sabato 30 luglio 2011

Riaprire casa.

Quando arrivi in una casa che hai lasciato chiusa per quasi un anno, c’è sempre una sensazione un po’ desolata. L’odore di chiuso, un poco di umidità, polvere e quell’ordine desolato di quando l’hai chiusa l’ultima volta. Posi le mille masserizie in ordine sparso, puoi mica mettere subito a posto e tutto si dispone subito in quel felice disordine di una vita che ricomincia. Però, una dopo l’altra, saltano fuori le magagne inevitabili del tempo che è passato, come se la casa ti dicesse: “Ah, mi hai abbandonato e io te la faccio pagare, mi sono rotta di aspettarti!” Appunto, ecco saltar fuori la crepa nuova, la perdita inattesa. Oh che bello, quest’anno non è neanche scoppiato nessun tubo. Però, stavolta non andiamo male. Accidenti il frigo non parte. Irrimediabilmente morto. Qualcosa ci voleva pure. Ma il paese è sempre lì, con un anno in più sulle spalle, qualche anima spersa che si aggira nell’unica via. Oramai non c’è più la villeggiatura con le sue orde di mamme che curavano la prole per tre mesi d’estate, se va bene si va una settimana al villaggio turistico o in crociera e questi paesotti di mezza montagna, l’ideale per i bambini, a l’è veira  madamin, muoiono lentamente di inedia, tentando qualche sprazzo di vita, la festa del paese, la sagra gastronomica, qualche spettacolino estivo, gli ultimi sprazzi di vita nella lunga agonia letargica che si spalmerà poi durante il corso di tutto l’anno. 

Incontri qualche vecchia faccia conosciuta e comincia il rito consueto a partire dall’elenco dei morti dell’annata, però era ancor giovane, ma dai chi l’avrebbe detto, eppure l’anno scorso stava così bene. La sagoma frastagliata del Forte dipinge il crinale della montagna sempre uguale, imponente, immenso, il vero custode della valle. Il bar della Rosa Rossa, raccontato da De Amicis ai tempi del suo massimo fulgore, quando accoglieva nel suo salone gli esponenti della casa reale di passaggio, è ancora aperto, speriamo che duri, sembrano dirsi i quattro avventori locali che spiano con un po’ di fastidio l’affluire sempre più magro dei davalìn (i villeggianti che arrivano dalla pianura in fondo alla valle) estivali, che dovrebbero servire a portare un poco di ossigeno alle casse esauste. Ma sono sempre di meno e alle finestre è tutto  un fiorire di cartelli affittasi e vendesi, su cui ormai si è già formata una patina di ruggine. Poi quest’anno fa anche freddo. Però come sono verdi i fianchi del monte, un verde scuro, cupo, grasso e ricco di vita e quando arriva il sole, filtrando tra i cumuli bianchi, brucia tanto è forte e illumina la valle così intensamente da farti stringere gli occhi. Così è più vivo il verde dei pini, più acceso il bianco delle case e del campanile, più intenso il blu della forra che taglia in mezzo il paese. E il vento fresco, ancora pungente, promette altre giornate chiare. Penso che si potrà resistere.

venerdì 29 luglio 2011

Non ho tempo!




FINALMENTE DISPONIBILE!




Avrete capito che oggi, che parto di prima mattina, non avevo molto tempo a disposizione, ma tranquilli che non vi lascerò soli nei prossimi giorni, è una minaccia!



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giovedì 28 luglio 2011

Violenza e società.

Scimpanzè - Foto dal web.
La violenza è insita in tutte le società, soprattutto quelle più sviluppate e vincenti nella gara della evoluzione, tanto da far pensare che sia una componente necessaria a far trionfare una specie sulle altre, a renderla più competitiva e vincente.E' uno studio da verificare, ma è certo che in tutte le specie che si sono affermate sulla terra e che conosciamo, la presenza di manifestazioni di forza e di prevaricazione del forte sul debole sono all'ordine del giorno. Dal punto di vista teorico sembrerebbe che questa caratteristica debba essere un danno all'evolversi di una società efficiente ed in effetti, si può riscontrare come tutte le aggregazioni abbiano posto in essere dei controlli automatici per regolare questo impulso e non condurre la specie stessa all'autodistruzione. Non è chiaro come questi sistemi vengano scelti o come forse si affermino naturalmente, ma bisogna considerare che in generale funzionano. Ad esempio, se esaminiamo due società molto vicine tra loro come quella degli scimpanzè e dei bonobo, che altro non sono che scimpanzè un poco più piccoli, possiamo vedere che in entrambi i casi la tendenza alla violenza viene contrastata in maniera completamente diversa. 

Nel caso degli scimpanzè, possiamo osservare che le manifestazioni di violenza, sono frequentissime e conducono a veri e propri omicidi ed infanticidi, quando i membri più forti del gruppo si stizziscono per qualche cosa. Componenti della comunità vengono uccisi con facilità nel caso disturbino i più forti e gruppi, invece solidali tra loro, conducono assalti a popolazioni vicine, colpevoli di occupare territori migliori, con morti e feriti. Le stesse femmine non esitano ad uccidere cuccioli di altre madri del gruppo, diremmo noi per futili motivi. La specie non si estingue perché alla fine questi scatti di ira sono contenuti da un rigidissimo sistema di gerarchie che impone ai più deboli un atteggiamento sottomesso e cauto, mentre gli interi gruppi si danno precipitosamente alla fuga non appena si rendono conto di essere attaccati da forze superiori. Una sorta di Arte della guerra che non ha avuto bisogno di uno Sun Tsu scimmiesco per essere studiata. Invece tra i bonobo, queste pulsioni vengono controllate in maniera completamente diversa. In pratica ogni individuo della comunità bonobiana, si accoppia con chiunque gli capiti a tiro ogni mezz'ora circa. 
Bonobo - foto dal web

Non si salva nessuno, maschi con maschi, femmine con femmine, inclusi gruppi, giovani e giovanissimi, in tutti gli incroci e posizioni possibili che la fantasia consente, senza disdegnare in caso di necessità, la scelta self. In conseguenza di questo sfogo continuo ed incessante, ogni tipo di aggressività di altro tipo diventa superflua e in pratica, quella dei bonobo è una delle società più pacifiche tra quelle conosciute. I bonobo sono più felici degli scimpanzè? Probabilmente sì, perlomeno possiamo dedurre che comunque si divertono abbastanza e questo non impedisce loro di essere una delle espressioni più evolute nel mondo animale. Certamente quando, svegliandosi al mattino, si diranno l'un l'altro di guardarsi alle spalle non si riferiranno alla possibilità di essere sgozzati e saranno tutti certi di vedere il tramonto, sempre che non ci siano leopardi nelle vicinanze. Alla fin fine mi convinco sempre di più che se la la gente scopasse un po' di più, eviterebbe di andare in giro a sparare nel mucchio e magari farebbe a meno anche di fare certe dichiarazioni.



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mercoledì 27 luglio 2011

Xū.

Saremo certamente nell'epoca dell'apparenza, ma è certo che sia uomini che donne, se devono essere sottoposti ad un giudizio di merito, preferiscono essere giudicati saggi ed intelligenti piuttosto che belli. E' pur vero che l'occhio vuole la sua parte, ingrassando chirurghi plastici e venditori di cosmetici e di creme fasulle, ma quando si tratta di subire una valutazione, non ce n'è per nessuno, la modestia va a farsi friggere e anche Brunetta aspira, si può dire nel suo piccolo, al Nobel per qualcosa. Questo è un sentimento universale della razza umana, suffragato dal fatto che tutti, appena possono aprono la bocca per dare fiato e fare apprezzare il proprio pensiero ed io ne sono una testimonianza vivente. Figuriamoci se vanno esenti da questa caratteristica gli orientali! Peggio di noi, anzi, ogni segno esteriore che sia distintivo della saggezza è benvenuto ed enfatizzato. La barba, ad esempio è sempre stato un simbolo di serietà e di saggezza, tanto che tutti gli uomini che se lo potevano permettere se la facevano crescere prima di assumere una responsabilità sociale, proprio per dare maggior peso alla propria funzione. 

E qui viene il bello, in quanto i Cinesi sono un popolo notoriamente glabro e parlare di barba è spesso una esagerazione, quindi il radicale che rappresenta la barba nei vari ideogrammi è costituito da tre miseri pelucchi ed è già grasso che cola. Nel disegno potete vedere l'evoluzione del radicale nei secoli e che ha portato poi al carattere completo che indica appunto la barba : xū - 须 (con l'aggiunta a destra del segno di "faccia", quindi i peli della faccia) che vale anche come: requisito necessario (appunto a mostrare autorevolezza). La stessa pregnanza va a completare il senso di molti altri caratteri come yàn - 谚 , che significa proverbio, dove i tre peli sono inseriti assieme al segno che indica "parola" proprio per rimarcare il fatto che una saggia massima, i famosi proverbi cinesi, può venire solo da un uomo sapiente e dunque dotato di barba. Più arzigogolata è l'interpretazione dell'aggettivo "chiaro, evidente" - Zhang, infatti il radicale barba viene unito al carattere di capitolo del libro. Solo un uomo saggio, anziano e quindi con la barba può spiegare chiaramente un difficile testo. Pensate che anche nelle raffigurazioni storiche, divinità, imperatori, dignitari e generali venivano rappresentati con la barba anche se non l'avevano mai avuta. Non sto a dirvi come la mia barba fosse particolarmente apprezzata laggiù, perché l'autorevolezza è anche sinonimo di bellezza, naturalmente interiore.

P.S. Mi fa notare l'amico Parkadude da Hong Kong, che il vocabolo moderno oggi usato colloquialmente per barba è : 胡子 (huzi). Però attenzione perché il secondo ideogramma significa "figlio, che è generato da", mentre il primo è: "trascuratezza, sciatteria". Come cambiano i tempi e le valutazioni di pensiero!

Refoli spiranti da: E. Fazzioli - Caratteri cinesi - Ed. Mondadori



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martedì 26 luglio 2011

Ballare sulle punte.




Le serate estive sono ravvivate non solo dalle simpatiche dichiarazioni di Borghezio o dall'interessante tesi sostenuta nell'articolo di Feltri di ieri sulla debolezza ormai cronica dei giovani norvegesi caduti nella strage, giudicati incapaci ed egoisti, ma anche, per fortuna dai tanti spettacoli estivi che nonostante il calo del soldo, riescono a mettere insieme le varie manifestazioni che ogni città cerca di offrire a chi, sempre in maggior numero, rimane a popolarle in questa stagione di transumanze. Sarà la complicità del frescolino serale che ti riconcilia col resto del mondo, sarà il buon gelato che ti lenisce i guasti causati dal morso dei raggi solari ormai declinati, ma si è indubbiamente portati ad essere meno criticoni e ad apprezzare quel che si vede con una certa generosità di giudizio. Non è che ci si voglia accontentare ad ogni costo, ma si cercano di vedere innanzitutto gli aspetti positivi e certamente piacevoli delle produzioni. Così ieri sera nell'incanto della Cittadella di Alessandria, contenitore meritoriamente sempre più messo a fruizione della città, il Balletto di Mosca ha presentato una onorevole Giselle, il balletto classico per antonomasia, con il rigore e la precisione dei corpi di ballo russi, una delle cose che non sono andate perdute con il crollo del regime. 


Chi ama il balletto si commuove sempre un po' allo svolgersi della vicenda e lo sforzo degli interpreti non lascia mai indifferenti, così, il comunque folto pubblico, ha salutato la loro fatica con applausi frequenti anche se non eccessivamente calorosi, in linea con la sua alessandrinità. Una serata gradevolissima anche se, come potete vedere dalle foto, da nessuna sedia della grande platea (cosa assolutamente democratica) si sono potute vedere le gambe dei ballerini dal polpaccio in giù, cosa evidentemente giudicata di importanza secondaria in un balletto classico e che ha condotto alla scelta ragionata di mantenere il palco ben al di sopra degli occhi degli spettatori. La sera precedente invece, nell'ambito del noto Vignaledanza, la Compagnia di Danza di Pechino ha affascinato il folto pubblico con uno spettacolo diverso e coinvolgente, La poesia del vento. Le coreografie di Wang Wei hanno coniugato armonicamente come si conviene alla filosofia del Regno di mezzo, l'antico con il contemporaneo, slegandosi definitivamente dal binomio obbligato della musica e dell'opera cinese e hanno convinto nella maniera più totale, facendo così dimenticare i nugoli di zanzare, antiche compagne fedeli della manifestazione. 

Una dozzina di quadri per presentare quello che è la danza oggi in Cina, dalle sinuose ed eleganze movenze Tang, alla forza ed alla tradizionale atleticità acrobatica dei movimenti, al folklore delle minoranze, all'aspetto enfatico della rivoluzione. Ecco dunque la bellezza dei costumi ed il rutilare dei colori, l'insieme che appare così omogeneo dei movimenti tradizionali e codificati, uniti alla tipica espressione plastica della danza contemporanea o gli schemi più tipici del balletto classico russo, l'elaborazione affascinante delle tecniche delle arti marziali dal Wu Shu, al Tai Ji, al Ba Gua e dall'uso delle armi dalla spada al ventaglio. "Fare emergere il nuovo attraverso il passato", un melange convincente che rappresenta davvero la migliore Cina di oggi, quella che non rinnega la sua cultura millenaria, che la rivitalizza e che assorbe, mediandole con la sua cultura, il meglio delle espressioni che arrivano dal mondo, imparando/copiando (vi ricordo che l'ideogramma per queste due parole è lo stesso) nel senso più positivo del termine per arrivare ad un risultato originale e valido. E' questa la Cina che dovremmo temere, quella che con testarda determinazione e impegno sa creare e quando lo fa, lo fa bene ed in modo convincente.


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lunedì 25 luglio 2011

Il seme dell'odio.

Diceva un tizio che prima di aprire la bocca e dare fiato, bisogna aspettare un attimo, perlomeno attaccare la spina al cervello, cosa che richiede sempre un po' di tempo, quello necessario tanto per capire come stanno le cose e magari ragionare in maniera un po' più lucida e non stravolta dall'emozionalità dei fatti. Certo, chi può non essere colpito dalla vampata di violenza di Oslo, dalla furia cieca ed insensata, quella che solo l'odio puro sa generare fino alle sue estreme conseguenze? E' un difetto genetico incistato nella nostra specie, questo male oscuro che cova in tanti di noi, che sta lì acquattato e silente, pronto a ravvivarsi ed esplodere. Basta poco, è sufficiente rinfocolarlo man mano con parole suadenti, con teoremi basati su fatti concreti ma volti a dimostrare la correttezza e la necessità della volgarità e dell'egoismo insensato, naturalmente volto a difendere, a proteggere il nostro, il particulare. Disprezzare con scherno il vivere civile, etichettandolo con qualche neologismo d'accatto, ad esempio il buonismo, con cui ci si può gigioneggiando riempire la bocca, e tutto si giustifica, anzi si colora di necessario. E la cellula maligna dell'odio cresce, prende vigore e si fa mostro e, come una metastasi, infetta la società sana e si ramifica qua e là conducendo l'intero corpo verso la fine. 

Così anche lassù, l'estremo nord in cui tutto è sereno e tranquillo, ricco ed efficiente, scopriamo la presenza di nuclei malati e pericolosi, che naturalmente già si conoscevano, ma le grancasse di chi in fondo li sostiene e di coloro che si nutrono dell'odio come di una ambrosia, sottovalutano interessatamente, che ben altri sono i problemi, anzi in fondo questi sono dalla nostra parte. Ecco, come riporta La Stampa, l'intervista a botta calda del famoso politologo Stale Ulriksen. "Dopo gli attentati islamici a Stoccolma e a Copenhagen era naturale che sarebbero arrivati anche qui. Inoltre AlQaeda ha più volte indicato i nostri governi come una minaccia per il mondo islamico". E alla richiesta se potesse esserci una matrice politica interna : "Sarei molto sorpreso. Il binomio violenza-politica qui non si è mai affermato. Siamo un paese tranquillo". Certo un paese che conta circa 20.000 simpatizzanti per movimenti neo-nazi che in queste ore stanno scatenando sul web una furia di inneggiamenti all'attentatore, un paese con un fortissimo partito nazionalista, anche se non forte come quello della vicina Svezia o come la Finlandia di cui abbiamo parlato nei giorni scorsi. Tutti sapevano già tutto. La famosa scrittrice Anne Holt sebbene dica che è bene aspettare che polizia faccia il proprio lavoro, poi sbotta:"Vuole che dica quello che penso? Tutto porta a concludere che sia un attacco islamista e ci sono molte buone ragioni intorno a cui riflettere". 

Riflettere, questo è il punto, questa è la difficoltà. Nessuno che vuol fermarsi un attimo a riflettere sul punto del seme di odio che viene seminato proprio dal pensiero religioso come categoria. Perché è proprio la fede, l'assenza del dubbio, difetto vituperato e non ammesso, la certezza di essere nel giusto che dipinge chi non la pensa come te come un nemico pericoloso da eliminare, quello che fa, nascere all'interno di ogni pensiero trascendente lo steccato fondamentalista che si deve preparare alla distruzione dell'altro. Anche in paesi apparentemente avanzati e sereni, dove la ragione sembrerebbe trionfare, anche qui la parte peggiore del clericalismo si muta in difesa della razza o dell'identità culturale o di qualunque altra forma che permetta la genesi di altro odio, in quelle persone , molte purtroppo che probabilmente per prima cosa odiano sé stesse. Così il fatto che in Giordania sia stata dedicata una moschea a Gesù, ha fatto subito storcere il naso a molti ambienti cattolici, perché qui se no si finisce con avallare il relativismo e poi dove andiamo a finire. Certo ci vuole anche chi ci soffia sopra al fuocherello, chi non aspetta altro per farlo diventare fuoco pieno e poi incendio devastante, sono sufficienti anche le copertine dei giornali , anche se poi magari basta aspettare di sentire i fatti e vieni obbligato a ritirarle precipitosamente e a rifare tutti gli articoli interni (anche se poi il giorno dopo ospiti un articolo di Magdi Allam, una vera perla da non perdere).



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domenica 24 luglio 2011

Il Milione 51: Religioni a confronto.

Vacche per le strade.

Chi arrivi in India, qualunque sia la motivazione, non può che rimanere colpito dall'aspetto religioso. Oltre ovviamente all'induismo che la fa da padrone e all'Islam che lo segue in quanto a numeri, praticamente tutte le religioni del mondo vi sono rappresentate significativamente a partire dai Cristiani nelle varie versioni, Ebrei, Buddhisti e tutta la galassia religiosa prodotta dall'India stessa nelle varie epoche, dai Giainisti ai Sigh, inclusi i residui delle antiche religioni del sole del medio Oriente con i Parsi. Le foreste e le montagne ospitano poi una costellazione variegata di animismo complesso. Tutto questo, come si confà all'animo estremista di ogni credo, tra grandi contrasti non certo soltanto verbali, ma assolutamente fisici con morti e feriti. Questo stupisce chi è legato all'idea di un'India da cartolina, pacifista e sorridente, assolutamente lontana da una realtà in cui gli animi, ben guidati, si infiammano con grande facilità. Marco Polo ci descrive tutto questo come meglio non potrebbe fare un cronista di oggi. Sentiamo cosa dice del noto stereotipo della vacca sacra.

Cap. 170
Questa gente adora l'idole e la magior parte il bue chè dicono che è buona cosa; e veruno v'à che mangiasse di quella carne, né nullo l'ucciderebbe per nulla. Ma è una generazione di uomini ch'ànno nome gavi che li mangiano.

Come stupirsi che i bovini siano considerati sacri, dal momento che forniscono forza lavoro, latte e soprattutto sterco che, seccato, costituisce  il combustibile più usato in India, la cui raccolta è appannaggio e compito delle giovani ragazze. Eppure, ho sentito più volte qualcuno blaterare, ma se muoiono di fame perché non mangiano le vacche? E' un po' come pensare a chi si mangia le sementi, un sacrilegio in ogni società antica. E' solo da poco, nelle comunità opulente e sprecone che la carne di bovino, un vero sperpero di risorse, è entrata nell'uso comune. Naturalmente anche laggiù, le vacche muoiono ed ecco che ci sono gruppi non induisti che ne utilizzano la carne. Un costume che va secondo la logica. Della presenza Cristiana abbiamo già detto la volta scorsa con la presenza importante della presenza di San Tommaso in Kerala, ma veniamo ad un culto particolare oggi presente in Orissa. 

Il dio Jagannath e i fratelli
Cap. 172
Ancora vi dico che questa gente fanno dipingere tutti li loro idoli neri ed altri bianchi come neve , chè dicono che il loro dio e i santi sono neri. 

Qui si riferisce al culto di Jagannath, una delle incarnazioni di Shiva, venerato nel grande tempio di  Puri e raffigurato completamente nero con grandi occhi bianchi e accompagnato da fratello e sorella più piccoli bianchi e privi di braccia. Il tempio è off limit ai non indù e per mia figlia che vi entrò, accompagnata dal nostro autista, mescolata tra la folla, fu una esperienza molto forte. Ma ecco la descrizione della casta brahaminica che meglio non potrebbe essere fatta oggi.
Bramino nel tempio.

Cap 173
Questi bregomanni sono i migliori e più leali del mondo chè mai non direbbero bugia, né mangiano carne, né non beuono vino. E stanno in molta onestade e mai toccherebbero altra femina che la loro moglie, né ucciderebbono veruno animale, né non farebbono cosa onde credessoro di avere peccato. Tutti li bregomanni son conosciuti per un filo di bambagia ch'egli portano sotto la spalla manca e si il legano sopra la spalla dritta. si ché gli vene il filo a traverso il petto e le spalle. Questi bregomanni vivono più che la gente che sia al mondo, perché mangiano poco e fanno astinenza e li denti ànno bonissimi per una erba che usano mangiare.

Venditore di Betel
Noce di betel.
E qui si riferisce al Betel, la cui continua masticazione e salivazione con le conseguenti sputazzate rosse ad ogni pié sospinto colpiscono tutti i visitatori del subcontinente. Per quanto riguarda il filo che viene dato ai ragazzi della casta dominante e che si portano sulla pelle per tutta la vita, direi che meglio non potrebbe essere descritto. Ed ecco invece come ci racconta del Jainismo dopo aver visto senza dubbio il santuario di Sravanabelagola nel Karnataka con il monolite scolpito più grande del mondo raffigurante Gomateswara, il fondatore di questo credo di purezza, completamente nudo.

Cap 173
Statua di Gomateswara.
E vanno tutti ignudi senza coprire loro natura, alcuno di questi regolati e quando sono dimandati "perché andate voi ignudi?",e quelli dicono perché nulla vogliono in questo mondo: " Noi non abbiamo vergogne di mostrare nostre nature, perché noi non facciamo con esse veruno peccato e perciò non abiamo vergogna più d'un vembro che d'altro. Ma voi che li portate coperti e perciò che voi li adoperate in peccati e perciò avete voi vergogna".

Omnia munda mundis, si è poi detto da altre parti, no? Prepararsi dunque, se andate laggiù ad un menù vegetariano con tante salsine di cocco e banane, tipiche del sud, ma non fatevi mancare per accompagnamento i classici pappadam (conosciuti con mille altri nomi a seconda della zona, da papad a happala, papadum e così via, ricordando che l'India è un paese da 700 lingue senza considerare i dialetti, vedere la ricetta da Acquaviva) le croccanti piadine fatte di farina di riso o lenticchie o altri legumi, con mille ricette locali diverse. 



Puppadam - da wikipedia

Refoli spiranti da: Marco Polo - Milione - Ed.Garzanti S.p.A. 1982


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Andamane.
Un indovino

Tibet misterioso.




sabato 23 luglio 2011

La fontana di Trevi.

L'estate fa scendere sulle cose una sottile mano di pigrizia, come un decoratore che passi una vernice trasparente e protettiva sullo steccato del giardino, quasi a difendere un'intima voglia di far niente. Tutto si adegua a questa china, cominciando lieve alla fine di giugno per precipitare poi ad agosto nella totale abulia di corpi e menti. La televisione si adegua per prima a questa linea e ripesca a piene mani nel calderone delle cose morte e inguardabili, con acquisti massicci dalla televisione tedesca o nordica in generale. Qualche volta ed è la salvezza, ripesca nell'infinita produzione dei film d'annata e ricompare, come un frutto insperato tra il marciume del sottobosco qualche fragolina profumata ad esempio dalla serie dei film di Totò. Uno dei miei preferiti è quello in cui tentano la vendita della fontana di Trevi al turista di passaggio. E' un topos famoso ma sempre irresistibile quella del pacco rifilato al maccus di turno delle Atellane, personaggio che non ci è per niente simpatico e che anzi vediamo gabbato con piacere perché in fondo è certo che se lo merita, oltre che ignorante è sicuramente di poco valore e i soldi deve averli fatti senza merito. 

Uno dice, beh, sono situazioni che vengono esagerate per dare divertimento proprio grazie alla loro estremizzazione. Mica vero, in realtà se si vuole guardare con attenzione i fatti di tutti i giorni, non è difficile ritrovare continue ripetizioni degli stessi eventi apparentemente incredibili. Partendo dal post di ieri, dove ho voluto evidenziare il fatto che sarebbe bene anche indagare come vengono spesi i soldi della ricerca, voglio anche oggi tornare a parlare di economia, argomento importante ancorché noioso. Infatti il cardine di queste giornate convulse per i mercati è stato il salvataggio della Grecia, banco di prova della capacità dell'Europa di fare fronte al più potente attacco all'Euro che sia mai stato fatto. Per una economia esangue come quella americana devastata da un decennio di errori politici con i conseguenti risvolti economici che hanno incrinato la stabilità mondiale, l'euro è un potente avversario, la cui debolezza, se sfruttata, potrebbe contribuire forse a salvare i conti della prima potenza mondiale. L'incapacità di trovare una vera unione politica, minata dai particolarismi nazionali sta dando una mano notevole ad andare in questa direzione e la speculazione lo ha capito molto bene. 

Il noto detto che se il mercato crede che tu abbia un problema, tu hai un problema, è sempre valido, ancor più in questa situazione. Comunque stavolta pare che si sia riusciti a convincere la Merkel che il salvataggio greco conviene soprattutto alla Germania stessa e il resto dei riottosi nordici ha dovuto obtorto collo, accodarsi. Qualcuno però, come sempre, ha voluto distinguersi. Qualcuno, i Finlandesi, probabilmente consigliati dalle stesse teste fini, scelte tra i ricercatori economici di cui vi ho parlato ieri, hanno dichiarato che in fondo la Grecia possiede un patrimonio naturale ed artistico notevole e che quindi, come riportano i giornali, avrebbe dovuto dare in garanzia del prestito, alcune isole e soprattutto il Partenone e le rovine di Olimpia, valutando il pacchetto a circa 300 miliardi. Se questo è l'andazzo, ragazzi, possiamo comprare i nostri BOT di futura emissione più a cuor leggero e cominciare a preparare i nostri ganci vicino al Colosseo e agli Uffizi. Alla fontana di Trevi direi di no, magari hanno visto il film. Recita la Stampa che attualmente il governo finlandese è in mano ad una destra che si potrebbe definire Leghista. Non avevo dubbi.


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venerdì 22 luglio 2011

Crescita del PIL e non solo.

Vi prego di non saltare a pié pari questo post giudicandolo subito troppo tecnico, non siate superficiali e andate a fondo nelle cose. Sapete quanto mi interessi l'argomentare sull'economia in generale e sugli aspetti che quest'ultima gioca all'interno della geopolitica. La maggior parte degli eventi, del maggiore o minor benessere della gente e l'andamento definitivo della storia dipendono quasi completamente da questo. Quindi quando trovo qua e là sul web qualche notizia che getta luce su qualche aspetto di novità o che comunque illustri i concetti economici mettendosi da punti di vista diversi dai tradizionali, mi ci butto subito per cercare di rimanere informato. Così ieri una notizia particolarmente ghiotta, ripresa da Cristiana con Aspettiamoci una insurrezione, ha richiamato la mia attenzione su un importante studio dell'Università di Helsinki, appena pubblicato. Il lavoro del Centro di ricerche economiche, piuttosto corposo che  vi invito a scorrere per intero qui, è teso a dimostrare con l'inoppugnabilità delle cifre e dei grafici le correlazioni tra uno dei parametri fondamentali per l'uomo e la sua efficacia nel mondo economico ormai globalizzato. Già lo stesso parametro era stato esaminato e pare senza contraddizioni, nella sua correlazione, confrontandolo col valore del Q.I medio dei vari popoli, come vi avevo già relazionato qui, suscitando una reazione indispettita da parte della Cina che era risultata agli ultimi posti. Ma si sa che quando si dà dello stupido a qualcuno anche solo coi numeri la reazione difficilmente è positiva. 

In questo caso, invece, il valore del PIL pro capite e la sua crescita nel tempo, è un numero inoppugnabile che misura il benessere di una nazione e c'è poco da offendersi. Per meglio delineare la valutazione, gli studiosi finlandesi hanno eliminato dallo studi i paesi produttori di idrocarburi, elemento che influenza, senza merito, il dato, in modo sbagliato. Si sono quindi presi in esame la crescita del PIL di 76 paesi tra il 60 e l'85 (intendo gli anni, non altro), relazionandoli con la lunghezza media del pene dei suoi abitanti (maschi), di cui evidentemente un apposito organo internazionale, tiene aggiornate le tabelle. E' emerso quindi in modo inequivocabile una relazione che potremmo definire a campana o a cappuccio, come potete vedere dalle tabelle molto sofisticate, che sanciscono un andamento quasi costante nello sviluppo dei due dati. Infatti per i paesi con misura media mediana (13,5 cm) si ha una massimizzazione del dato economico, mentre ai lati estremi della curva, (al di sotto degli 11 o decisamente oltre i 16 cm delle popolazioni sudamericane e africane, certificando un luogo comune assai diffuso) si va ad un vero e proprio collasso dello sviluppo economico, quasi che costoro avessero altre cose per la testa, invece che di occuparsi di economia. Si conclude col risultato inoppugnabile che nel quarto di secolo esaminato, la crescita del Pil è correlabile significativamente alle dimensioni dell'organo maschile e questo inciderebbe da solo per il 20% della crescita economica, concludendo e qui cito testualmente che : the `male organ hypothesis' put forward here is robust to exhaustive set of controls and rests on surprisingly strong correlations

Sarebbe interessante riesaminare lo studio nel quarto di secolo successivo, alla luce dell'esplosione delle economie orientali notoriamente criptopeniche; pare che i cinesi ci stiano lavorando di brutto all'insegna di piccolo è bello. Le conclusioni puntano a suggerire, con la cosiddetta "male organ hypotesis", di tenere conto di questo aspetto nelle valutazioni previsionali degli andamenti economici futuri e questo basta a sottolineare l'importanza di investire nella ricerca, argomento, ahimé, negletto nel nostro paese. Ho già capito adesso ve ne starete lì eretti nelle vostre torri d'avorio a guardare con occhio malevolo, ma la scienza è scienza e questi qua, sono tra le prime università del mondo e non stanno lì a pettinare le bambole; tutto è stato valutato secondo i più sofisticati strumenti della scienza statistica, tanto per dire questa è la formula utilizzata nello studio, per i particolari tecnici della quale vi rimando direttamente a pag. 5 del lavoro:


ln GDPi = beta 0 + ln Xi beta + ORGAN1igamma1 + ORGAN2igamma 2 + Di delta + mu i

Le più curiose, lo dico perché la maggioranza del mio pubblico è femminile e questo è anche un blog di servizio, potranno esaminare la situazione dei paesi citati, nelle tabelle dimensionali a pag. 15 e 16, utili non solo per organizzare le vacanze. Noterete tristemente che anche qui l'Italia con i suoi 15,74 (le misure sono molto precise e vanno al decimo di mm) è appena dietro ad Haiti (16,01), proprio come, destino bastardo, nella crescita del PIL. Se qualcuno si permettesse di aver da ridire sulla serietà della ricerca, basta che scorra un attimo la ricca bibliografia tra cui spiccano anche capisaldi come : K. Siminoski & J. Bain (1993). `The relationships among height, penile length, and foot size'.




Refoli spiranti da : Helsinki Center of Economic Research - Male Organ and Economic Growth: Does Size Matter?  -  July 2011



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Lao shi.

giovedì 21 luglio 2011

L'orologio della ferrovia.

Ci sono a volte piccole cose o situazioni apparentemente di poca importanza che se trascurate ti lasciano come un sottile senso di colpa, una sfumatura di amarezza per un compito non svolto soltanto per pigrizia. Mio papà faceva il ferroviere, deviatore capo, come ci teneva a precisare e come tale è sempre stato legato ad una certa precisione per quanto riguardava l'ora. Si sa che una volta i treni arrivavano sempre in orario e questo è ormai un paletto fisso e inamovibile. Dunque a quel tempo ogni ferroviere veniva dotato di apposito orologio, per sua natura e necessità precisissimo a prescindere. Era un grande orologio da taschino con catena allegata di una serie speciale costruita appositamente per le ferrovie dello stato, anzi FF SS, allora istituzione sacra e immagine di serietà assoluta che veniva fornito gratuitamente e una sola volta nella vita. Era quindi un segno distintivo, una mostrina significante, un segno del comando in possesso di chi, evidentemente responsabile, doveva avere una certezza assoluta dello scorrere del tempo per regolare di conseguenza, in virtù di tabelle e orari, azioni e decisioni da cui sarebbe dipeso il regolare flusso del traffico. Si trattava di deviare i treni di volta in volta, decidendo quale binario era il migliore, smistando il traffico ed evitando magari di mandarne due sullo stesso binario alla stessa ora. 

Andando in pensione l'orologio rimaneva di proprietà del ferroviere stesso, quasi fosse una medaglia al valore, un riconoscimento che mantenesse anche a lavoro finito un segno distintivo di appartenenza ad una congregazione. Così l'orologio lasciò per sempre il taschino e rimase per decenni appeso ad un piccolo supporto sul mobile di quello che negli anni '60 si chiamava tinello. Ogni sera alle nove in punto, mio papà lo prendeva tra le mani con cura e, forse era una mia sensazione, gli dava un'occhiata acquosa piegando leggermente la testa da un lato, chissà se ricordando qualche fatto importante o semplicemente con un refolo di nostalgia, poi lo caricava facendo girare avanti e indietro il pomellino dentato superiore con un movimento ritmico sempre uguale, facendo attenzione a non spingerlo troppo a fine corsa. Poi lo riappoggiava con cura al suo supporto dandogli ancora un'ultima occhiata languida. L'esattezza dell'ora non veniva neanche controllata, neppure quando la radio dava l'ora esatta con il cinguettio dell'uccellino del Gazzettino Padano (incredibile, si chiamava proprio così il notiziario dell'una). Sarebbe stato come mettere in discussione un dogma. Quando me lo sono portato a casa mia, quel famoso orologio, l'ho messo pressappoco nella stessa posizione in cui ha stazionato per quasi cinquanta anni. 

Il cambio di abitudini è spesso deleterio per gli anziani e non avrei voluto che qualche posizione negativa (così almeno prescrivono le regole del Fang Shui) avesse influenza sulle sue performances, anche se avevo provveduto a fargli fare un check up completo prima di spostarlo. Il fatto è che adesso che sta lì ed è venuto il mio turno, ogni tanto, anzi se devo essere sincero, spesse volte, mi dimentico di caricarlo. Così, quando mi volto e ci fissiamo per un attimo, io per sapere l'ora, lui per dirmela, mi accorgo di colpo della mia smemoratezza e lui, fermo con le lancette bloccate, mi guarda con una espressione di muto rimprovero. No, certo non è arrabbiato con me, ma mi pare scrollare un po' il capo come a dire che non c'è niente da fare, dove avranno la testa 'sti ragazzi, cosa combineranno nella vita se neanche si ricordano di caricare l'orologio. Io allora lo prendo quasi di soppiatto, giro e rigiro la rotella quasi facendo finta di niente, come se pensassi ad altro, ma sto bene attento a non forzare il fine cosa, poi lo rimetto al suo posto e me ne vado al computer senza voltarmi. Ma quegli occhi continuo a sentimeli dietro le spalle come una carezza leggera.


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mercoledì 20 luglio 2011

Tanti auguri!

Permettetemi di togliere un piccolo spazio alla chiacchiera con cui rubo di solito la vostra attenzione ma oggi vorrei dedicare queste due righe per fare gli auguri alla mia gentile signora che compie gli anni e vi assicuro che se li merita.




GRAZIE TIZIANA.

Cronache di Surakhis 41: L'introduzione del ticket.

Paularius si era svegliato con un tremendo mal di testa. Dovunque si girasse, fitte lancinanti lo prendevano dalla base del collo per irradiarsi su su fino alla fronte. Certamente la festa della sera prima aveva avuto la sua parte e forse era ora di prenderla un po' più calma come gli consigliava continuamente il suo medico personale. Oh, al diavolo, come si fa a resistere alle Succhiatrici di Vega; avrebbe voluto vedere quei minchioni di Morigeratores che la menavano continuamente, al suo posto, con tutti quegli orifizi a disposizione e come si davano da fare, per poi niente altro che qualche posticino di sottogoverno che non si nega a nessuno. Ma forse non si trattava solamente delle pasticche che aveva preso, beh, un aiutino ogni tanto ci voleva pure, erano tutti i problemi che aveva dovuto affrontare nei giorni precedenti per il varo della Manovra, la colossale nave costruita appunto per risolvere i problemi economici del pianeta, sotto assalto della speculazione galattica che si era scatenata nella settimana precedente. 

Naturalmente non andava bene a nessuno e tutti protestavano per difendere i loro privilegi, ma questa volta Paularius poteva dormire sonni tranquilli. Il gruppo di lavoro costituito da lui ed un gruppo di equidi di Antares IV appositamente promossi ad assistenti ministeriali, si era imbarcato nella Manovra ed aveva messo insieme un piano che non solo prevedeva prelievi a pioggia per tutti, ma finalmente, per dare un esempio morale aveva introdotto tagli anche alla casta governativa dei Putintheass. Uno dei punti più offensivi per il popolo erano infatti i noti privilegi delle pensioni d'oro. Era questa una antica prebenda che giustamente spettava alla casta dominante. Quando infatti costoro potevano finalmente riposare, dopo i lunghi giorni  trascorsi negli impegni di governo (ormai si era arrivati a superare i dieci giorni l'anno), maturavano il diritto di risiedere in edifici detti appunto Pensioni d'oro, sulla riva del Mar della monnezza di Novigorad, le cui mura e tutti i mobili inclusi erano fatti del prezioso metallo.  

Questo indispettiva naturalmente i miliardi di Keepintheass costretti a trascorrere l'annuale giorno di riposo previsto in buchi, peraltro confortevolissimi, appositamente scavati nelle scogliere di monnezza. Naturalmente si trattava di un provvedimento demagogico per calmare la piazza, anche se ingiusto, ma si era deciso un taglio netto e da quell'anno la annuale spalmatura d'oro dei soffitti delle pensioni sarebbe stata ridotta di spessore di almeno un millimetro, sacrificio duro ma di grande impatto psicologico. A parziale compenso si pensava di aumentare la disponibilità di Succhiatrici, ma di questo non era opportuno parlare ufficialmente. Bene, neppure questo era bastato a calmare i bollenti spiriti di quei rompizebedei dei Morigeratores. Era infatti partita una campagna di stampa contro il provvedimento più contestato, quello dell'Introduzione dei Ticket. Eppure si doveva capire che quello era un provvedimento necessario per salvare la Sanità dalla rovina. Era ormai impossibile continuare a prelevare gli organi dovuti a chi non poteva più pagare le tasse in modo totalmente gratuito. 

Così il sistema non avrebbe retto a lungo. Eppure il sacrifico richiesto non era poi così gravoso. Bastava che ogni Iscritto alla mutua dei prelievi di organo, si presentasse qualche minuto prima dell'inizio del lavoro, nell'infermeria della relativa fabbrica, mettendosi a 90 gradi sugli appositi lettini approntato per l'uso. Qui sarebbe loro stato introdotto il ticket nell'orifizio del caso a seconda della razza, per gli umanoidi nello sfintere terminale del colon, per gli ornitoidi nella cloaca digestiva, per i gasteropoidi nell'unico buco che avevano, tanto per loro bocca o culo erano la stessa cosa. Questo ticket era una forma parassitoide di M31 scoperta da poco che rimanendo in loco per tutta la giornata risucchiava parte delle sostanza nutritive del mutuato che veniva poi liberato alla sera, prima di tornare a casa. Qualcuno, tanto per piantar grane, si lamentava del fatto che il ticket, andando su e giù tutto il giorno, provocava fastidiosi arrossamenti e dilatazioni difficili da rimarginare, ma via, qualche sacrificio lo si deve pur fare se si vuol salvare il pianeta.


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martedì 19 luglio 2011

Ma Jong.

Immagine da Wikipedia
Sono passati tanti anni. Lo storico Bar Baleta di Alessandria ha chiuso da tempo. Quando se ne parla chiedendosi come fosse possibile l'esistenza di un luogo di quel genere, allo stesso tempo club, bar, centro di vita sociale e studentesca, chi è giovane ti guarda con stupore perché neanche ne ha più sentito parlare e si chiede cosa ci fosse di così speciale in un locale per ricordarlo ancora così dopo tanti anni dalla sua chiusura. E' un mistero, specialmente per una città come la nostra, così poco disposta a lasciarsi andare agli entusiasmi. Ma non è di questo che volevo parlare. In quel posto venivano praticate anche attività inconsuete e quando arrivava una novità, veniva subito accolta ed esplorata per carpirne i meccanismi. Così negli anni 60, non si sa come, forse Gino, l'anziano proprietario, potrebbe spiegarcelo se ne avesse voglia, comparve inopinatamente il Ma Jong, un gioco, famosissimo e molto praticato in Cina, ma che con la nostra città proprio non c'entrava per nulla. Si creò subito un gruppo di appassionati che si radunavano in fondo alla saletta dietro il bancone in interminabili partite. 

Si tratta di un gioco da tavolo per quattro giocatori costituito da 144 tessere che si usano come quelle del domino, ma con regole che si avvicinano a quelle della scala quaranta, con in più una serie perversa di un sistema di raddoppi dei punti che moltiplica vincite e perdite, tipico della passione per l'azzardo dei cinesi. Anche il suo nome 麻将 o 麻雀, mah jong, è di difficile interpretazione. Significa "l'uccello della canapa", forse motivato dal picchiettio delle tessere scartate che vengono gettate su tavolo velocemente dai giocatori. Ti sentivi come in un club esclusivo a discutere e parlare, di venti, di stagioni, di fiori e di draghi, caratteri e bambù, mentre intorno calavano i tarocchi e la briscola in cinque, mentre i più dandy si cimentavano nel bridge. Qualcuno favoleggiava che si giocasse anche in Romagna, ma nessuno ce lo confermò a quel tempo, oggi lo trovi facilmente globalizzato sul web. Poi, nel '74 quando andai per la prima volta ad Hong Kong, passeggiando per i mercati e le strette vie di Weng Chai o sulle banchine di Aberdeen dove ancora c'erano solo una distesa infinita di piccole giunche e grandi cappelli rotondi da pescatore, mentre la selva di grattacieli non era ancora nell'immaginario, subito riconobbi il ticchettio delle tessere che, sbattendo sui tavolini di plastica, usciva dai piccoli locali mescolato alle esclamazioni di decine di giocatori di tutte le età che si affannavano, scommettendo, perdendo o vincendo il guadagno della giornata. 

Stesse espressioni imbronciate o grida di giubilo. Giocatori che si alzavano sghignazzando, andandosene via coi soldi guadagnati ed altri che, perdenti rimanevano lì seduti a rimuginate le mosse e gli scarti che avrebbero dovuto fare per vincere, guardando con odio le tessere di plastica sparse sul tavolo che avevano decretato la loro sconfitta. Un contesto così esotico per situazioni così universali, che ritrovi a Las Vegas o in una qualunque sala bingo nostrana. Non seppi resistere alla tentazione e mi portai a casa un set di gioco, scelto con cura in un piccolo negozio dietro il mercato degli uccelli. Il venditore mi distolse subito dai volgari mucchi di tessere di plasticaccia da poco prezzo e con sapienza orientale mi propose un cofanetto di tessere di osso col dorso di bambù dipinte a mano, che seppe subito magnificare con sguardo eloquente. "This is garbage - mi disse indicando la robaccia ordinaria - this is for life". Me ne andai con la mia scatoletta nera sotto il braccio conquistato da una sensazione, da una magia esotica, quella di portarmi a casa un pezzo di un mondo lontano che però già mi apparteneva. Anni dopo il mio amico Ping si stupì che avessi un Ma Jong e apprezzò le tessere dai caratteri eleganti, ma la versione di gioco che lui conosceva era molto più semplificata e rapida. "Giochi come faceva mio nonno" mi disse ridendo. La Cina moderna corre veloce e non vuole regole troppo complicate da seguire. Anche per l'impero di mezzo ormai sono un anziano.


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domenica 17 luglio 2011

Il milione 50:Terre d'acqua e monsoni.

Costa del Malabar vicino a Trivandrum.

Cap. 170
Sadhu in un tempio del Kerala.
Quando l'uomo si parte dall'isola di Sella (Ceylon) e va per ponente 60 miglia, truova la grande provincia di Maabar, ch'è chiamate l'India magiore e questa è la miglior India che ci sia ed è de la terra ferma. E v'à sì grande caldo ch'è maraviglia e vanno ignudi salvo lor natura; e no vi piove se no tre mesi a l'anno, giugno, luglio e agosto e se no fosse questa acqua che renfresca, vi sarebbe tanto caldo che veruno vi potrebbe campare. Lo corpo di santo Tomaso apostolo è nella provincia di Maabar e vengono molti cristiani e saracini in pellegrinaggio.

Casa inondata dal monsone.
Ormai ci sentiamo anche noi sulla nave di Marco Polo che torna verso casa e lasciata l'isola di Ceylon risale la costa indiana del Malabar, ripercorrendo proprio la strada che io stesso feci tanti anni fa per concludere la vicenda che si è rivelata la più importante della mia vita e per questo mi è tanto cara. Ci fui in agosto quando davvero aspettavi ogni giorno l'acqua che rinfresca, quella razione di monsone che rende possibile la vita e ne fa una terra di acque come nessuna altra; dove ci si può spostare nelle backwaters su lunghe barche come un tempo vedendo la vita che scorre lenta attorno a te sui bordi dei canali, nelle capanne dai tetti di palma popolate da una umanità nuda con un piccolo straccio bianco attorno ai fianchi e ci fui in aprile, quando il caldo diventa davvero insopportabile e la gente è triste, bagnandosi nelle pozze fangose e nei fiumi quasi in secca, mentre, guardando le nuvole gonfie che passa nel cielo senza fermarsi, aspetta l'arrivo vivificante del primo temporale che segnerà l'inizio della stagione delle piogge. Anche oggi, questa terra che corrisponde grosso modo allo stato indiano del Kerala, è zona ad alta densità cristiana sia per l'arrivo su queste spiagge dei portoghesi che per la venuta storica di San Tommaso che vi portò la predicazione fin dal primo secolo. Allo stesso tempo è sempre la zona indiana più ricca ed evoluta e l'ultima volta in cui ci sono stato, sei anni fa, si nota di certo un benessere ed una qualità di vita superiore a quella del resto del subcontimente, certamente dovuta allo scambio commerciale incessante che, nei secoli, è avvenuto con il vicino oriente e che oggi è rappresentato dalle fortissime rimesse degli emigranti nel mondo arabo. 

Cap. 176-177
Racemi di pepe.
Qui à sì grande caldo ch'a pena si puote sofferire , che se toglieste un  uovo e metesselo in alcuno fiume, non andresti quasi niente che sarebbe cotto. Egli ànno grande mercato d'ogni cosa e spezia chè si à pepe e giongiove e canella e turbitti e garofano e spigo e il bucherame (cotone) più bello del mondo. Non ànno biada né grano, ma molto riso. Questo reame dura fino a una contrada che si chiama Comacci (cap Comorin) che sì è in India  e da la quale contrada si può ancora vedere alcuna cosa della tramontana e questo luogo non è molto domestico ma sente del salvatico.

Stampa a mano su cotone.
Una terra, il Kerala, straordinariamente verde di risaie e di canali segnati da file di palme da cocco, dagli odori e dai sapori forti, talmente forti che anche mangiare non è facile se siete di bocca dolce come me che disperatamente chiedevo di non mettere spezia alcuna nei piatti che si ordinavano, privilegiando ove offerto, il pollo arrosto. Ma bastava avvicinare alla bocca una cucchiaiata delle invitanti melanzane del contorno ed il fuoco vivo ti infiammava le mucose rendendole a lungo insensibili, anche se si tentava di allungare con grandi quantità di riso pilaf. Il cameriere allargava le braccia alle rimostranze, ribadendo che ne erano state messe solo un po' perché diversamente non sapevano di nulla. Una terra che finisce nel mare, una punta di roccia che è l'estremo sud dell'India, dove a stento la notte, riesci a scorgere la stella polare alle tue spalle, bassissima sull'orizzonte. Un promontorio, Cap Comorin o come lo chiamano laggiù, Kanya Kumari, davvero selvaggio e icastico allo stesso tempo, dove le acque dei tre mari si fondono assieme in un matrimonio mistico a rappresentare le tante anime indiane con i suoi estremismi e la sua sensualità trattenuta, la sua violenza a contrasto della sua natura mite, dove gruppi colorati di ragazze vanno a guardare l'infinito e a pregare per un matrimonio felice. Ramesh, il nostro autista, se le guardava compiaciuto e ridacchiava pensando ai suoi due figli maschi e a quel disgraziato di suo fratello che, avendo tre femmine, per sposarle decentemente, dando loro la dote adeguata, si sarebbe completamente rovinato.

Cap Comorin - Kanya Kumari

Refoli spiranti da: Marco Polo - Milione - Ed.Garzanti S.p.A. 1982


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