Non posso dire che non mi sia piaciuto, insomma una cosa che si vede volentieri anche se è insopportabilmente lento, ma anche questa è una evidente scelta del regista, di cui riconosceresti la mano lontano chilometri. Comunque un bell'affresco napoletano di cui si devono apprezzare il macchiettismo e le esagerazioni, spettacolarmente disegnate da una serie impagabile di caratteristi molto bravi e dalle maschere scelte con molta cura, il tutto avvolto dallo sfondo di questa città e dal suo culto per Maradona, uno dei tanti santi dell'Olimpo circumvesuviano, di cui si spiega molto bene la natura e l'importanza e che forse chi non è di Napoli, fa sempre un po' fatica a capire. Un po' Amarcord, un po' Nuovo cinema paradiso da cui evidentemente trae molte ispirazioni e riferimenti, aggiunge note di amaro ad una descrizione troppo edulcorata, come si conviene alle opere largamente autobiografiche. Come sempre spettacolare la prova d'attore di Toni Servillo che recita soprattutto se stesso. Insomma ce ne fossero tanti d'altra parte è la vigilia di Natale e bisogna essere buoni con tutti. Peccato che gli americani non ci capiranno nulla e lo snobberanno sicuramente, anche se per carità, dato che pare che l'Italia sia di moda in questo momento, non si sa mai. D'altra parte avevano bocciato anche Pinocchio che è una fiaba talmente lieve e deliziosa che non poteva essere alla portata mentale di un paese così grossier da aver votato Trumpo.
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venerdì 24 dicembre 2021
Recensioni: Sorrentino - E' stata la mano di Dio
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lunedì 20 ottobre 2014
Recensione: L. Hallstrom - Amore, cucina e curry
Ogni tanto mi portano anche al cinema. Dunque ecco qua. Tratto da un romanzotto di Morais, dall'autore di Chocolat, ci si aspetterebbe un po' più di originalità, invece diciamo che questo gradevole filmetto ne ricalca in pieno soltanto stile e andamento. Confezionato con cura ed una certa eleganza a partire da una accattivante fotografia, con ottimi caratteristi a condire il tutto, segue un filone che ormai sembra imperare nello showbusiness, la cucina. Visto che ormai su ogni schermo televisivo non si parla d'altro e che i ragazzini sognano di fare lo chef invece che il calciatore, si è pensato di mettere insieme un buon prodotto di consumo, ben presentato, che paghi lì'occhio assieme al gusto come si conviene nei ristoranti che vogliono fare successo. L'esile vicenda, comprende un giovane cuoco indiano costretto a fuggire dalla sua terra con la sua famiglia, che si trasferisce in un idilliaco paesino francese, appunto nel mondo simbolo della cucina assoluta e dopo alterne vicende con la cattiva oppositrice che poi, finalmente affascinata si trasforma in buon mentore, mutandosi da strega infame in fata buona, incontra successo e amore e vissero felici e contenti. Passerete un paio d'ore gradevoli e moderatamente divertenti, perché comunque se sei un abile confezionatore di piatti raffinati alla fine anche con ingredienti banali, riesci a presentare un piatto piacevole. D'altronde ne abbiamo anche bisogno, non è obbligatorio produrre solo capolavori. Fatto apposta per andare bene sugli schermi di tutto il mondo, perché così si fa il successo globalizzato, piacerà di certo anche dagli Stati Uniti all'India, dove rivaleggerà di certo con Bolliwood. Almeno però dargli un titolo meno scontato, ma questo è solo un problema del distributore italiano.
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domenica 13 luglio 2014
Recensione: F. Coppola – Un'altra giovinezza
Un film curioso e interessante. Tratto da un racconto di
Mircea Eliade, il noto studioso di mistica orientale, racconta la storia o il sogno di un anziano professore rumeno che, negli anni che precedono la seconda
guerra mondiale, a causa di un fulmine riacquista la giovinezza perduta, oltre
ad altri poteri mentali straordinari. A
parte le avventure che ne conseguono, tra Romania, Germania nazista, Francia e
Svizzera, rimane centrale il tema dell’amore per una donna creduta perduta per
sempre, che ritorna in un ciclo metempsicotico di rinascite che lo conducono in
India alla ricerca delle origini del linguaggio dell’umanità. Una vicenda
intricata che si dipana in spirali che si inseguono, fino a ritornare ad una
fine-inizio che lascia la soluzione aperta alle interpretazioni di chi crede e di chi no. Bravi e credibili
gli attori e anche la sceneggiatura. Si può vedere.
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venerdì 11 luglio 2014
Recensioni: Wargnier - Indocina (1991)
Un bellissimo film del 1991 con una splendida Catherine
Deneuve, che deve tassativamente vedere chiunque programmi un viaggio in
Vietnam. Infatti tutta la vicenda si svolge con lo sfondo magnifico dei
paesaggi più belli di quel paese e ne percorre la storia della prima parte del
secolo scorso. Amori tragici e impossibili, la morsa crudele di un colonialismo
spietato, i prodromi di una lotta per l’indipendenza che proseguirà ancora
successivamente quando altri invasori arriveranno a sostituire i francesi,
insomma ci sono tutti gli ingredienti per il classico filmone hollywoodiano,
riscattato dalla bravura degli interpreti e dalla scenografia di un paesaggio
senza uguali. Ovviamente la vicenda ha una rilevanza ben diversa per un
vietnamita e infatti mi risulta che ancora oggi le giovani spettatrici di quel
paese versino fiumi di lacrime nel seguire gli amori disperati della giovane e
bellissima protagonista della vicenda, oltre che parteggiando con orgoglio
nazionalista alla storia della lotta contro l’impero gallico. Se dopo aver
visto questo film non vi viene voglia di partire subito per la baia di Ha Long,
avete davvero la pelle spessa.
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martedì 3 aprile 2012
Recensione: Marygold Hotel.
Ecco servita una gradevole commediola, condita con una magnifica location, fotografia di prim'ordine e magnifici attori che ne innalzano decisamente il tono. La vicenda è semplice e già sfruttata.Un gruppo di anziani, soprattutto a causa delle loro cattive situazioni familiari e finanziarie decidono, indipendentemente l'uno dall'altro, di trascorrere la parte finale della loro vita in un paese esotico. Finiscono così tutti insieme in un improbabile hotel residence indiano dove la vicenda si snoda piacevolmente fino alla fine. D'accordo non è un capolavoro, la sceneggiatura è un po' semplicistica e incline alla macchietta e allo stereotipo, ma i grandi attori e qui si tratta davvero di un cast eccezionale, con una sola occhiata , una sola battuta valgono il prezzo del biglietto. Davvero straordinari Bill Nighy, Tom Wilkinson, Judy Dench, Maggy Smith (quest'ultima strepitosa a cui basta un aggrottar di ciglia o uno sguardo per risolvere situazioni spassose e divertenti), davvero tra i più bravi attori inglesi che qui mostrano tutta la loro verve e capacità espressiva sotto la regia precisa di John Madden.
Non ultimo, simpatico anche se un po' sopra le righe, il Dev Patel del Millionaire. Una sottile vena malinconica, che, se più approfondita avrebbe alzato ancor di più il tono del film, aleggia nei volti e nelle situazioni. Sullo sfondo, come straordinaria serie di quinte, l'India del Rajastan, che una fotografia strepitosa rende magnifica ma assolutamente realistica, con tutti quegli aspetti bellissimi od orribili e fastidiosi, che costituisco l'insieme di questo meraviglioso paese, così odiato e insopportabile per chi coglie solo questi ultimi, così amato ed irresistibile per chi vede ed apprezza anche i primi, situazione che ritroviamo anche nei personaggi della vicenda. Le soluzioni sono un po' facile e scontate, ma le gags e la bravura degli attori portano a casa il lavoro egregiamente. Si ride e si sorride, un pochino anche si pensa e quando tornerete a casa, sarete contenti di essere usciti, che di questi tempi non è poco. Intanto godetevi il trailer.
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mercoledì 9 marzo 2011
Recensione: Aronofsky - Il cigno nero.
Maltrattato da una parte della critica, che lo dipinge addirittura come ripieno di effettacci da b-movie e che rimprovera al regista di trattare argomenti delicati con piccone e cazzuola, il film, comunque di grande successo dopo la consacrazione degli Oscar, mi è ugualmente piaciuto. Topoi classici come il doppio, la lotta tra bene e male, la madre ossessiva e castrante che proietta i suoi fallimenti sulla figlia, l'inseguimento della perfezione impossibile, la sessualità immatura e inseguita senza poter essere raggiunta, sono presenti a piene mani, ma pur se trattate senza troppi chiaroscuri, ti prendono, se sei di bocca buona come me. La musica di Tchaikowsky, la bellezza del balletto, la bravura della protagonista aiutano a lasciarsi andare fino a godere dell' incalzare degli avvenimenti, fino al finale forte.
Anche se visto soltanto come horror psicologico, è stato difficile, almeno per me non apprezzare il contrasto che, l'ansia di perfezione e del raggiungimento del traguardo, è presente in maniera parossistica in questo fragile ma affascinante mondo del balletto e dello spettacolo in generale. La ricerca ossessiva della sfumatura che porta alla perfezione, in fondo quasi non percettibile, ma evidentemente vitale, colora ogni momento della vicenda con sfumature noir, che non potranno spiacere agli amanti del genere, come pure agli appassionati del balletto in generale che, ben conoscendo questo mondo, vi ritroveranno le fragilità che ne costituiscono anche la staordinaria bellezza. Magari ditemi la vostra.
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mercoledì 23 febbraio 2011
Recensione: Randi - Into Paradiso.
E' appena uscito nelle sale questo gradevole filmotto reduce da Venezia. Alfonso, scienziato precario ha appena perso il lavoro; Gayan, bel Cingalese, ex-campione di cricket decaduto e arrivato in Italia pensando di avere parenti ricchi e piombato nel girone disperante dell'extracomunitario, intrecciano le loro disgrazie in una Napoli multietnica che ormai ha assorbito e assimilato il problema nel girone infernale dei suoi mali endemici, camorra, sottosviluppo, immondizia, arte di arrangiarsi. Trattata con levità e poesia, la tragicommedia si svolge con ritmi che sarebbero piaciuti ad Eduardo, tra personaggi macchietta e maschere tratte dalla realtà quotidiana. Eccellente Servillo prestato dagli Avion Travel (verso cui ho un debole) nei panni di un aspirante politico sostenuto e usato dalla camorra. Un lavoro che dimostra come le cose gradevoli si possono fare anche con poco se ci sono idee valide. Secondo me si vede volentieri.
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sabato 22 gennaio 2011
Recensioni: Johar - Il mio nome è Khan.
Con questo lavoro il regista Karan Johar dimostra che la cinematografia indiana può affrontare efficacemente temi contemporanei e difficili che, anche se apparentemente trattati con ingenuità o con un apparentemente esagerato tono melodrammatico, sanno prendere anche gli spettatori scafati e pretenziosi. Io me lo sono visto nella versione completa di oltre tre ore, che alla fine non pesano e mi è sembrato un buon film. Certo ci sono tutti gli ingredienti facili per una platea di bocca buona. Come si sa è facile far piangere con bambini che muoiono, amori impossibili che si realizzano, handicap che consentono attraverso la volontà di arrivare comunque. La critica lo ha demolito rifacendosi al fatto che essendo stato costruito con tutti gli ingredienti per piacere ad una platea mondiale, il risultato, benché perfetto tecnicamente, sia piaciuto poco agli indiani per la scarsità di ingredienti bolliwoodiani e abbia lasciato freddo il disincantato occidente con un mix retrò troppo semplice e sorpassato da decenni. Potremmo anche dire un film buonista, ma come sapete già, io, questo lo ascrivo alla colonna dei meriti.
Un film apparentemente facile quindi, che riprende il filone alla Forrest Gump, anche se con qualche fresca strizzata d'occhio all'ammiccamento bolliwoodiano e molto bravo Shah Rukh Khan, famosissimo attore del subcontinente, che interpreta in modo magistrale l'autistico Rizvan (comunque non deve essere difficile interpretare questa sindrome, perchè tutti quelli che ci provano lo fanno in modo convincente da Hoffman a Marcoré). Ripeto un buon film di cui vi allego il trailer e che vi esorto a vedere. Tutto il finale ruota sulle aspettative e le speranze che hanno accompagnato l'elezione di Obama. Ma quel tempo è già passato, infatti negli Stati Uniti (ma anche in Italia) il film è stato un flop completo avendo incassato in tutto solo 4 milioni di dollari, ma pare che ormai gli americani siano oltre il presidente abbronzato, pochissimo inclini a parlare di tolleranza e, ben influenzato dai prossimi governanti, qualcuno ricominci a sparare sui loro politici. Il messaggio del film è lontanissimo dal loro sentire del momento e forse, purtroppo, anche dal nostro.
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lunedì 17 gennaio 2011
Casa Russia.
Era sulla trentina, faccia aperta, baffi e sorriso allegro, mi sembra si chiamasse Serghiey Odoevskiy, come lo scrittore. Faceva l'autista per noi in quegli anni difficili dove quando arrivavi a Mosca telefonavi dall'aeroporto all'ufficio per dire la targa del taxi che prendevi, dato che la leggenda metropolitana raccontava di stranieri appena arrivati e ritrovati nelle periferie, nudi dentro a un fosso. Chissà se era poi vero o se quei tali, sessantenni strapanzoni sudaticci, avevano pensato che qualche diciottenne con gli zigomi alti e gli occhi da gatta che fa le fusa, si fosse innamorata perdutamente di loro e l'avevano seguita a casa dalla mamma malata. Situazioni normali in cui molti amano credere quello che vorrebbero che fosse la realtà.
Noi, per stare tranquilli, avevamo Serghiey, con la sua Zhiguly malandata che però, lui, ingegnere e appassionato di meccanica automobilistica, manteneva in condizioni accettabili, riuscendo a procurarsi gli introvabili ricambi che la situazione consentiva. Parlava anche un discreto italiano e andando verso il centro raccontava sempre l'ultima barzelletta sui nuovi russi che cominciavano ad infestare gli ultimi brandelli dellUnione Sovietica che stava affondando. Ti rispondeva "Non ci è probliema" anche se gli chiedevi "Che ore sono?". Rideva sempre alla fine, mai sguaiato, con la stessa allegria triste che accompagna questo popolo che ama crogiuolarsi nelle sventure, ma che è fatto principalmente di gente buona. Quella volta che arrivavamo a Domodiedovo da Samara, io e Ste., come sempre stanchi ma curiosi, una coperta bianca ed infinita avvolgeva le foreste di betulle intorno alla strada. Un pallido sole lontano, la faceva risplendere come polvere di diamanti del diadema di una regina del nord. La strada attraversava un piccolo fiume ghiacciato, credo il Pakhra, che si allargava in una grande ansa piatta con qualche piccola formichina nera, pescatori seduti sulla lastra davanti al loro piccolo buco nel ghiaccio. Sulla ripa digradante del mantello bianco, le torri di un piccolo monastero, con un muro basso a protezione dei pochi edifici sparsi davanti al fiume. Un atmosfera resa magica dalla solitudine assoluta, dall'aria frizzante e dai baluginii dei raggi sui candelotti di ghiaccio che scendevano dai tetti.
Ci rimanemmo una mezz'ora, senza parlare, godendo di quell'atmosfera rarefatta, senza inseguire quel pope nero, lontano, che sgusciava da una porticina di un campanile sormontato da una grande cupola dorata a cipolla. La Zhiguly ci aspettava lontana al margine del bosco, ce l'ho ancora nitida nella mente e l'ho rivista l'altro giorno in un vecchio film, Casa Russia, girato proprio lì (non è male se vi capita dateci un'occhiata). Mi ci sono ritrovato di colpo, quasi spostato dalla macchina del tempo. Quando cominciammo a sentire la fitta al petto che segnala che la temperatura è davvero bassa e conviene andare al coperto, tornammo lentamente alla macchina; la bassa periferia di Mosca cominciò ad avvolgerci nel suo abbraccio suadente, mentre la neve fresca che tentava di scendere con fatica, a piccoli fiocchi gelati, crocchiava sotto i pneumatici consumati. Serghiey non parlava più, ma sorrideva. Dopo poche settimane se ne andò per seguire il suo sogno, un officina attrezzata di tutto punto per automobili, che immaginava come un Bengodi pieno zeppo degli introvabili e desideratissimi ricambi.
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domenica 19 dicembre 2010
Recensione : Film - The cup - Khyentse Norbu
L'altra sera ho avuto l'opportunità di vedere questo film di cui avevo sentito parlare. E' un lavoro di Khyentse Norbu e pare che sia addirittura il primo film buthanese mai prodotto. La vicenda è nota. Nel 1998 in un monastero tibetano di rifugiati in India, la vita scorre tranquilla, quando un evento inaspettato mette sottosopra il convento. Tra i monaci ed aspiranti tali, ragazzini in pratica, scoppia la passione per la coppa del mondo di calcio, che sconvolge un po' la vita della comunità. Una passione irresistibile, non molto buddhista in verità, e che si sublima quando con traversie varie si riescono a raccogliere i soldi per affittare televisore e parabola da uno strozzino indiano e, ottenuto il sospirato permesso dall'abate, si riesce a vedere la sospirata finale tra un'interruzione di corrente e l'altra. E' tutto un seguito di gustosi episodi che, anche se vogliono presentare questo mondo in maniera forse un po' troppo edulcorata e ingenua, sono in realtà molto delicati e poetici.
Una ventata di buoni sentimenti, ma non troppo esibiti. Ci ho ritrovato molte situazioni che ho visto nel monasteri vicino a Lasha, con i giovani monaci che cercano di scantonare alla preghiera, che si addormentano sotto l'occhio degli anziani, che ogni tanto fanno i burberi, o fanno scherzi al monaco più giovane appisolato, cucendogli la tonaca al tappeto. Gli interpreti sono tutti di grande simpatia e le parti come quella in cui l'abate si fa spiegare il meccanismo del gioco e vuol capire di queste due nazioni che si fanno una guerra e chi vince avrà in premio una coppa, sono irresistibili. Il fatto è che pare che il tutto sia ispirato ad un fatto realmente accaduto. Se vi capita sottomano direi che è un'ora e mezza bene investita.
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mercoledì 25 novembre 2009
Una martire pagana.

...era pronta e dialettica nei discorsi, accorta e politica nelle azioni, il resto della città a buon diritto la amava e la ossequiava grandemente, e i capi, ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da lei, come continuava ad avvenire anche ad Atene. Infatti, se lo stato reale della filosofia era in completa rovina, invece il suo nome sembrava ancora essere magnifico e degno di ammirazione per coloro che amministravano gli affari più importanti del governo.
Era filosofa, astronoma e matematica, insomma una delle più importanti scienziate dell'antichità e come tale libera di pensiero, diremmo oggi, relativista, brutto affare nei tempi in cui prendono vigore da ogni parte i fondamentalismi più biechi e le folle si abbandonano con più facilità ai diversi Credi che danno su tutto risposte certe, Verità non confutabili, comprese quella che tutti gli altri sbagliano e che vanno combattuti senza pietà. In quel tempo, la Chiesa Cristiana aveva ormai spalle molto robuste per cominciare a litigare furiosamente tra le sue fazioni interne, ariani, monofisiti, costantinopolitani, ma soprattutto non andava certo per il sottile con chi non soggiaceva completamente al Credo che ormai aveva preso il potere, cacciando prima gli Ebrei da Alessandria e poi cercando di eliminare fisicamente tutte le persone che non aderivano al potere cristiano, classificandoli come pagani da eliminare. Il famigerato vescovo Cirillo, molto apprezzato da Pulcheria, reggente dell'Impero di Teodosio II ancora bambino, aveva la sua milizia di pasdaran, non sappiamo se in tunica verde, i temutissimi "parabalanoi" o chierici barellieri a cui, con facilità veniva concesso l'attributo di "martiri", che eliminavano ogni traccia di opposizione di pensiero. Il tutto culminò nella distruzione di tutti i templi di Alessandria, che erano i centri del pensiero libero e scientifico, nel 415, con la barbara uccisione di Ipazia, appunto la vicenda narrata dal film. Continua Socrate Scolastico:
Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario; qui, strappatale la veste, la uccisero usando dei cocci. Dopo che l'ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati i brani del suo corpo nel cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia bruciandoli.
Io credo poco ai complotti e quindi sono convinto che l'uscita del film in Italia sarà impedita da ragioni economiche che renderà soltanto un favore al fastidio delle gerarchie ecclesiastiche. Però è interessante constatare come siano comuni e ripetitivi gli stilemi della storia, come mutino di pochissimo solo le etichette, ma rimangano identici i comportamenti del potere, soprattutto quelli mediatici e propagandistici. E questi sono proprio tempi maturi per la fermentazione dei fondamentalismi, in tanti soffiano ed il forno è già caldo e pronto.
E comunque, se volete, date un'occhiata al trailer originale.
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