sabato 30 novembre 2013

Analisi politica delle urine.

Non ne posso più di politica chiacchierata e non ho proprio voglia di parlare di questo fastidioso argomento, troppo escrementizio davvero. Solo viaggi, cibo e filosofia, meglio se orientale. Quindi siccome sono soprattutto coerente, in questo sabato mattina in cui comincia a cadere una neve sporca da città, quella che inzacchera di schizzi di auto e bagna i piedi, voglio proprio fare un esame dettagliato della situazione generale politica italiana. Vorrei analizzare i gesti degli ultimi giorni dei vari attori in campo, cercando di capire quali sono le vere ragioni che li hanno provocati e gli scenari possibili, naturalmente secondo il mio punto di vista parziale e dilettantesco. Partiamo da Grillo che mi sembra il più semplice. L'arruffapopolo e il suo burattinaio, avendo esclusivamente un fine di caos eversivo, ritengono scampato, almeno sul breve periodo, il pericolo che i propri elettori occasionali, quelli stanchi della vecchia politica di ogni parte, ritornino nelle loro case di appartenenza, dopo aver fatto la prova ed aver visto che il loro voto, carpito grazie alle tristi prove che stanno dando i partiti tradizionali sempre più divisi, litigiosi e inconcludenti, era stato inutilizzato. Spingono pertanto sulla leva classica del populismo d'accatto, sfruttando tutti i temi più facili, tutti ladri, siamo al disastro, la gente è alla fame e si suicida, gli immigrati portano via il lavoro, che non c'è e non ci sarà più, la crisi aumenterà ancora e sbandiereranno sempre di più il tema dell'Europa dei cattivi gnomi, tema vincente nei momenti di crisi, che dà ampio spazio ai partiti isolazionisti e filonazisti di tutto il continente. 

Ovviamente spinge al massimo per monetizzare il trend del momento auspicandosi un voto il più vicino possibile, senza cambio di legge elettorale che potrebbe tener viva la speranza di diventare primo partito e incassare il premio di maggioranza. La Lega ormai quasi sparita in forza dei continui scandali che emergono dove governa e anche a causa del fatto che è ormai scavalcata dagli estremismi grillini e di estrema destra sui suoi temi classici e antieuro, rimane attendista, sperando eventualmente di collegarsi poi alle formazioni di destra per formare un pacchetto sempre in vista del premio di maggioranza e grassare qualche poltroncina. I Centrini vari si sono ormai dissolti. Monti ha capito che all'Italia la gente seria non interessa e si disinteresserà sempre di più della politica che, come concetto non gli appartiene e tutti gli altri sono all'affannosa ricerca di un riposizionamento che tenti di prevedere gli umori dell'elettorato per farsi garantire qualche posticino sicuro da sottogoverno qua e là. Come la Lega non sono in realtà interessati ad una caduta del governo che li vede in un momento di particolare debolezza e poca attrattività. Il caso più interessante invece, è quello del centrodestra, condizionato completamente dalle sorti del Cavaliere. Siccome l'uomo è tutto fuorché sprovveduto, la sua analisi della situazione ha dovuto tenere conto forzatamente dei fatti. La sua situazione giuridica è ineluttabile. 

Uno alla volta tutti i nodi arriveranno al pettine  e avendo afferrato benissimo che non c'è alcuna possibilità di salvezza, salvacondotto o perdono, esclusa la fuga ad Hammamet che non appartiene all'orgoglio del personaggio, se non forse in caso davvero estremo, sente il tintinnio lugubre dell manette sempre più vicino. Una possibile anche se non facile soluzione per lui positiva, potrebbe averlo convinto ad una interessante anche se barocca mossa del cavallo. Si potrebbe salvare solo forse vincendo nuove elezioni, ma questo risultato non è facile da ottenere. Il suo avversario più pericoloso è Renzi che potrebbe razzolare voti nel centro moderato, nei giovani, in vasta parte dei votanti disgustati dal vecchio che erano in fuga da Grillo, mentre con tutti gli altri avrebbe vita decisamente più facile. Uno degli avversari più pericolosi di Renzi però sono i tempi lunghi, in cui la sua spinta propulsiva inevitabilmente perderebbe di vigore e carisma. La gente si stanca e ti dimentica in fretta. Allora l'idea potrebbe essere stata questa. Usare Alfano, disponibile a fare ogni cosa da buon figlio fedele, dividendo il partito in una parte che mantenga in piedi il governo fino a quando questo sarà necessario, avendo quindi ben salda in mano la decisione del momento in cui staccare la spina e scegliere il momento  più adatto per il voto. 

Presumibilmente in tardo autunno o al massimo la primavera successiva (anche se oggi sembra un po' tardi). Renzi nel frattempo, dovrebbe essere sufficientemente logorato dai suoi stessi alleati e non avendo avuto la possibilità di fare nulla di concreto; la gente penserà che ha sbagliato ancora una volta a ritenere di aver trovato il cavallo giusto per cambiare le cose. Contemporaneamente avrebbe molti mesi a disposizione per picconare pesantemente un governo che, forzatamente debolissimo, non potrà fare molto, la crisi continuerà a stagnare aumentando lo scontento e si potrà cavalcare l'antieuropeismo più becero, buttandogli tutte le colpe addosso e il sempre utilissimo e sensibile tema delle tasse. Questo potrebbe riportare a casa molti voti di indecisi, dei fuoriusciti tentati da Grillo e quelli di tutti gli estremismi di destra. Allo stesso tempo il partitello fasullo di Alfano in coalizione porterà a casa i voti dei sostenitori della stabilità, dei moderati di destra che ritengono comunque finita l'era berlusconiana e comunque le anime democristiane che non sopportano i temi della sinistra classica, confermando un fatto sempre accaduto, che un partito che si scinde in due porta sempre a casa più voti di uno solo unito. In ogni caso stare per qualche mese in una comodissima opposizione segnalando tutto quello che non va (e c'è solo l'imbarazzo della scelta), avrebbe anche un altro vantaggio. 

Un conto è arrestare un membro dei partiti di governo, altro è mettere in catene materialmente il capo assoluto dell'opposizione, un evento che potrebbe davvero essere presentato come un colpo di mano sudamericano, un martirio che in ogni caso porterebbe un'altra valanga di voti, oltre che una forte impressione negativa internazionale. Tutto questo sempre che riesca a tenere a freno le pitonesse varie, utili comunque a tenere sotto controllo le fedelissime che si farebbero martirizzare pur di un invito a cena  a palazzo. E veniamo al povero PD. Alla sua sinistra si vede ormai un disfacimento sfilacciato che ha portato via le frange più estremiste grillizzate, verso formazioni che gli hanno tolto quasi tutti i temi di lotta. Il partito invece mostra l'assoluta debolezza di un matrimonio fallito ancor prima di nascere, tra l'anima democristiana progressista e la sinistra moderata classica. Quasi nessuna identità di vedute che unisce la continua litigiosità alle imboscate ed ai tradimenti della politica più classica e becera. Proprio quella ormai più invisa alla gente e che li fa fuggire o nell'astensionismo o nel populismo delle sirene. Civati non ha nessuna possibilità e in ogni caso porterebbe a casa un mazzetto infimo di voti. Cuperlo manca di ogni carisma e nelle condizioni di forte crisi il popolo bue segue sempre e solo l'idea dell'Uomo al comando e porterebbe il PD ad una onorevole e consueta sconfitta già decretata a tavolino. Renzi si trova a giocare una partita difficilissima, in condizioni di estrema debolezza. Ovviamente è in condizioni di vincere nel partito in cui però sarà un'anatra zoppa sottoposto ad un continuo logorio interno. 

Tutto l'enorme vantaggio che avrebbe avuto se avesse potuto presentarsi alle scorse elezioni, che sarebbero state probabilmente vinte con una maggioranza sufficiente per governare il paese, con la possibilità di cambiare davvero le cose (naturalmente non si sa se in meglio, ma in ogni caso ci sarebbe stata una sterzata violenta invece dell'agonia infinita) si sta a poco a poco esaurendo e il tempo lavora inesorabilmente contro di lui. Avrebbe interesse ad andare a elezioni in primavera, ma si dovrebbe assorbire lo svantaggio elettorale di averle provocate (cosa su cui punta il Cavaliere avvoltoio) con l'ulteriore penalità di non riuscire a far passare una legge elettorale favorevole. Mi sembra dunque che la situazione generale sia molto delicata e suscettibile di soluzioni finali molto diversificate alla più piccola variazione degli eventi, un sistema di sliding doors davvero passibile di un gran numero di finali. In tutto questo scenario appare assolutamente ovvio che a nessuno di tutti gli attori in campo interessa minimamente dare una risposta concreta ai bisogni della gente o proporre soluzioni politiche per risollevare il paese. Questo in generale, è comunque un atteggiamento normale per i politici, ci vorrebbero degli statisti seri al loro posto. Non se ne vedono naturalmente, ma se anche ci fossero, difficilmente potrebbero prendere qualcosa in più dello zero virgola qualcosa dei voti disponibili. Il popolo è fatto così, gli basta maledire, lamentarsi e gridare evviva, la serietà è cosa di un altro mondo, non gli interessa e non ha mai pagato. Sempre meglio mangiarsi un bombolone alla crema e lamentarsi della glicemia e dell'analisi delle urine.


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venerdì 29 novembre 2013

Cene eleganti nell'antica Cina.

Primo ministro cinese - da Wiki

Sarà una caratteristica propria del potere, il considerare normali e accettabilissime certe cose che per il resto del mondo vengono viste come eticamente criticabili. Difficile rispondere, perché in fondo questa situazione si ripete in modi simili in tutte le epoche ed anche in paesi molto lontani e diversi tra di loro. Mi ero ripromesso di non parlare più di questi argomenti, nella speranza che l'oblio portasse pace al mio animo, dopo la chiusura auspicabilmente definitiva di un determinato periodo storico, ma la lettura che facevo ieri sera per addormentarmi, mi fa ritornare sui miei passi. Dunque dobbiamo parlare del periodo detto dei Regni combattenti, quando la Cina era divisa in sette staterelli in perenne lotta tra di loro, più o meno nel terzo secolo avanti Cristo. Nonostante si parli di molto tempo fa, anche in quell'epoca, la cultura e i costumi di quel mondo erano raffinatissimi. Un letterato che aveva accesso a corte nel regno di Chu, certo Li Yuan, aveva una sorella molto ambiziosa oltre che procace e bellissima, Nu Huan che voleva essere introdotta nel mondo del potere. Non era facile ottenere accesso a quegli ambienti, palazzi dove si svolgevano continuamente cene molto eleganti. 

Così il letterato, su indicazione della sorella (che di certo lui con tutta la sua cultura non ci sarebbe mai arrivato), in una di queste cene disse con noncuranza al Primo Ministro: "Debbo tornare a casa in fretta perché è giunta mia sorella, donna talmente straordinaria che il Re del regno di Lu, il paese del gelo e della neve,  ha sentito parlare della sua fama e vuole conoscerla." 
"E cosa sa fare vostra sorella?" chiese subito il Primo Ministro ingolosito?
"Sa suonare il Chin, sa leggere e scrivere e conosce anche uno dei classici." 
Insomma quello che allora si poteva definire a torto una donna di spettacolo. Il primo Ministro, che era piccolo e grassoccio, ma molto amante della cultura in particolare femminile, chiese subito se fosse possibile invitarla a cena a palazzo e Li Yuan, che ci teneva a mantenere il suo posto di letterato di corte e stilatore degli annali (una specie di notiziario del tempo), la condusse la sera successiva. Essa fu presentata e durante la elegantissima cena a cui partecipavano anche molte dame e agiati letterati, si bevve parecchio. 

Nu Huan pronunciò frasi garbate, recitò alcuni versi di un famoso classico e suonò il chin in modo mirabile e prima che il canto fosse finito, il Primo Ministro si congratulò grandemente con lei, donandole anche una borsa di monete d'oro e le chiese di rimanere lì la notte, di certo per prolungare il piacere di quella colta conversazione. La bellissima Nu ebbe da quel momento un posto importante nel governo del paese che in breve tempo fu condotto alla rovina e poi completamente distrutto da parte dell'imperatore di Chin (quello dell'esercito di terracotta, tanto per contestualizzare), che unificò in questo modo definitivamente l'impero cinese. E' evidente che solo in società oziose e in decadenza può sbocciare l'amore per questo tipo di arte della conversazione e forse è destino di tutti i palazzi del potere di amare queste piacevoli frivolezze, sia che si tratti di cene ricche di cibi raffinati ed odorosi o che contempli la compagnia di fanciulle giovani e laggiadre che sappiano allietare le stesse con ogni loro arte e capacità. Il fatto che poi queste pretendano qualcosa in cambio è spesso sottovalutato o considerato una specie di danno collaterale facilmente assorbibile, specie se esiste una congrua disponibilità finanziaria.


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giovedì 28 novembre 2013

The day after.

Pastore Masai - Tanzania - Febbraio 2013

Senza fine. Questa è la sensazione che ti incombe netta quando butti lo sguardo intorno. Una retta precisa e geometrica che segna il confine tra cielo e savana. Azzurro e verde che quasi si confondono e che da qui, dai contrafforti digradanti che salgono verso il cono scuro del monte Meru, appaiono ancora più distanti. Un luogo di apparente solitudine coperto di pascoli antichi, ricchi e che la pioggia frequente fa ancora più verdi. Dispersa lungo il pendio, l'immensa mandria di Mbili bruca erba senza fermarsi un attimo con dedizione esemplare. Sono vacche bellissime con grandi corna bianche che si levano orgogliose, mantelli pezzati multicolori che si confondono tra di loro come un pigro camaleonte marezzato immobile e seminascosto tra le foglie. Tutto ti dà l'idea di ricchezza generosa, di una situazione florida da sempre, di una agiatezza messa insieme in anni e anni. Mbili è seduto su un grande masso di granito tondeggiante vicino al boschetto di acacie che nascondono lo specchio di acqua dove la mandria finirà ad abbeverarsi a sera. Appoggiato al lungo bastone di legno duro, tiene lo sguardo rivolto verso terra, come sempre. Si vede bene che non avrebbe voglia di parlare con quella gente venuta da lontano che si è fermata lì, al bordo della pista, chiassosa e maleducata e che corre qua e là come un gruppo di impala spaventati, fotografando tutto quello che si muove e anche quello che sta fermo. In fondo gli dà fastidio rispondere a tutte quelle domande così banali, che gli fa quel ciccione sgraziato e curioso, col un cappellino ridicolo in testa per sembrare di più all'idea che ha del cacciatore bianco. Vuol sapere tante cose, troppe. 

Come mai lui che è tanto ricco, forse uno dei più ricchi tra le tribù di tutta la valle, che si può permettere un mantello rosso fuoco di stoffa costosa e un telefonino così moderno anche se non ha nessuno da chiamare, se ne sta sempre lontano dal villaggio e non ha una nutrita serie di giovani mogli come si potrebbe permettere e perché non è capo del villaggio. Parla bene il mzungu, così a poco a poco si lascia tentare e gli racconta la storia. Di quando giovane ancora e già ricchissimo, pensava di essere il più furbo di tutti, già comandava al consiglio degli anziani e assaporava un potere quasi assoluto sulla tribù. Le ragazze più giovani e belle non aspettavano altro che portarlo nella loro capanna, anche se era piccolo e bruttissimo, per farsi regalare capre e vacche la mattina dopo. Quando venne la siccità, tutta la tribù soffriva e mancava tutto, le mandrie si assottigliavano e diventava sempre più difficile mangiare qualcosa. Così molti dividevano quello che avevano con gli altri. Quando fu chiesto a lui, aveva già predisposto tutto. Aveva portato le sue mandrie lontano, al di là dei pascoli conosciuti perché nessuno le vedesse e raccontò che le sue bestie erano quasi tutte morte e che poco poteva contribuire alla necessità comune. Quando scoprirono la sua menzogna, tutti gli uomini del boma rimasero in silenzio a guardarlo. Lui capì subito, lasciò sulla grande roccia davanti alla porta del villaggio le insegne del comando e se ne andò per sempre sulle colline lontane. Il bianco chiacchierone era curioso e insisteva a chiedere perché, con tutto il suo potere e la sua ricchezza si fosse rassegnato a lasciare ogni cosa. 

Non avrebbe potuto facilmente comprarsi con un po' di vacche l'appoggio di qualche anziano? Le ragazze poi, anche se non contavano nulla nelle decisioni, avrebbero certo spinto perché lui rimanesse e si sa che durante la notte potevano essere assai convincenti con i loro uomini. Mbili alzò la testa con uno scatto e lo fissò per la prima volta gli occhi. "Ma in quale terra vivi, uomo, da voi non sapete cosa significa dignità? Come avrei potuto guardare in faccia il mio vicino insistendo a rimanere con gli altri dopo aver rubato al mio popolo, pretendere di amministrare il villaggio dopo avergli mentito e continuare ad avere su di me gli occhi di tutti, occhi muti che sapevano. Come è possibile che un uomo degno possa sopportare una simile vergogna? L'onore è l'unica cosa che rimane". Il bianco si alzò, asciugandosi il sudore con un fazzoletto, pensò di dirgli che ci sarebbe stato ancora molto da fare, appellarsi ai suoi fedelissimi che gli stavano sempre vicini, nutriti a latte e carne delle sue bestie, affinché lo spalleggiassero, che avrebbe potuto appellarsi al consiglio degli anziani dei villaggi, regalare un po' di vacche a qualcuno che testimoniasse che le mandrie erano fuggite a sua insaputa e che lui le avrebbe trovate miracolosamente dopo giorni e giorni, che avrebbe fatto libere e felici tutte le ragazze che avessero saltato per lui per amore, ma capì che forse era inutile, i valori cambiano da luogo a luogo. Fece ancora un paio di foto alle vacche sparse sulla collina, poi salì sulla Toyota che aveva già il motore acceso e se ne andò lasciando una lunga scia bianca polverosa e puzzolente.


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Moriremo democristiani?

mercoledì 27 novembre 2013

Gōng - Chǐ.



E' ben nota quale sia in Oriente, l'importanza dell'onore e della vergogna che deriva dalla sua perdita irrimediabile. Addirittura in Giappone, per una persona che ricoprisse un alto rango, una funzione pubblica, uno status importante, era assolutamente insopportabile una posizione del genere. Il solo pensiero di essere sfiorato da un dubbio, un sospetto di essersi comportato in maniera disonorevole, non poteva che essere seguito da un gesto che chiarisse a tutti la propria uscita definitiva dal consesso della società civile. L'unica possibilità offerta era il Seppuku (meglio conosciuto da noi come Harakiri), il suicidio rituale con la spada sacra che ridava alla persona il suo rango di uomo onorato. Non era necessaria una condanna o una riprovazione, il grande uomo sapeva da sé cosa fosse necessario fare senza che neppure glielo si chiedesse. In Cina è ben noto come il perdere la faccia, sia considerato in modo talmente negativo e sminuente che nessuno che voglia mantenere un rapporto con qualcun altro si mette in condizione di "far perdere la faccia" al suo dirimpettaio. La lingua con la capacità illustrativa dei suoi segni illustra tutto questo con chiarezza. 功 - gōng, è uno dei differenti modi per dire: Onore. Le due parti del carattere significano Lavoro e Forza. Quindi l'unico modo per conquistarsi l'onore è operare con costanza e decisione e senza ombre per ottenere l'apprezzamento degli altri. Al contrario il segno di Orecchio unito nello stesso carattere a quello di Smettere, Cessare dà: 耻 - chǐ, che significa Vergogna, Umiliazione, Disonore, perché chi si trova in questa condizione per una sua mala azione non riesce più a sopportare di continuare ad ascoltare cosa si dice di lui, anzi smette semplicemente di ascoltare quello che è evidente a tutti. 

La sua stessa pronuncia con quel terzo tono che prolunga il suono della sillaba, prima alta poi bassa poi ancora molto alta, quasi interrogativa di come si possa giungere a tanto, pare sottolineare il senso di stupore e disprezzo per questa condizione umana. Sono due concetti molto legati e che riverberano in una frase fatta: 不知羞耻 - bù zhī xiū chǐ (letteralmente Non Conoscere il Disonore della Vergogna) cioè Essere spudorati, Non avere neppure il ritegno della vergogna. In questo mondo non si riesce a capire come una persona che ha commesso anche solo un qualcosa che sia eticamente disonorevole possa ancora rimanere, ad esempio, in una carica pubblica e non preferisca ritornare nell'anonimato per farsi dimenticare per sempre. Incomprensibile sarebbe il cercare cavilli di ogni tipo per rimanere attaccati a quella carica e prolungare il più possibile l'esposizione a quel disonore conclamato e non sopportabile. Crescerebbe nella gente un senso di orrore e di disagio che impedirebbe nel modo più assoluto a quel tale di ottenere anche il minimo rispetto e quindi consenso, anzi ad ogni sua parola o discorso, le persone che gli stanno intorno volgerebbero il capo dall'altra parte fingendo di non ascoltare, di essere distratte, semplicemente ignorandolo. Per fortuna che quello non è un mondo democratico che ricerca consenso e voti, altrimenti quella persona non troverebbe più un solo cittadino disposto a dargli fiducia. Che strana gente, così incredibilmente diversa da noi. Non riusciremo mai a comprenderli, così diversi e primitivi che non conoscono le sottigliezze della resistenza politica e loro d'altra parte non riescono a capire noi.


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martedì 26 novembre 2013

La saggezza dei polipi.




Chi la dura la perde. Alea iacta fuit. I negri hanno il plasma nel sangue. Di sera bel tempo si supera. Taci il nemico ti intercetta. Tanto va la gatta a Colonnata che ci lascia lo zampone. Ascolta, si fa notte. Suae quisque fortunae sutor est. Nel tanto ci sta il quanto. La gatta che ha mangiato il lardo fa i gattini grassi. Ad usum pinguini. Sposa bagnata, marito arrapato. Dimmi con chi vai e verrò anch'io. Chi va con lo zoppo finisce all'ospedale. Sempre caro mi fu quell'uomo al Colle. Cosa fatta cambi spacciatore. Oggi non sono tanto per la quale e in più ho anche fretta.



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lunedì 25 novembre 2013

Il vestito a pois.

1948
La mia mamma aveva un vestitino leggero, blu scuro con una balza in basso e il collettino quadrato a pois bianchi piccolissimi, la vita stretta in una cintura di stoffa uguale, che prima di uscire tendeva con cura e due deliziosi sandali che si chiudevano legando un nastrino. Credo che fosse la voglia di primavera a farglielo mettere, quel bel vestito con la gonna sotto il ginocchio, che si era cucito con cura alla sera, pedalando sulla piccola pedana di ferro della Necchi, regalo di matrimonio. Le cose sembravano andare sempre meglio e la guerra, con le ferite e gli strascichi che si era portata dietro, era sempre più lontana. Non doveva più andare a fare la coda al negozio per avere due etti di olio una volta al mese con la tessera e il paese cominciava a produrre a pieno ritmo. Teneva i capelli alla moda fine anni 40, lunghi dietro con i boccoli pieni che si giravano verso l'alto e quella specie di due riccioloni alti che lasciavano scoperta la fronte, un po' come le ragazze del trio Lescano. Prima di uscire per portarmi ai giardinetti di piazza Genova, si metteva un filo di rossetto, vezzo che ha conservato per tutta la vita. Poi magari, facevamo un salto fino in via Dante, se era di pomeriggio a portare a riparare uno dei due paia di calze di naylon che possedeva. L'altro lo aveva indossato, aggiustandosi con cura la riga nera che doveva essere ben diritta lungo tutto il polpaccio. Dovevano essere una cosa preziosa le calze di nylon. Ogni tanto, però, capitava qualche piccolo imprevisto e si formava una smagliatura. 

Allora venivano tolte con cura, messe in un pacchettino di carta e si andava in quel negozietto dopo il cinema, il ben noto Giasòn, che si era guadagnato quel nome dal fatto che, probabilmente, d'inverno non veniva riscaldato. Dentro il negozio a vista sulla strada c'erano un paio di banconi con delle grandi lampade che puntavano verso il basso e dietro, appollaiate su trespoli, delle ragazze chine sulle calze rotte, infilate su appositi sostegni che con uno strumento che terminava con un ago particolare, riprendevano le maglie e ricostruivano la smagliatura. Te la consegnavano qualche giorno dopo, segno inequivocabile che c'era un gran lavoro da fare. L'usa e getta era ancora lontano dall'essere immaginato. Poi facevamo ancora un pezzo di strada. Io mi fermavo a sognare un po' davanti al negozio di giocattoli La fata dei bambini e magari, prima di tornare a casa, allungavamo fino a prendere due fette di farinata che mi sbocconcellavo, tenendo il cartoccio nella mano mentre con l'altra mi ungevo ben bene dappertutto. A casa, alla sera ci aspettava il caffelatte con i cruciòn, che la gente che aveva studiato chiamava i biscotti della salute o dopo qualche anno, visto che le cose sembravano andare sempre meglio, con i finocchini rotti della Maggiora. C'era la primavera nell'aria e la gonna leggera blu a pois bianchi della mia mamma svolazzava, quando i timidi colpi di vento della sera lo sollevavano un po', mentre lei cercava di trattenerlo con la mano. 


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domenica 24 novembre 2013

Haiku gelido.

Forte di Fenestrelle - novembre 2011


La prima neve
già colora le mura.
Debito immenso.


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Tarda primavera.



sabato 23 novembre 2013

Volevo la Vespa.


dal web

Quando ero adolescente avevo un sogno. Comprarmi una Vespa. Era di certo il gadget che andava per la maggiore a quel tempo. L'elettronica ed i telefonini con le loro sirene dovevano ancora essere pensati, la Lambretta sua diretta concorrente era stata nettamente surclassata con quella sua immagine che la rendeva adatta solo ai lavoratori pendolari. I pochissimi che la possedevano tra i ragazzi, erano effettivamente dei privilegiati, guardati con invidia feroce da tutti gli altri. Naturalmente neanche ci pensavo a manifestare questo desiderio ai miei genitori. Era un non senso economico irrealizzabile, costava allora molte decine di migliaia di lire, praticamente un po' di più di uno stipendio (come ora in effetti) cosa che la metteva automaticamente al di fuori della discussione. Un ragazzo di una famiglia "normale" non valutava neppure la richiesta di una spesa simile per attuare un desiderio, sia pure violentissimo come quello. L'aspetto delle sicurezza, cioè che la famiglia si opponesse per timore che uno si facesse male, non era neppure valutato, Era una fase successiva, che data l'insussistenza della prima non era presa in discussione e neanche considerata, calcolando una dialettica apposita per vincere delle resistenze che forse neanche si sospettavano. Così nel frattempo risparmiavo ogni soldino su cui riuscivo a mettere le mani. Non infilavo le cento lire nel Juke box e non consumavo gazzose, defilandomi con cura nelle occasioni in cui ce ne fosse stata l'occasione. 

A ballare alla SOMS, al sabato sera, cercavo di entrare di straforo, magari con la scusa di aiutare a mettere a posto i tavolini, tanto poi non ballavo lo stesso, le fanciulle su piazza avevano occhi solo per i ballerini più abili ed esibenti. In realtà avrei dovuto rendermi conto che dato il ritmo di accumulo che riuscivo a tenere, dati i ristrettissimi flussi di cassa, non sarei mai riuscito a raggiungere e nemmeno ad avvicinarmi da lontano alla cifra necessaria. Diciamo che cercavo con una attenta spending review, di limare le uscite ma non riuscivo ad aumentare il PIL, per cui l'accumulo primario utile a coprire quel buco di bilancio previsto era irraggiungibile. Tuttavia non smettevo di sognare. Col gruppo degli amici si discuteva incessantemente sui vantaggi di potenza della 150 nei confronti della 125 e intanto il tempo passava. All'inizio dell'autunno la discussione si spostava ai tavoli del Bar Baleta e dato che il tempo lo permetteva ancora, sulla piazzetta fuori, davanti alla vetrina dell'Escobar, dove si radunavano schiere di ragazzotti ogni pomeriggio. Quei pochi che avevano la Vespa, arrivavano lì e la parcheggiavano con noncuranza direttamente davanti al bar, issandola con un gesto semplice sul piccolo cavalletto che stava sotto la pedana. 

Un pomeriggio pieno di sole, Luciano arrivò sgasando con la manopola, a lungo prima di spegnere il motore. La Vespa era nuova e lucidissima e tutti la guardavano con ammirazione assoluta. Si chiacchierò un po' del più e del meno, qualcuno ci si appoggiava anche col braccio, apparentemente con noncuranza, forse per gustare la sensazione di sfiorarla senza possederla, per vincere quel tipo di frustrazione affatto uguale a quella che ci davano le nostre amiche quando si riusciva ad avvinghiarle per un lento da mattonella. Dopo un po', il discorso languiva e Luciano si sedette sul sellino dicendo che voleva andare a farsi un giro fino a San Michele per provare a tirare un po' le marce. Aveva i capelli un po' lunghi, Luciano, con un ciuffo ribelle, che andava molto di moda allora tra i ragazzi, e che la velocità faceva scompigliare ancora di più. Che bello il vento tra i capelli, lo schiaffo e l'ebbrezza  di quell'aria che scorreva sulle guance tirandole indietro, facendoti pensare di essere il padrone del mondo. Non c'è pericolo nella bellezza. Rideva forte Luciano mentre l'aria gli gonfiava la camicia. Se ne andò con una serpentina tra le biciclette tenute a mano dal gruppo. 

Quando arrivò qualcuno a dire trafelato, che nella grande curva dopo il cavalcavia, la Vespa si era inclinata troppo ed era scivolata via, centrando in pieno un' auto che arrivava nella direzione opposta, si rimase tutti senza fiato. Quello che era accaduto, una cosa irreparabile e definitiva, non era stata mai neppure pensata, temuta, messa nel novero delle possibilità. Nessuno poteva commentare un evento mai calcolato e quindi impossibile. Al funerale, a Santa Maria di Castello, la chiesa era piena e muta. Una chiesa enorme, scura e umida dove avvertivi solo l'eco senza significato delle parole del prete che sfumavano su per le pareti scrostate dal tempo. Un silenzio spesso e doloroso in cui sentivi solo il pianto timido di una madre che riusciva solo a dire ogni tanto: "Vent'anni... vent'anni...". Un flebile suono che rimbombava attraverso il colonnato della grande navata per definire tutta l'inaccettabile assurdità contro natura di un genitore che segue la bara di un figlio. Non mi comperai la Vespa e neanche nessun altra moto nel resto della mia vita. Non l'ho neppure mai più desiderata. 


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venerdì 22 novembre 2013

La cura dell'uva.




Doveva essere una fissa dovuta alle ristrettezze del la guerra. Sta di fatto che mia mamma ogni tanto tirava fuori la storia: a 'sto bambino bisognerebbe dargli qualche ricostituente. E dire che non ero certo un bimbo patito, anzi sono sempre stato piuttosto grassoccio, un bel  bambino in carne insomma. Sarà però che grassezza fa bellezza, ma lei aveva sempre questa idea che bisognasse pompare qualcosa per via orale, una specie di doping alimentare per meglio mettermi in grado di affrontare le difficoltà della vita. In estate, a Valle San Bartolomeo, con l'orto a disposizione proprio a fianco, non c'erano problemi di verdure a chilometri zero, direbbero oggi i Culdiretti, però sembrava non bastare mai. Così, non so come, un anno venne fuori la storia della cura dell'uva. Chissà dove l'aveva sentita questa storia, forse nel negozio all'inizio della via del Dazio, quello che mi aveva rifilato la cioccolata con la muffa o dal lattaio dove si andava con la bottiglia di vetro in mano a farsela riempire con un mestolone di alluminio (chissà come sarebbe apprezzato dagli odierni babbioni questo risparmio di confezionamento e di odiosa plastika) anche se tutti vociferavano che ogni tanto ci si mescolasse un po' d'acqua per allungarlo un po'. Comunque quell'estate, partì il trip. In cortile c'erano due pergolati, che da quelle parti in dialetto si chiamano topie, per inciso sarà un derivato dell'"arte topiaria", qualcuno lo sa? Quella vicino alla tampa, alias l'immondezzaio per voi puristi della lingua, proprio dietro il gabinetto  (eh già non ci pensavo mica che allora il cesso stava in cortile, piuttosto lontano dalla casa, come le norme dell'igiene e del buon senso prevedevano; col calore estivo, infatti, gli effluvi odorosi non erano certo graditi, anche in quei tempi ruvidi), era una Luglienga, che anche ad agosto rimaneva piuttosto aspra e piccolina. 

Ma si sa che le nostre colline sono poco adatte all'uva da tavola, così ogni tentativo di farmela ingurgitare falliva miseramente. Già ero un bimbo viziato e capriccioso come tutti i figli unici e spesso me le davano vinte purché facessi per tempo i malefici compiti delle vacanze, un libricino odioso che condensava esercizi misti di un po' tutte le materie, che per soprammercato la mia mamma comperava in due copie (diverse tra di loro naturalmente) e che toccava religiosamente riempire un po' per giorno prima di andare a giocare con gli amici e che io avrei volentieri rimandato a fine estate. Così scambiato il dovere col piacere, mi salvavo dall'uva bianca, ma ad un certo punto dell'estate arrivava a maturazione la grande topia del cortile di uva "americana". Qui non c'era salvacondotto. Pare che per ottenere beneficio salutistico, bisognasse mangiarne almeno due grossi grappoli al giorno, uno per ogni fine pasto. Il gusto deciso e diverso di quell'uva mi era particolarmente odioso e la vista di quel gigantesco e sproporzionato agglomerato di acini nel piatto mi metteva subito di malavoglia, ma non c'era pietà, la cura dell'uva, una volta partita doveva essere in ogni caso portata a compimento. Così per tutto il mese di settembre, avevo lì il supplizio che mi aspettava, viola come la morte, nel piatto bianco sbrecciato da un lato, con tutto il suo seguito di micidiali fermentazioni intestinali che mi costringevano a corse frettolose in fondo al cortile dove, chiusa in fretta la porticina malandata che si teneva serrata con uno spago, ero sempre terrorizzato dal cadere giù in quel buco che mi pareva enorme, nero e minaccioso, una promessa cupa di inferno scatologico che mi attendeva malevolo e pronto ad afferrarmi se mi fossi distratto, inghiottendomi nel mare melmoso e fumante. Da allora non sopporto assolutamente l'uva americana. E' sicuramente quella che mi ha fatto alzare la glicemia.


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giovedì 21 novembre 2013

La ricerca della felicità.

Dal web - Jin Sheng Tan


E' ben vero che tutto il mondo è paese, ma è anche vero che siamo abituati a considerare genti che stanno dall'altra parte del mondo come tutt'affatto diversi da noi ed in molti casi addirittura incomprensibili alla nostra culture. Io stesso ho ribadito più volte questo concetto di cui sono convinto, rispetto alla mentalità cinese. Ma se scaviamo un po', sotto sotto scopriamo similitudini e sentimenti che rendono davvero l'uomo uguale sotto tutti i cieli. Prendiamo ad esempio la descrizione dei momenti di felicità per un uomo che, puntigliosamente nel 1656 elenca nei Commentari alla commedia La Storia della Camera Occidentale il poeta Jin Sheng Tan, considerandoli come i veri momenti felici di una vita umana, nei quali lo spirito si lega ai sensi in maniera inestricabile. Nelm suo lavoro, ne elenca una trentina, chiacchierando con un amico mentre chiuso in un tempio per quasi dieci giorni aspettava la fine del monsone. Ve ne riporto qualcuno a titolo di esempio.

Un amico che non vedevo da dieci anni arriva a casa nostra al tramonto. Apro la porta e senza chiedergli se è arrivato per mare o per terra, vado nella stanza interna e chiedo umilmente a mia moglie: "Non ci sarebbe una damigiana di vino come quella della moglie di Su Tsung Po?". Tutta contenta lei si leva lo spillone d'oro dai capelli e va a venderlo. La damigiana ci durerà tre giorni. Non è felicità questa?
Mi sveglio la mattina e mi pare di sentir qualcuno che sospira dicendo che la notte passata è morto un tale. Chiedo chi sia e apprendo che è il più astuto, calcolatore e corrotto dei miei concittadini. Ah! Non è felicità questa?
Sto bevendo in compagnia degli amici e sono quasi brillo. Sento che è difficile smettere di bere. Un servo al mio fianco porta un pacco di grossi razzi e io mi alzo da tavola per andare ad accenderli. L'odore dello zolfo penetra le mie nari, va al cervello e, mentre nel cielo scoppia un arcobaleno di colori, mi sento bene per tutto il corpo. Ah! Non è felicità questa.
Ascolto i miei figlioli che recitano i classici correntemente, così come il suono di un'acqua che trabocca da un vaso di bronzo. Ah! Non è felicità questa?
Ho appena portato a casa dall'ospedale la persona a me più cara. Ah! non è felicità questa?

L'ultima invero l'ho aggiunta io, ma mi sembra che ci stia a pennello all'interno del novero dei momenti felici. Ecco, non mi pare che nella lontana Cina di quattro secoli fa il sentire degli uomini fosse poi così lontano dal nostro. In fondo anche noi credo, concordiamo che la ricerca della felicità sta proprio nel considerare le piccole cose. Quindi il nostro Jin Sheng Tan non era poi così lontano da noi, anche se per la verità, il suo avversario dell'epoca, tale Kui Zhuang Jin lo definiva goloso, perverso, licenzioso ed eccentrico. Tutta invidia credo e malevolenza. Messo all'indice dal Maoismo per il suo atteggiamento critico verso il potere in generale e poco amato anche alla sua epoca, finì decapitato per aver partecipato ad una pubblica protesta contro un politico locale corrotto e corruttore di giudici.


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lunedì 18 novembre 2013

Kaki maturi.



Oggi un'amica mi ha portato una cassetta di kaki, maturi. Che meraviglioso, straordinario frutto. Forse quello che più simboleggia l'opulenza del tardo autunno. Quell'arancio carico, quel turgore così pieno che pare scoppiare, quella dolcezza esagerata che a qualcuno pare stucchevole e che invece è promessa piena di gioia serena. I kaki maturi sembrano fatti apposta per stimolare ricordi, per colorare di rosso vivo anche quelli apparentemente un po' tristi. La vecchia casa dei miei nonni a Valle San Bartolomeo, dove ho passato tutte le estati della mia infanzia era stata costruita addosso ad una casa ancora più vecchia di due prozii, fratello e sorella di mio nonno, entrambi non sposati e morti prima della guerra. Dovevano essere due figure ottocentesche, lui che faceva il cavallante e trasportava merci fino ad Alessandria; lei, una anziana signorina che badava a lui e all'orto. Più che altro hanno vissuto gli ultimi anni per i nipoti, mio padre e i suoi due fratelli che trattavano come figli. Quando se ne andarono la casa stava andando in rovina fino a quando lo zio Enrico, detto Bobetto, non so come mai, vi ci si stabilì riadattandola alla meglio. Una vita difficile la sua. Prima fece il poliziotto a Genova, poi un matrimonio frettoloso a Torino e difficoltà varie che lo convinsero a trasferirsi in America appena finita la guerra, invogliato dai racconti delle fortune facili di certi parenti della moglie. Facevano credo i macellai in Messico dalle parti di Campece se non ricordo male. 

Anche allora c'era questa maledizione dell'emigrazione forzata per sfuggire ad un paese poco generoso verso i suoi ragazzi. Vendettero i mobili all'incanto per comprare i biglietti del bastimento, forse aiutati un po' da mia nonna e partirono a cercare fortuna. Ma le cose non sono mai facili come te la raccontano. Qualche anno per cercare una strada, i parenti, che forse non avevano tutta quella fortuna che avevano millantato e che non li aiutarono più di tanto, fatto sta che dopo appena qualche anno se ne tornarono qui, dove, con l'aiuto del fratello più vecchio trovò lavoro in ospedale come operaio. Ma si sa che quando le cose sono difficili, tutto diventa storto e sbagliato, cominciarono i litigi furiosi, ormai con la moglie le cose non funzionavano più, così rimase solo a vivere in quella casa rattoppata dei prozii. Una vita solitaria e credo tristissima, ad accendersi la stufa con la legna spaccata prima di sera per riscaldare quelle notti nebbiose  e grige dei novembri alessandrini. Qualche sera alla SOMS a bere qualche bicchiere di troppo, ma mica più di tanto, ma sì sa nei paesi fanno presto ad attaccarti le etichette. Così me lo ricordo sempre con quello sguardo basso e gli occhi tristi e ingrugniti, con cui ti guardava quando così di rado portavo mio padre in Valle. Scambiava con lui qualche parola, ma poche, come chi è adattato ormai ad un vivere solitario e senza contatti umani. Sempre solo con un suo cagnolino che lo seguiva e che veniva chiamato anche lui Bobetto. 

Un tono ruvido e un po' scostante, ma solo all'apparenza però. Nel suo ultimo anno di vita, si muoveva poco attorno al cortile, dando un'occhiata all'orto ormai incolto in maggior parte. Era un novembre grigio e umido come questo, l'ultima volta che ci portai mio padre. Sterpi secchi e terra umida coperta di bruma. "Ti piacciono i kaki?". Mi prese per un braccio e mi portò sotto la grande pianta che stava in un angolo vicino alla casa, con una cassetta di legno chiaro. Io gli raccontavo di come era andata la mia laurea e del mio lavoro appena cominciato. Lui ascoltava in silenzio, ma leggevi sul suo viso con la barba un po' incolta e le rughe profonde di chi dorme male, una sorta di soddisfazione, forse perché per la prima volta uno della famiglia era arrivato fin lì. Ci mettemmo a raccoglierli assieme. Come erano grossi e di un arancio carico, maturi perfetti, talmente gonfi da dover essere maneggiati con attenzione perché non si spaccassero sotto il proprio stesso peso. Li deponevamo gli uni accanto agli altri. Mi ascoltò parlare per un po', poi alzandosi per tornare verso casa mi disse: "T'ei propi 'n fiò 'n gomba. Damm 5 liri per i kaki, ch'is regalu nenta, se no 'l porta ma'". Prese la monetina, poi richiuse la porta in silenzio mentre dal cielo grigio scendeva una umidità spessa che bagnava tutto in un attimo, lasciandoti solo un groppo in gola e la voglia di stringere attorno al collo il bavero del cappotto.


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sabato 16 novembre 2013

Haiku novembrino

dal web


Caki maturi
novembre ti regala.
Il negozio no.


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Tarda primavera.

venerdì 15 novembre 2013

Considerazioni sul TaiJi Quan: Il bozzolo di seta.

da Il cuore del Tai Ji di Maurizio Gandini.


L'apprendimento del Tai Ji, come quello di tutte le altre arti avviene per gradi. Di solito la prima è quella che consiste nel memorizzare una o più sequenze fisse di tecniche diverse, imparate ad una ad una. Questo è lo sforzo mnemonico che un principiante deve fare per avere un minimo bagaglio iniziale con cui svolgere una pratica costante. Naturalmente questa fase comprenderà, la conoscenza accurata delle tecniche singole, del loro nome ed eventuale applicazione marziale, tutte fasi che aiuteranno l'apprendimento mnemonico. Ottenuto tutto questo, si otterrà la capacità di eseguire correttamente, senza errori "tecnici", usando una giusta tempistica, ogni movimento o posizione richiesto e codificato della forma da eseguire. A questo punto però, confrontandola con un praticante più esperto si noterà una differenza notevole nelle esecuzioni, pur se i movimenti saranno in linea di massima uguali. Si noterà nel principiante una certa meccanicità del movimento, una mancanza della cosiddetta "fluidità" e di quella sensazione di forza che viene dal di dentro che nota anche un osservatore non competente nell'esecuzione di un maestro. La seconda fase dell'apprendimento consiste allora nell'inserire nella forma una corretta tecnica respiratoria, una respirazione profonda e addominale, con un ritmo costante e rilassato. Si osserverà quindi che ogni tecnica, che si esegue sempre contemporaneamente ad uno o più cicli respiratori, acquisirà una maggiore consapevolezza, una maggiore stabilità ed un incremento notevole della sensazione di efficacia.

Fondamentali nell'apprendimento di una corretta respirazione sono i molti esercizi che stanno alla base del Qi Gong e che risultano utilissimi nella vita quotidiana e che stanno alla base di una buona esecuzione di tutte le arti marziali orientali. Questo tipo di respirazione piena e controllata, risulta altresì utilissima nel raggiungimento di un buono stato di tranquillità mentale e di benessere fisico in generale, discorso che va al di là di quanto stiamo indagando oggi nell'ottica del Tai Ji. Una buona tecnica respiratoria, contribuisce anche ad apprendere come scaricare completamente il proprio peso verso terra, ad ancorarsi completamente sulla superficie di appoggio, migliorando in questo modo il senso di equilibrio generale che è anche uno dei maggiori benefici salutistici del Tai Ji stesso. Di certo quando si sarà raggiunto questo stadio di pratica, ognuno raggiungerà anche una buona capacità di percepire le piccole sensazioni interne al proprio corpo che prima la contrazione nervosa, sia fisica che emotiva, dovuta alla necessità di ricordare o eseguire correttamente le tecniche e le stesse posture di ogni giorni impedivano di ascoltare. A questo punto, una delle crescite successive dell'apprendimento, in luogo di imparare altre forme più complesse, puntando su un ulteriore sforzo mnemonico improduttivo, può essere quella di iniziare ad esercitare la percezione della "forza (o energia) a spirale" (Zhan Si Jin) attraverso gli Esercizi del bozzolo di seta (纏絲功 - Chan Si Gong, appunto Avvolgere il filo di seta), una forma di energia che deve essere presente in ogni tecnica di TaiJi, così come in altre forme di stili interni come il Ba Gua o il Xing Yi. Come tutti i movimenti del Tai Ji anche questi rinvigoriscono il corpo e la flessibilità delle articolazioni stimolando la circolazione sanguigna, oltre a migliorare, rafforzandolo, l'atteggiamento posturale.

L'esercizio consiste nell'utilizzo della forza che parte dal Dan Tian (punto posto qualche centimetro sotto l'ombelico) come punto di partenza e traino per tutti i movimenti successivi, come se gli arti ed il resto del corpo non  fossero mossi dalla propria muscolatura, ma come trascinati dal movimento di questo punto di energia interna. I movimenti eseguiti dal corpo e dalle braccia consistono in spirali delle braccia e delle mani in senso orario ed antiorario, con un solo od entrambe le braccia, in posizione statica o camminando, con cerchi di grande e piccola dimensione legati l'uno all'altro con movimento continuo e fluido come se si stesse avvolgendo o srotolando il sottile filo di un bozzolo di seta. Ecco dunque il senso di non effettuare movimenti di forza o troppo bruschi che potrebbero spezzare il filo, ma neppure troppo molli o fiacchi per non farlo aggrovigliare. Naturalmente la metafora che sottende il nome illustra bene l'immagine del bruco che nella sua evoluzione tecnica e spirituale, diventa finalmente farfalla; che poeti questi cinesi! Come abbiamo detto il movimento nasce dal Dan Tian e si sviluppa verso gli arti seguendo lo schema della nota figura che rappresenta lo Yin e lo Yang, attraverso grandi cerchi che rimpiccioliscono a poco a poco fino alle cosiddette forme della goccia e con lo spostamento del peso che bascula sulle gambe. Sono codificati 11 esercizi del bozzolo di seta, che per vostro piacere, vi allego (come li descrive Wikipedia da cui vi allego anche un video di stile Chen in cui sono eseguiti dal maestro Wu Tian Cai, molto adatto ad illustrare la tecnica): 

A) Rotazione del dantian da destra a sinistra su un asse immaginario passante per l'ombelico e perpendicolare al busto.
  1. Zhan Zhuang (palo eretto): esercizi statici che rilassano il corpo e consentono di concentrare la mente ed il corpo sul dantian 
  2. Zheng Mian Chan Si (Movimento a Spirale con un braccio frontale): pensando al dantian, si sposta il peso da una gamba all'altra in un movimento che guida anche quello delle braccia
  3. Heng Kai Bu (Movimento a Spirale con un braccio frontale con passi laterali): a partire dal precedente esercizio, si estende il movimento dei passi, prima a sinistra e poi destra
  4. Shuang Shou Chan Si (Movimento a spirale a due mani): altro esercizio semi-stazionario, ma questa volta i movimenti sono eseguiti su entrambi i lati, simultaneamente e lungo direzioni diverse
  5. Qian Jin Bu (Movimento a spirale a due mani con passi): esercizio di movimento con passi in avanti
  6. Hui Tui Bu (Passi indietro): muovendosi all'indietro, questo esercizio completa i movimenti lungo tutte le direzioni cardinali

B) Rotazione del dantian dalla parte frontale del corpo verso quella posteriore. È come se il dantian ruotasse intorno ad un asse passante per i fianchi. È un movimento di apertura e chiusura.
  1. Chuan Zhan Chan Si (Movimento a spirale diretto): allena la precisione dei movimenti di braccia e gambe
  2. Ce Mein Chan Si (Movimento a spirale con un braccio laterale): allena la mobilità dei polsi e la flessibilità delle gambe
  3. Dan Shou Xiao Chan Si (Piccolo Movimento a spirale con una sola mano): allena i movimenti interni della colonna vertebrale e del petto con piccoli movimenti esterni del corpo
  4. Shuan Shou Xiao Chan Si (Piccolo movimento a spirale a due mani): maggiore enfasi sui movimenti interni della colonna vertebrale
  5. Tui Bu Chan Si (movimento a spirale delle gambe): allena il coordinamento delle gambe con la forza derivante dall'addome e dal petto

Certamente non è facile riuscire ad afferrare il concetto che questi movimenti sottendono. Può darsi che ci si continui ad esercitare meccanicamente per mesi o anche per anni, senza riuscire a "sentire" questa forza avvolgente che nasce dentro di noi e si sviluppa fino alla punta delle dita, che muove la colonna vertebrale ruotandola su se stessa  e facendo arrivare fino alle dita una sorta di movimento di frusta pieno e potente, fino a che un giorno, senza che ci sia stata una particolare attenzione, si avvertirà il cambiamento, come una vibrazione interna che si propaga a poco a poco per tutto il corpo, nato da quel piccolo e impercettibile movimento all'interno delle anche, che avvolgerà tutto il resto del corpo come un sottile ma robustissimo filo di seta e che si spanderà potente in tutto il corpo fino alle sue estremità. Da quel momento la vostra pratica del Tai Ji sarà sicuramente cambiata e si trasformerà in un'altra cosa, molto più utile e soddisfacente. Vi sarà sufficiente conoscere anche una sola forma di Tai Ji (come la 24 Yang che vi ho descritto passo a passo) ed eseguire solo quella per tutta la vita, ma con la corretta respirazione e con l'applicazione ad ogni movimento dell'energia a spirale, per ottenere la maggior parte dei benefici fisici e psicologici che promette il Tai Ji. Auguri!



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giovedì 14 novembre 2013

Sachertorte.



Mi sapreste dire perché una fetta, una fetta bella grossa di Sachertorte, è così buona, così sufficiente a colorare la vita? Forse è un mistero inesplicabile. E non è soltanto la spessa glassa di cioccolato (ma deve essere bella spessa eh!), la pasta al cioccolato non troppo asciutta, non troppo molle, ben suddivisa da un sublime straterello di confettura di albicocca. A fianco uno spruzzo di panna leggera e un caffé per pulire la bocca. Certo può essere meravigliosa, ma sia che tu te ne stia su una delle seggiole leggere ricoperte di velluto rosso al Sacher café con un gomito leggermente appoggiato al piccolo tavolino di marmo grigio chiaro o davanti all'alto bancone di legno lucidissimo della pasticceria Demel a guardare confuso le spettacolari alzate ripiene del trionfo viennese, sono le vibrazioni che suscita quella fetta di superba nobiltà, i sentori asburgici che avvolgono l'aria quando affondi il cucchiaino nella morbida pasta, il boccone che si stacca tenuto insieme dalla morbidezza della marmellata e il fantastico, inarrivabile, ineguagliabile piccolo snap della glassa che si spezza per permetterti di penetrane la morbida intimità. Saltare due secoli indietro, damine e ufficiali intorno a te, profumi e voci sussurrate, risatine basse, sguardi infuocati da sotto le velette. Mangiare un mito non ha prezzo.

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