dell'Eden che abbiamo visto non essere indimenticabile e ce ne andiamo a piedi fino alla stazione degli autobus. Dietro di noi l'arco delle montagne sta manifestando tutto il suo splendore, proprio oggi in cui si preannuncia una magnifica giornata di sole. Ushguli e la sua valle magica e misteriosa sono lontane e anche il fronte del ghiacciaio Shkhara, che arriva a tre chilometri dalle ultime case è ormai alle spalle, un mondo davvero lontano dalle montagne comuni che incontri per il mondo e che non pensavo di trovare in questo Caucaso dei misteri e delle promesse. Le torri della cittadina sfilano alla nostra destra, quasi si siano messe in ordine per salutarci mentre le lasciamo per sempre, solitari soldati di una armata ormai desueta a guardia di un mondo perduto a cui non servono più allo lo scopo per cui erano state create mille anni fa, ma ancora utili oggi a nuovi scopi, quelli di mostrarsi orgogliosamente a chi viene apposta fin quassù per vederle ed apprezzarle ed allo stesso tempo portando un po' di soldi in questa asfittica economia di montagna che altro non spera, visti i chiari di luna. La marshrutkha è in orario come al solito e, pur essendo appollaiati in posti non troppo comodi, partiamo alle 8 in punto. 

La casa rovesciata

C'è il sole ma fa ancora piuttosto freddo e subito mi rannicchio, mettendomi addosso quanto ho a disposizione, un pile piuttosto spesso e la giacca a vento leggera che avevo tenuto a portata di mano, mentre a fianco a me un giapponese giovane e baldanzoso sta in ciabatte e maglietta. Ma questa è gente dura e pura che gira il mondo a scarpinare per sentieri di montagna, figuriamoci se abbada a coprirsi. Pelle dura e occhiali scuri, movimenti felpati da ninja, chissà quanto Himalaya si sarà già sciroppato con quegli occhi a fessura stretti e compressi, come chi si sforza dopo una settimana che non riesce ad andare in bagno, absit iniuria verbis! Comunque mentre si scende verso le valli più basse, non puoi fare a meno di rallegrarti per aver goduto della bellezza dello Svaneti, dei suoi monti e delle sue foreste, delle sue antiche case e della sua gente che lassù resiste inverno dopo inverno, anche se i ghiacciai dai fronti grigi e sassosi raccontano anche qui di un cambiamento inarrestabile ed ineludibile ritirandosi a poco a poco come anche loro delusi dal cambiamento dei tempi. Così gira questo mondo e poco ci sarà da fare, se non fermarci come all'andata alla stessa trattoria di posta dove fare pipì e poi risalire dopo aver sgranchito le gambe, per le altre quattro orette di viaggio. 

la spiaggia

Poi, più o meno giunti dalle parti di Jvari, dove abbiamo raggiunto la piana e il bivio, il nostro mezzo se ne torna a Kutaisi e noi cambiamo corriera e ci lanciamo verso il mare. Noti subito che qui è cominciato un altro mondo; paesi dalle case più nuove e moderne, auto numerose che affollano la strada; un'aria diversa insomma, quella che si crea quando improvviso, avverti che comincia a correre il grano. Infatti superato il fiume Rioni, che oramai ha il corso più calmo e lento di chi scorre nella piana senza quegli sconvolgimenti e salti di livello che hanno qui i corsi d'acqua quando lasciano le montagne, costeggiamo un grande lago o meglio lo stagnone di Paliastomi, una riserva naturale del parco di Kolkheti e arriviamo al mare, la riviera della Georgia, dove da tempo si è sviluppato una sorta di turismo che richiamava un tempo soprattutto i tanti sovietici bramosi di sud e di sole e che oggi tenta di aprirsi al turismo internazionale. Famose spiagge si susseguono, Shekhvetili, Kobuleti, Tsikhisdziri, accidenti ma come è difficile da pronunciare questa lingua. Quando, arrampicandoci sulla collina dove sorge il grande giardino botanico, capiamo di essere quasi arrivati, in parte per la coda di auto in cui ci troviamo imbottigliati e poi perché lontano sul golfo che compare all'orizzonte, intravedi subito i grattacieli di Batumi, quella che voleva essere la Dubai georgiana e capoluogo dell'Agiaria, l'estrema regione ad ovest del paese. 

Palazzi di Batumi

Già Batumi, l'antica Batoum, fu importante porto della Colchide e chissà se proprio qui approdarono gli Argonauti o poco più in su, in quell'Abkhazia misteriosa più vicino ai monti, che nascondeva tra le loro valli misteriose le pagliucole d'oro che si andavano ad impigliare nei velli delle greggi che discendevano a valle traversando i fiumi. Sia come sia, Batumi divenne il più grande e frequentato porto sia coi bizantini che col regno di Georgia verso l'anno 1000, che successivamente nell'Impero Ottomano. Oggi, a pochi chilometri dal confine turco sarebbe forse ancor più rilevante, vista la ferrovia ripristinata che corre alla periferia della città e che sta diventando vitale nel transito di merci tra Russia e Turchia, esageratamente aumentato con la guerra in corso, in cui l'orso russo necessita disperatamente di sbocchi e transiti percorribili per aggirare l'isolamento a cui vorrebbero sottoporlo. Così proprio qui la città si è sviluppata mostruosamente visto che si voleva creare in questo luogo un punto di attrazione che sfuggisse ai rigori religiosi dei vicini del sud ed alla durezza dell'ingombrante regime del nord, insomma un oasi libertaria dove si potesse dar via libera al peccato, leggi alcool, casinò gioco d'azzardo e  altro naturalmente. Insomma una sorta di città dell'amore, una Love city come venne subito battezzata. 

Orbi Hotel

Quindi via libera al cemento selvaggio, che tuttavia, non avendo a disposizione la montagna di petrodollari del Golfo, si è sviluppato un po' alla Dubai dei poveri, alla vorrei ma non posso, con una serie di costruzioni esagerate ma anche volgari e dalla qualità discutibile. Era da prevedere che si sarebbe gonfiata una bolla potente mentre le gru si innalzavano veloci e che forse avrebbe lasciato una selva di megacostruzioni non finite e destinate ad una trista decadenza, ma poi è scoppiata la guerra e una torma di giovani russi abbienti, in cerca di una soluzione per sfuggire alle trincee, hanno varcato massicciamente la non lontana frontiera e hanno cercato tra questi grattacieli soluzioni di sopravvivenza che comunque contribuiscono a mantenere viva e vitale la città, mentre il turismo ancora non decolla. Sono le due e ci abbiamo messo più o meno sei ore ad arrivare calando dai monti e qui possiamo dire di essere precipitati di colpo in una Las Vegas de noantri, con tutte le caratteristiche tipiche di questi posti, un po' cafonal come direbbero i nostri fighetti con la bocca a cul di gallina. Noi cerchiamo di raggiungere comunque il nostro alloggiamento che dovrebbe essere in riva al mare in uno dei palazzoni Orbi, ognuno di 54 piani che si affacciano su una spiaggia grigia e battuta dal vento, per un totale, almeno così recita un cartellone pubblicitario che incita all'acquisto, di un residence di 32.000 appartamenti! 

una facciata

L'indirizzo che ci avevano segnalato era sbagliato per cui trottiamo a lungo qua e la per trovare la nostra meta. La reception della vagonata di appartamenti da poco finiti è al piano 38, dove siamo accolti, con amichevoli "ehi bro", da un gruppetto di picciotti dall'apparenza furbastra e un po' mafiosa, che gestiscono il via vai di chi arriva, parlando in un anglo-russo alquanto bizzarro. Poi per la verità tutto funziona regolarmente e noi prendiamo possesso del nostro, al 35esimo piano, da cui si ha un bel colpo d'occhio su tutta la città. Intanto capisci subito che tutto in città è un po' anomalo. Pare che la metà di questi appartamentini siano vuoti ed in vendita e che uno studio viene via sui 6/7000 € tanto per capirci e pur essendo decisamente carini, anche perché sono appena finiti, qui i costi sono inferiori a tutte le altre città georgiane. Se vi piace insomma, il luogo più economico per venire in vacanza, anche se magari i corridoi sono ancora da piastrellare o gli ingressi ancora piuttosto indietro nelle finiture. Eppure in giro sulle spiagge che si prolungano all'infinito verso il confine turco, si continua a costruire. Usciamo subito per immergerci in questa realtà un po' folle, così diversa, diciamo pure opposta a quella dello Svaneti che abbiamo appena lasciato. La passeggiata è infinita, da qui alla punta centrale ci sono almeno un paio di chilometri, dal lato opposto più di quattro. 

Il colosseo hotel

Larga e contornata da bei giardini, costeggia una spiaggia di tipo riminese anche se ciottolosa, che, complice una giornata con tanta, tanta voglia di piovere, si presenta grigia e un poco tristanzuola, visto che non c'è quasi nessuno, anche perché, essendo aprile, l'acqua deve essere ancora un po' freddina, ma piacevole. Qualcuno si avventura fin sulla spiaggia un po' per toccare l'acqua, un po' per avere la sensazione della vacanza adriatica, tutto piadine e divertimento, tornando poi mestamente tra qualche traccia di stabilimento balneare ancora in fase di preparazione. Poi è tutto un seguito di chioschi, negozietti di souvenir semichiusi, gelaterie, attrezzature da mare e fornitori di altri generi di conforto in attesa che la stagione si dispieghi, almeno se mai lo farà. Dall'altra parte della passeggiata, oltre i giardini, per la verità molto ben tenuti, una ridda di costruzioni diciamo così fantasiose, che vanno dalle case apparentemente capovolte, a un colosseo bianco e piastrellato, una specie di torre di Pisa ma poco pendente, non si sa mai, una improbabile fontana del Nettuno bolognese nella Plaza all'italiana e ad una serie di grattacieli bizzarri e pretenziosi che tuttavia non mostrano gli slanci di fantasia progettuale di altri luoghi consimili. Intanto comincia a scendere una fastidiosa pioggerella, come se anche il cielo ce la mettesse tutta per farti apparire questo luogo come tristanzuolo e poco attraente, mentre in fondo non ci si starebbe affatto male col sole e una sdraio. Noi proseguiamo tra palme, panchine, fontane, sentieri e bar, lungo questo boulevard che pensate, è lungo oltre sei chilometri, con parchi divertimenti, delfinario e giardino zoologico. Vediamo dove riusciamo ad arrivare prima del tramonto!

Il mar nero a Batumi

SURVIVAL KIT

Orbi City


 Aparthotel Orbi City - New Boulevard -  Batumi- Li noterete subito essendo 3 parallelepipedi di 54 piani di taglio di fronte al mare. Appartamenti di varia metratura, con cucine e bagno, nuovissimi molto bene attrezzati, con AC, riscaldamento, TV, frigo, bagno bene attrezzato e ben funzionante con doccia chiusa. Cucina fornita e lavatrice. Adatto anche per lunga vacanza. Letto king, free wifi, cassaforte. Booking lo dà sui 40€, ma sembra che si trovino prezzi molto più bassi fino alla metà, perché ce ne sono moltissimi vuoti. 

Comunque in città si trovano un sacco di camere a 20 € e anche meno. 



La torre di Pisa


Al mare
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7 -  Kazbegi

venerdì 23 agosto 2024

Caucaso 16 - Tra le torri di Ushguli

Lo Svaneti

Torri

La macchina di Luka è scesa verso valle e ci aspetterà alla fine dei cinque paesetti che sono collegati da un sentiero carrozzabile. Noi cominciamo intanto a scendere adagio adagio lungo i sentieri fangosi e selciati che corrono tra le casupole dei paesetti che si allineano sotto la chiesa, cercando di non inciampare sulle pietre nascoste. Certo che il colpo d'occhio delle torri che spuntano tra le case di pietra, danno al panorama un aspetto irreale, quello di un regno di orchi ed elfi, popolato di esseri sconosciuti e minacciosi, forse in agguato dietro quelle porticine appena accostate o che ti spiano dalle finestrelle piccole e velate per non fare entrare il gelo dell'inverno. Rischi di scivolare ad ogni passo, per la mota che si è formata tra i sassi, spessa e grassa, fatta probabilmente non solo di terra, visto il continuo passaggio di piccole mandrie e di schiere di maiali che sguazzano qua e là grufolando in cerca di qualsiasi forma di cibo. Ogni tanto qualche figura, avvolta in pesanti pastrani, passa in fretta per sparire di colpo dietro agli angoli tra le case, quasi volessero sfuggirti, forse per timore, forse per preparare qualche agguato più oltre. Hanno, per quanto puoi scorgere, le facce dure, dai lineamenti marcati, dei popoli di alta montagna, dalle pelli consumate dal gelo dell'inverno e dalla ferocia del sole che col tempo scava rughe profonde a segnare visi vissuti da fatiche e privazioni. 

Casa museo

Non sono le facce belle e lisce, curate dai cosmetici delle ragazze di città, che tengono alla presenza accattivante condita da gote rosa, labbra rosse e mani delicate. Qui siamo sui monti tra i più aspri e solitari della terra e anche gli sguardi sono induriti da queste condizioni estreme, le mani callose per il troppo lavoro e gli insulti del gelo. Pensate ai tempi passati e mica da molto, quando si doveva pensare anche a guardarsi le spalle temendo da un momento all'altro che qualche parente lontano di vicini a cui la tua famiglia aveva fatto uno sgarro anni prima, una figlia non sposata dopo una mezza promessa, un campicello o un pascolo invaso da qualche bestia irrequieta e maleducata, arrivasse in forza con i maschi della famiglia a cercare soddisfazione, costringendoti a rifugiarti nella tua casa-torre per giorni e giorni, posto che avessi pensato per tempo a rifornirla di cibi, acqua e di tutte le altre masserizie necessarie. Insomma una vita dura, certo che anche le facce, gli atteggiamenti e le abitudini si sono via via incattivite. Si parla poco tra i vicoli di Ushguli e non ti resta che scendere adagio, guardando a terra per non scivolare, intorno per trovare la strada che scende verso valle ed in alto per goderti ad ogni angolo la nuova torre che svetta sopra le tua testa, come un monito o come un segnale che ti indichi la via. Tra le case, sopra una porticina malandata, un'asse sbilenco segnala la presenza altisonante di un sedicente museo etnografico. 

Daga svaneti

La gente si industria, se fin qui arriva qualcuno da lontano, perché non proporgli, tanto per integrare in qualche modo il magrissimo reddito della montagna, un locale ricavato in un'antica casa, in cui sono raccolti vecchi oggetti agricoli e pastorali, strumenti per lavorare lana e altre fibre, antiche vesti e mobili di un tempo neppure troppo lontano, ma anche robuste daghe che evidentemente avevano avuto un utilizzo non troppo pacifico, vista la lunghezza ed il peso. La signora che ci ha fatto entrare in quello che poi è un antro oscuro, ride mostrando una chiostra di denti piuttosto spettinati e carenti, la vita da queste parti non è facile neppure dal punto di vista odontoiatrico evidentemente, ma appare allegra e serena nonostante tutto, ci mostra i vari oggetti, tentando di spiegarcene l'uso, ma la nostra conoscenza della lingua svan non è sufficiente ad avere un punto di contatto soddisfacente, tuttavia l'interno dell'edificio, che poi altro non è che la base di una delle torri, è molto interessante, per la disposizione degli ambienti e per tutti gli oggetti che contiene, inclusi i diversi piccoli telai con cui venivano utilizzate le lane delle greggi allevate nei dintorni. La signora ci fa grandi saluti all'uscita e per l'emozione per poco non scivolo nel fango spesso della carrareccia che scende verso valle. 


Queen Tamar Castle

La frazione successiva, quella di Chvibiani, almeno credo così si chiami, ha anche un paio di trattorie di montagna e vista l'ora, ci si ferma a vedere cosa offrono. Beh qui sono ormai abituati ai turisti che passano e il Cafè Koshki ci propone su un grande tavolone comunitario una grigliata di carne piacevole anche alla vista, accompagnata da una khachapuri doppia, non vale la pena rinunciare, così ci rimpinziamo, solo naturalmente per recuperare le forze e fare fronte ai disagi della quota. Poi, sazi ma non domi, andiamo fino alla piccola altura successiva, dominata da un'alta torre nera, effettivamente un po' cupa e inquietante, Si tratta della cosiddetta Queen Tamar castle, così chiamato forse in onore della famosa regina che attorno all'anno 1000 fu personaggio di grande rilievo nel regno di Georgia, grande affermazione femminista del tempo, ricordata tutt'oggi anche come simbolo di affermazione della donna. Da questo punto innumerevoli sono i colpi d'occhio eccellenti sulle torri che si elevano sui gruppetti di case circostanti; è tutto uno crepitare di otturatori, anche se il cielo comincia a scurirsi, in montagna si sa il tempo cambia in fretta e bisogna essere pronti a tutto. Scendiamo velocemente dal rilievo, infilandoci tra le case, seguiti da due cani che ormai ci hanno preso evidentemente in simpatia anche se non disponiamo di niente di mangiabile per farceli amici.

Sistemazioni

Qui anche i cani dei pastori devono essere più feroci dei lupi dai quali devono difendere i loro armenti, per non parlar dei loro padroni. Ma questi si limitano a strusciarsi contro le nostre gambe e a cercare di leccarci le mani con occhi buoni. Questo deve essere il paesino che pochi anni fa è stato completamente spazzato via da una valanga, le pareti delle montagne intorno sono imponenti infatti; ci furono parecchi morti, ritrovati poi al disgelo in primavera. Solo le torri resistettero alla massa nevosa che si rovesciò tra le case, evidentemente i costruttori sapevano il fatto loro e se queste costruzioni sono ancora lì, ben in piedi dopo mille anni ci sarà pure un motivo. Intanto comincia a nevicare, tanto per farci capire dove siamo e cosa significa vivere tra questi monti in alta quota. Più che di neve si tratta di una vera tormenta che spira da monte portando con sé aghi di ghiaccio taglienti che sferzano il viso, mentre ci ripariamo alla meglio tra le case dell'ultimo paesetto, Murkmeli, molto oleografico da lontano, con le sue torri quasi artisticamente ben disposte nell'intreccio dei vicoli, meno mentre ci passi in mezzo cercando di ripararti alla meglio tra i tetti spioventi di pietra. Due vecchi stanno seduti in un canto protetto da una tettoia larga tra due case, senza parlare, guardano il cielo e quello che arriva dall'alto con occhi abituati, aspettando che arrivi la sera. Ci fanno un cenno di saluto, forse un poco stupiti dal vedere questi strani personaggi, che cercano di saltabeccare tra fango e pietre, riparandosi alla meglio dalla nevicata, invece di fermarsi e aspettare tranquilli che tutto passi, come del resto ha sempre fatto da secoli tra questi monti. 

Anziani Svan di Vittorio Sella

Piano piano arriviamo alla fine della strada, mentre allo stesso tempo smette di nevicare e riappare addirittura un raggio di sole, giusto in tempo per mostrare ancora una magnifica vista delle torri che ormai abbiamo lasciato in alto. La macchina di Luka ci aspetta lungo il torrente, è ora di tornare a valle. Torniamo verso Mestia godendoci il panorama dei boschi che si susseguono con toni di verde sempre diversi, sempre più intensi, lavati dalla nevicata che ha lasciato timidi spruzzi solo sulle creste. Vicino alla città vicino al ponte che scavalca il fiume che spumeggia ancor di più dopo le precipitazioni che qui sono state di pioggia fitta, c'è il grande Museo storico ed etnografico dello Svaneti (ingresso 20 Lari), da poco aperto che di certo merita una sosta. L'esposizione è molto ben fatta, a partire dai reperti preistorici, quelli che invece riguardano la storia più recente e quindi icone e oggetti religiosi salvati dalle vicine chiese e poi vestiti, armi, gioielli. Davvero molte cose interessanti e ben presentate. Infine in una grande sala, la mostra delle foto del nostro grande esploratore Vittorio Sella che fu tra queste montagne un secolo fa e che ci mostrano la vita di questo popolo isolato dal mondo, con una splendida serie di immagini. La gente che ti guarda attraverso la luce tenue della sala non è poi molto diversa da quella che abbiamo incontrato durante il nostro giro.

Nel museo

Sono gli stessi occhi, le stesse rughe che tagliano i visi, a raccontare di una vita dura e complicata allora come forse ancora oggi, nonostante tutto. Uomini barbuti dagli sguardi duri e cupi, ragazze con grandi fazzolettoni sul capo, donne invecchiate precocemente per la fatica dei lavori di montagna e per la cura del bestiame, tutti davanti alle porticine delle case di pietra che abbiamo appena lasciato adesso più a monte. Certo il bianco e nero un poco ingiallito di queste immagini raccontano del tempo che è passato, ma se riusciamo ad immaginarci i colori e le sovrapponiamo a quelle che abbiamo appena scattato noi, forse la forchetta degli anni tende ad annullarsi e ti fa capire come qui, secondo quello che sancisce la letteratura russa, cento chilometri non sono distanza e cento anni non sono tempo. Intanto scendendo a valle, il clima è migliorato decisamente e un raggio del sole che sta scendendo dietro le montagne illumina di traverso la chiesa che domina sulla cima della collina sopra la città, quasi volesse proteggerla. Noi salutiamo Luka e andiamo a finire la giornata in un ristorantino del centro, il Lile Bar, dove un paio di bellissime ragazze che di certo non hanno memoria delle loro nonne di quelle foto lontane, con i loro jeans fascianti e le camicette alla moda, ci servono spiedini di carne mista, pollo, maiale e vitello, patate e magnifici funghi al forno ricoperti di formaggio che ti rincuorano alla sola vista. 

Torri



Ushguli
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7 -  Kazbegi

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