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Il Volga ghiacciato vicino a Samara. |
Andrej Alexandrovic Kyrienko era ormai sulla sessantina e si può dire che la sua vita, in quella grande città al di là degli Urali, così poco conosciuta dal mondo occidentale, scorresse tranquilla. Certamente non era stato sempre così, ma adesso che la Russia aveva preso la via della "democrazia", dopo una prima fase, che si sarebbe potuto dire piuttosto convulsa, tutto girava nei binari della normalità. Suo padre era di origine ukraina ed era finito laggiù durante i grandi movimenti di popoli che avevano caratterizzato il potere del Piccolo Padre. Forse una migrazione collettiva per compiere qualche grande opera, forse una punizione personale dovuta ad una incauta presa di posizione, seguita alla denuncia di colleghi invidiosi, cose assolutamente normali ed in un certo senso necessarie a quei tempi, tutto rimasto nel limbo del passato, una cosa di cui nessuno parlava mai in casa. Lui, invece, aveva seguito con tenacia e anomala determinazione, visti i precedenti familiari, tutta la trafila della gioventù comunista entrando subito nei quadri del partito, grazie alla sua capacità di mettere in cattiva luce colleghi ed amici e a dimostrare che le sue scelte, sempre caute e non impegnative, erano state le migliori, anche quando erano state suggerite da altri. Aveva capito subito che questa era la strada giusta se volevi fare strada nell'Apparato.
Non rischiare mai in prima persona, mandare avanti gli altri, denunciandone subito gli insuccessi e dimostrando invece come le cose andate a buon fine erano dovute alla sua lungimiranza. Così pian piano era risalito fino ai vertici del partito cittadino pur non restando mai in prima fila, posizione dove di tanto in tanto si abbattevano gli strali delle epurazioni moscovite. Grazie a queste sue capacità, era stato messo ai massimi vertici della grande fabbrica cittadina, una posizione di potere importante nell'impero sovietico, quando la Fabbrica, il Zavòd, era cuore pulsante e fondamentale della vita. Da quando era il suo capo assoluto, la produzione era scesa di molto, ma lui aveva sempre saputo dimostrare che questo non era sua responsabilità, ma colpa di materiali che non arrivavano in tempo o trasporti che non funzionavano e quando la roba rimaneva a marcire sotto le tettoie, con i pezzi neanche finiti o malfunzionanti, il problema era sempre esterno alla fabbrica e anzi, lui poteva far sempre sottolineare, da qualche suo sottoposto, da incolpare in caso di disgrazia, come la produttività teorica di ogni reparto era in linea con le direttive del piano quinquennale, anzi addirittura qualche cosa di più. Era questo il segreto a quell'epoca.
Non contava la produzione reale, ma quanto la fabbrica aveva la potenzialità di produrre in base ai vari parametri, che poi non lo facesse, non era problema loro, l'importante era individuare a chi dare la colpa e seguire le direttive, esponendo le foto degli operai migliori, quelli più in linea col partito o delle impiegate più efficienti, quelle che gli fornivano dopo le riunioni interminabili dietro la lunga scrivania a T, i loro graditi servizi "particolari". La maggior parte di loro si sottoponeva di buon grado a questi obblighi ritenuti di routine per le segretarie giovani, cosa che consentiva poi alle stesse di passare le giornate a chiacchierare al telefono o a limarsi le lunghe unghie mal coperte dallo smalto di pessima qualità di qualche lontana fabbrica lettone.Il lungo periodo della gerontocrazia moscovita era così scorso via lento e pacifico, quando la durezza precedente si era via via allentata e aveva lasciato spazio ad un lassismo totale, in cui non si produceva quasi più nulla e le quantità di vodka ingurgitata nelle interminabili serate invernali, quando già alle due di pomeriggio il pallido sole siberiano scompariva lasciando spazio all'oscurità e solo il bruciore dell'alcool che scendeva a sorsate nella gola pareva appagare i desideri, ottundendo i sensi, arrivava a casse. Anche alle segretarie venivano chiesti sempre meno servizi, ma loro, sebbene costrette a partecipare a queste "riunioni di lavoro", non si dimostravano in fondo scontente di questa diminuzione dei compiti.
Una volta l'anno Kyrienko, si faceva ricoverare in un sanatory negli Urali dove cercavano di sistemargli il fegato alla meglio e disintossicarlo almeno fino alla successiva stagione quando sarebbe stato di nuovo ricoverato, ufficialmente per "riposare", accompagnato dalla sua segretaria personale. Tutti sapevano e se lo dicevano a mezza voce nei corridoi cupi dalle tappezzerie unte e cadenti, che non sarebbe durato molto. Però ogni volta ritornava, un po' meno malfermo sulle gambe e con gli occhi più serrati e cattivi. Poi di colpo, esplose la glasnost e la perestroijka e il paese scoprì il suo anelito al consumo ed alla libertà di volersi arricchire. A Mosca fu decisa la privatisazija, unico modo riconosciuto per rendere in qualche modo efficienti le morenti imprese sovietiche. Mentre l'URSS si sfaldava e nasceva la nuova Russia, ogni fabbrica fu trasformata in società per azioni e queste infine, divise tra i lavoratori in modo equo, secondo le responsabilità. Kyrienko, avendo saputo dimostrare al momento giusto di essere capo assoluto e che i guasti della cattiva produzione erano dovuti solo alla pessima influenza della miope politica comunista e dalle direttive centrali a cui lui si era sempre opposto, ne ebbe quasi la metà, come è giusto. Inoltre seppe impadronirsi anche di quelle della maggior parte degli operai che le vendevano per pochi rubli, avendoli , l'ipersvalutazione in corso, ridotti alla fame o che le scambiavano per qualche gadget di provenienza occidentale.
Qualche partecipazione più importante di quadri intermedi gli fu girata, dopo che alcuni di questi ebbero strani incidenti, tutti mortali. Così nel giro di un paio di mesi si trovò Presidente e proprietario unico della grande fabbrica, che riceveva adesso continuamente rappresentanti di aziende europee o anche americane, desiderose di rinnovare impianti, di collaborare, di iniziare fruttuose joint venture, in un mondo che tumultuosamente si stava aprendo al capitalismo selvaggio. I suoi scherani , il Vicepresidente, il Direttore generale, l'Ingegnere capo, il Direttore amministrativo, erano tutti abili e capaci e lavoravano attivamente per fare crescere il business, ormai si diceva solo così, certi che tanto Lui, tra un ricovero e l'altro, sarebbe durato poco e si volevano tenere pronti alla lotta di successione, che tutti sentivano ormai vicina. Ma gli anni passavano veloci; il Vicedirettore ebbe un colpo apoplettico proprio durante una bisboccia con degli investitori occidentali, nella dacia di servizio. Lo trovarono con tutto il viso blu dopo che le ragazze, cioè le segretarie, erano scappate via mezze nude gridando: "E' morto, è morto". Il Direttore fu cacciato per una brutta storia di tangenti ricevute da una ditta tedesca, quando avevano istallato la principale linea di produzione; adesso gestisce un kiosko di liquori sulla piazza della Rivoluzione, che ora però si chiama Piazza Romanov, ma tutti continuano a indicare allo stesso modo di prima. L'ingegnere capo fu trovato morto mentre pescava sul fiume ghiacciato davanti alla buca in cui si infilavano le lenze.
Sembrava addormentato, con gli occhi chiusi e i ghiaccioli duri che gli avevano ricoperto i baffi e le sopracciglia cespugliose, mentre il Direttore amministrativo si schiantò con la nuova BMW, appena avuta da un lotto arrivato direttamente da un contrabbando di auto tedesche rubate, contro un pilone di un ponte in aperta campagna, senza che nessuno avesse potuto constatare cosa era successo, visto che tra l'altro, non doveva neanche essere lì, ma in commandirovka con una delegazione straniera. Dopo averli tutti seppelliti e abbracciato le vedove in lacrime, adesso Andrej Kyrienko si vede meno in fabbrica, dove ha lasciato ogni affare in mano alla figlia, che tutti chiamano la Zarina, quando arriva sulla grande Mercedes nera, per dare le disposizioni prima di partire per la villa in Sardegna dove passa l'estate. Lui invece è quasi sempre nella bella casa che ha comprato a Cap Ferrat vicino a Montecarlo. Dicono che prima era di un attore americano. Lo si vede poco in giro, grasso e claudicante, con quelle borse enormi sotto gli occhi piccoli e le grandi guancione grigie che gli pendono ai lati della bocca. Durerà poco, pare chiaro, eppure ha sempre un'ombra di sorriso imbronciato sotto i baffi folti e ancora quasi neri.
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