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sabato 12 luglio 2014
Recensione: Stacy Schiff – Cleopatra, una vita
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martedì 10 settembre 2013
Recensione: Pearl Buck - Tutti sotto il cielo.

Non
devono stupire questo tipo di semplificazioni che sono proprie non solo degli
americani, molto disinteressati, si dice, a comprendere il mondo esterno a loro,
ma ogni giorno dobbiamo constatare come sia più facile generalizzare e proporre
soluzioni semplicistiche, di fronte ai problemi che ci pone continuamente la
realtà e la storia. Sull’immigrazione, sulle crisi economiche, sull’affermarsi
dei fondamentalismi, in generale la gente ha sempre un punto di vista molto
semplificato e non riesce a capire come mai non vengano prese decisioni così
facili e semplici da capire. Basterebbe mitragliarli sulla riva o tirare
qualche bella bomba come dico io o rimandiamoli tutti a casa, è così semplice
no? Si sente dire ogni giorno al mercato o al bar davanti al cappuccino. E’
troppo complicato cercare di capire la galassia delle differenze tra sciiti e
sunniti, tra alauiti e wahabiti e così via. Questa frustrazione che dovette
essere propria della stessa Buck nel periodo maccartista, in cui il fatto di
avere vissuto in Cina rendeva la cosa di per sé sospetta, dovette pesarle molto
e la chiusura tutto sommato ottimista del libro va forse messa in relazione
alle caute aperture che in quel periodo si prospettavano verso l’Oriente, con
l’inizio di cauti contatti extradiplomatici e lo storico incontro avvenuto appena un anno prima tra Nixon e Mao con la famosa politica del ping pong. Interessante proprio per i temi
davvero universali che propone.
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lunedì 9 settembre 2013
Recensione: Pearl Buck - Figli
Un libro molto in linea con lo
stile più classico dell’autrice, profonda conoscitrice della Cina e seguito ideale de La buona terra. Una saga familiare che
pone la sua attenzione, come si evince dallo stesso titolo, sull’importanza che
rivestono i figli, naturalmente maschi, nella storia delle famiglie. Nella Cina
estremamente indebolita dell’inizio del secolo scorso, in cui il potere centrale
aveva scarsa presa sulle provincie lontane, si creavano centri di potere locali
nelle mani di piccoli signorotti della guerra che con milizie proprie tenevano
un predominio sulle popolazioni. Su tutto, i concetti, comuni a tutte le
culture, della roba e della terra, topoi
costanti delle storie della Buck. I tre figli di un ricco proprietario
terriero, che era partito da umili origini e che aveva creato dal nulla la
potenza della famiglia, prendono strade diverse ed i loro figli ancora di più,
vista la loro incapacità di trovare una dirittura di insegnamento che potesse
metterli in grado di proseguire le orme del capostipite. Alla fine il ritorno a
quella terra che aveva dato la potenza alla famiglia e che era stata poi
snobbata in favore di altre, più lucenti chimere. Nel mezzo tutta una serie di
figure tipiche della società contadina e provinciale cinese, come sempre
godibilissime, sempre pronte a sottolineare la dura posizione della donna, davvero
marginale e meschina in quella società. Ma il nuovo avanza e sullo sfondo
incombono le avvisaglie di quei movimenti e quelle idee rivoluzionarie che
ancora fumose ed embrionali di cui nessuno riesce ancora a capire la portata
futura dirompente. Per chi ama il genere e soprattutto l'ambientazione, si può ancora leggere con piacere.
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venerdì 21 dicembre 2012
Recensione: E. Hemingway - Verdi colline d'Africa.

Questo, anche verso i suoi "pari" europei o connazionali, naturalmente tutti stupidi, incapaci, insopportabili. Nelle discussioni attorno al fuoco dell'accampamento non c'è un letterato che gli si possa paragonare e così via. Nessun momento invece, di estatica meraviglia di fronte alla bellezza dei paesaggi, allo straordinario rigoglio di una natura selvatica e ricchissima, quale raramente si trova da altre parti, nessun stupore per questo continente unico, culla dell'umanità dove, forse ultimo luogo al mondo, la natura è ancora così predominante sull'uomo. Su tutto vince l'istinto della razzia, del uomo dominante che cerca l'animale, non per goderne la bellezza, ma per averlo, possederlo, ucciderlo, purché sia il più grande, il trofeo da conquistare in perenne gara col vicino di fucile che, non sia mai, ne abbia uno con le corna più grandi. Il tutto in un alternarsi di rabbia e disperazione quando la preda sfugge o non si trova o di giubilo raggiante quando la si riesce ad abbattere, unico piacere del viaggio. Sullo sfondo l'Africa, spettatrice inerte, inutile quinta di una rappresentazione di un io quasi autistico e gli altri animali, visti quasi con noia quando non sono prede interessanti. Le serate al campo dove predominano l'alcool e le fanfaronate, oltre al parlar male di tutti, atteggiamento forse molto comune nell'America del tempo e non solo.
Forse da allora è cominciata questa considerazione della piccola importanza che ha per gli americani, il resto del pianeta. "Non si può vivere sul piano di una esaltazione come quella che avevo provato nel canneto e, all'uccidere la preda, si sente dentro una strana quiete. Quel che si prova uccidendo non si può dividere con nessuno", dice il protagonista al termine di una giornata di caccia, circondato dai trofei delle teste scuoiate di bufali e rinoceronti. Un male di vivere da annegare nella bottiglia, che la straordinaria bellezza di questo paese, che a tratti pur traspare dalle parole sprezzanti del cacciatore, interessato solo alle emozioni forti che possono arrivare dalla violenza e dalla morte (frequenti i riferimenti alla guerra di Spagna), che probabilmente aleggiava in quegli anni e che ha condotto infine al suo inevitabile finale, il conflitto mondiale. Solo nelle ultime pagine, quando l'autore ebbro dei risultati ottenuti nella caccia fortunata, ha qualche parola di ammirazione verso la bellezza selvaggia del paese che sta per lasciare. Interessante comunque per capire un epoca.
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giovedì 20 settembre 2012
Recensione: Pearl S. Buck – La madre.

Perché come almanacca lei stessa, madre rusticana che passa
attraverso le traversie della vita: ”Un bambino che sta per arrivare è fonte di
gioia ma anche di preoccupazioni. Potrebbe nascere morto. Oppure deforme o
cieco o scemo; o addirittura potrebbe essere una femmina”. In queste parole sta
tutto il tema della Buck e il personaggio, la madre, allo stesso tempo sacrificio, dedizione, amore.
La madre che va a cercare una moglie per il figlio nel villaggio vicino, in
quanto là “ci sono molte ragazze, perché per tradizione non le ammazzano”. Reliquia
di una civiltà morale che povertà, ignoranza e precarietà fisica sembrano
sommergere. Sempre lirico e naturalistico il racconto si dipana attorno a
questa figura centrale a cui tutti devono fare carico, mentre lontani, sullo
sfondo, rumori di fatti nuovi e sconosciuti, talmente diversi da un mondo
uguale a sé stesso da millenni, incombono con la loro rude spietatezza.
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martedì 18 settembre 2012
Recensione: Henry Miller – Max e i fagociti bianchi.

D’altra parte sempre ritorna il tema della crisi
economica del 29 che ad un lustro di distanza non accennava a spegnersi (vi
ricorda niente?) e che poi è stata risolta col bagno di sangue del conflitto
mondiale. Particolarmente acuti ed interessanti i giudizi critici su Proust e
Joyce, la scoperta di Bunuel in quello che forse è il suo primo film con la
collaborazione di Dalì, L’età dell’oro, o sui diari di Anais Ninn, per non
parlare del lungo articolo sul surrealismo di cui si sente a pieno titolo
partecipe, movimento che sente assolutamente fondamentale per quel momento
storico in cui tutto sta scivolando verso un finale che sembra già scritto.
Emblematiche le parole che chiudono il saggio: “Rimangono i mangia morte (e
Harry Potter è ancora lontano) coloro che prendono sempre più il comando a mano
a mano che il futuro si apre. Destinati ad affrettare lo sfacelo d’un mondo già
defunto, essi galvanizzano la morta gioventù di questo mondo in un momentaneo
entusiasmo. Dappertutto la gioventù è chiamata alle bandiere; come in ogni
altra epoca, si agghinda per l’ecatombe rituale. La causa! Per amore della
causa presto i demoni saranno sguinzagliati e riceveremo gli ordini di
avventarci gli uni alla gola degli altri.” Era il 1935. Anche questo, un libro
propedeutico per meglio capire l’autore del Tropico del Cancro e molti meccanismi perversi che si reiterano continuamente nella storia dell'uomo.
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venerdì 14 settembre 2012
Recensione: J. Hilton – Orizzonte perduto.

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sabato 8 settembre 2012
Recensione: P.S. Buck – La buona terra.

Una figura davvero emblematica, la
povera O Lan, venduta bambina come schiava, richiesta in sposa proprio in quanto brutta,
così da non avere grilli per la testa, anche se il contadino ha preteso che
almeno non fosse una sfigurata dal vaiolo o col labbro leporino, che riesce a
guidare col suo aiuto fondamentale e con l’istinto le scelte della famiglia,
anche se ha i piedi troppo grandi, orribili e per nulla sensuali, perché sua
madre l’ha venduta troppo piccola per poter cominciare a fasciarglieli. Una
donna della Cina rurale, dove è vista solo come una macchina per fare figli e
al massimo dare una mano nei campi, beninteso dopo avere assolto tutti i
doveri nella casa, anche se di tanto in
tanto il giovane Wang Lang, ha qualche attimo di attenzione, come quando decide
di farsi il bagno perché, il giorno delle nozze non vuole che la nuova moglie
lo veda sporco, anche se in fondo si era già lavato un paio di mesi prima ed è
davvero peccato sprecare tutta quell’acqua così utile per bagnare i campi
assetati. Anche se visto con l’occhio occidentale, tante informazioni per
cercare di comprendere la cultura e la
mentalità di quel paese lontano. Per chi ancora non l’avesse letto, direi che è
un libro da non perdere.
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venerdì 8 luglio 2011
Recensione: Pearl Buck - Vento dell'est: vento dell'ovest.
Altro consiglio per l'estate. Grazie ad una amica mi è capitato per le mani questo bel libro di Pearl S. Buck, la sua opera prima del 1930. Ovviamente non potevo che essere sensibilissimo all'argomento, dato il titolo, ma davvero questo libro è di grandissimo interesse. Intanto la storia, costituita da tre racconti che si svolgono nella Cina dell'inizio del secolo scorso con tutti i suoi cataclismatici accadimenti declinati tutti al femminile, con una delicatezza ed una poeticità davvero accattivante. Ognuno di questi personaggi viene a trovarsi nel pieno del cambiamento epocale che l'ingresso dell'occidente, con il suo devastante apporto di idee nuove e completamente contrastanti con la millenaria cultura che andava a sostituire e ne viene in modi diversi totalmente devastato. Kwei Lan, giovane sposa intelligente, riesce ad adattarsi a suo modo grazie all'aiuto della comprensione del marito, pur nella sofferenza di chi deve dichiarare sbagliate tutte le credenze che fin da bambina le erano state inculcate.
Le altre soccombono in maniera tragica egli eventi, mentre il mondo avanza spazzando via in maniera spietata l'antico con la ferocia tipica di tutti i nuovi che tendono a liberarsi del vecchio etichettandolo come tutto sbagliato. Un libro che, letto oggi, è di una straordinaria attualità, visto nell'attuale cambiamento che di nuovo sta spazzando violentemente tutto nell'impero di mezzo, senza dimenticare che è già la terza volta che questo accade in un secolo. La nuova cultura che arriva, con il suo fascino dell'esotico, tende irrimediabilmente a soppiantare quella precedente, in quanto i vantaggi positivi ed innegabili che presenta, pretendono di catalogare come comunque buono tutto il resto, compresi i gravi difetti che si porta dietro e tutto cattivo in quello che vuole lasciarsi alle spalle. E' una strada ben conosciuta che hanno percorso non soltanto i cinesi naturalmente; come non ricordare le file di 800 metri che si formarono davanti al primo McDonald aperto a Mosca. Comunque non perdetevelo, al di là della ambientazione orientale, rimane un bellissimo quadro di situazioni psicologiche ritrovabili anche in ambiti molto diversi.
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martedì 30 novembre 2010
Recensione: Arthur Golden - Memorie di una gheisha

Per la verità, il libro è scritto da un occidentale e quindi questo mondo viene presentato da un punto di vista che sottolinea la preminenza dell'aspetto sessuale, sia pure di un tipo di prostituzione di alto bordo e assolutamente particolare. Non sappiamo quindi se questo aderisce davvero alla realtà o se il sesso non rappresenti un carattere secondario, se pur presente, per la mentalità giapponese. Di certo l'autore è stato, proprio per questo, pesantemente criticato in Giappone, con lo strascico di una causa milionaria da parte della gheisha, da lui intervistata ed ad alla cui vita sembra si sia in parte ispirato. Ma, a mio parere la cosa più interessante dell'opera è l'affresco mirabile della società giapponese, in tutte le sue sfaccettature, a noi incomprensibili e in parte sconosciute; lo scandaglio su una forma mentis per noi spesso non solo diversa ma estranea, che permette di capire meglio un paese e la sua gente. Tentare di comprendere le contorsioni di una mentalità lontana è spesso importante per spiegare motivi e cause dei fatti che accadono nel mondo. Secondo me questo libro aiuta in questa direzione e, a mio parere, questo approccio ne rappresenta il merito principale, al di là del fatto che rimane comunque di scorrevole e piacevole lettura, come accade spesso nella recente letteratura americana di consumo.
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