domenica 10 novembre 2024

Taste of silk road 6

 

legni dorati -

dormiva tra le sete 

la principessa




sabato 9 novembre 2024

Taste of silk road 5

 

tra giade e opali

aspettiamo il cliente -

il te si fredda



venerdì 8 novembre 2024

Taste of silk road 4

 

piastrelle azzurre

finita è la preghiera -

piedi lavati


giovedì 7 novembre 2024

Taste of silk road 3

 


risaie in secca -

pecore in lontananza

cercano cibo



mercoledì 6 novembre 2024

Taste of silk road 2

 


le cime bianche

ci sbarrano il cammino -

lungi è la meta


martedì 5 novembre 2024

Taste of silk road 1

 


pronta è la capra 

da vendere al mercato -

lucido pelo

domenica 3 novembre 2024

In Patagonia

 

Così come nata l'idea del viaggio, come un tarlo o un essere alieno impiantato dentro di te, questa comincia a svilupparsi maligna, a crescere, a farsi violenta e prevaricatrice anche contro la tua volontà per imporsi alla tua attenzione. E' un poco come quella storia in cui un mago dava la ricetta per trasformare il piombo in oro, aggiungendo con maligna infingardaggine, basta che non pensi mai all'orso bianco. Ed ecco che quell'idea diventava inscindibile ed il meccanismo di trasformazione inevitabilmente falliva. Quindi hai voglia a pensare a mete diverse, sempre quel luogo lontano ed irraggiungibile, ha continuato a perseguitarmi, fino a che, non ho cominciato a studiarne davvero la fattibilità. A questo punto mi sono subito scontrato con una difficoltà pratica. Questo maledetto viaggio, infatti, da qualunque parti lo prendessi e lo rigirassi, aveva sempre un costo assolutamente insostenibile per i miei budget o quanto meno si raggiungevano cifre che non esito a definire immorali e tali da pregiudicarne l'esecuzione. E tutto questo senza una ragione valida, trattandosi in primis di un paese povero, anzi adesso addirittura poverissimo, dove ogni cosa ha costi infimi se rapportati al nostro potere d'acquisto, dunque la cosa è di difficile interpretazione. Capisco rivolgendosi ad una agenzia italiana che ha le sue spese e in ogni caso anche per viaggi di gruppo intruppati, cosa che non gradisco molto, raggiungeva cifre stellari, ma anche andando a cercare sul web o con il passaparola ad agenzie locali, insistendo sul fatto che io non ho esigenze di alberghi spaziali, ma mi contento anche di due stelle o meno, non si riusciva a concretizzare niente di buono. 

Oltre a ciò le agenzie non riescono a proporti viaggi più lunghi di 15/18 giorni, comunque insufficienti a fare un giro completo, per lo meno quello che intendevo io, che comprenda tutti i posti imprescindibili da vedere una volta che sei arrivato così lontano. Insomma un problema talmente ingarbugliato che mi aveva fatto rinunciare all'idea lo scorso anno, deviandomi all'ultimo momento su una meta completamente diversa. Ma quest'anno, il tarlo si è rifatto vivo, prepotente e pretenzioso. Ma possibile che non si riesca a trovare una strada per fare le cose ad un prezzo accettabile?. Così ho ripreso in mano il progetto con una serie di punti fermi taglia costi per arrivare finalmente ad un prezzo accettabile anche se non certo economico. Inoltre sono riuscito a contattare amici che avevano battuto di recente questi sentieri in modalità fai da te ed erano rimasti ragionevolmente soddisfatti, cosa che mi ha consentito di raccogliere una messe di utili informazioni. Intanto si parte in quattro, cosa che fa in pratica dimezzare molte spese di trasporti locali, in macchina e taxi. Le prenotazioni del voli sono state fatte ad fine luglio, cosa che ha consentito un certo risparmio. Gli alberghi scelti con cura e attenzione al prezzo, si sono rivelate in effetti uno dei topic meno cari. Le escursioni saranno valutate in loco di volta in volta e ci sarà anche un certo utilizzo di auto a noleggio, cosa che fa scendere ulteriormente i costi e che spero, mi farà concludere l'avventura novembrina di quattro settimane senza la necessità di vendere un rene per finanziarla. 

Vedremo come andrà a finire, intanto il dado è stato tratto e devo dirvi che, però, ho passato buona parte degli ultimi tre mesi a cercare, valutare, confrontare, fare prenotazioni, sbagliando e rifacendo più volte le cose, con l'aiuto dell'amico Pierangelo fino ad arrivare al quasi momento della partenza. Infatti prima di stendere queste righe, ho appena finito di fare i check-in on line per il volo in partenza. Un lavoraccio, mai pagato, infatti capisco che le agenzie debbano caricarti costi importanti alla fin fine, ma visto che il pensionato è accreditato di essere un irrimediabile perditempo che non ha mai niente da fare. ci sta anche questa corvée. Così nel frattempo ho ripreso in mano il libro di Chatwin da una parte, alternandolo alla Guide du Routard dall'altra, che anche se un po' obsoleta mi ha dato utili informazioni per tracciare un itinerario piuttosto completo. Il libro l'ho letto velocemente, anche perché se pure non ha una utilità pratica organizzativa, ti mette comunque nel mood giusto, essendo scritto un poco con i miei criteri, divagazioni di viaggio, una serie di peregrinazioni che portano a mettere nero su bianco le sensazioni, le emozioni, e soprattutto le storie che si raccolgono durante il viaggio, di certo quelle di Chatwin, più lunghe e ragionate come si conviene ad un vero viaggiatore, che si sposta di luogo in luogo senza una meta precisa, ma decidendo il luogo successivo a seconda dello spirito del momento e dei contatti avuti sul campo. 

Tuttavia leggendo In Patagonia, riesci a sentire davvero l'anima e la carne di quella terra così isolata e lontana. Ti sembra di aspirarne l'aria, i venti furiosi e le solitudini esasperate. I deserti infiniti, le montagne solitarie, i ghiacciai, le pampas e i suoi uomini solitari isolati da tutto e da tutti con i loro animali, quelli a cui devo badare e quelli che invece li circondano comunque essendo lì indipendentemente da loro. E' evidentemente, e credo che così sia rimasta, una terra dura che mette alla prova gli uomini, solitaria e deserta, abitata da avventurieri senza scrupoli e folli in fuga da qualcosa o in cerca di quel qualcosa che mai si riesce a trovare anche se lo si cerca o lo si rincorre per tutta la vita. Gente che lì è arrivata per arricchirsi in poco tempo e ci è rimasta per tutta una esistenza da miserabile. Tanti i riferimenti storici nel libro, che servono più che altro a far da cornice al viaggio, quasi fossero illustrazioni a corredo, ma che aiutano a capire quello che stai andando a vedere. Insomma una lettura indispensabile preventiva per chi vuole andare verso quella che pomposamente si chiama la fine del mondo. Se queste mie considerazioni risponderanno al vero, ve lo saprò dire al mio ritorno, sempre che ci sia, in ogni caso vi certifico che sono assicurato sul rientro della salma, quindi diciamo pure pronti, via!



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sabato 2 novembre 2024

Caucaso 29 - Gyumri

La valle dei Molokhans - Armenia, Caucaso - Maggio 2024
 

La valle dei Molokhans

Scendiamo dunque dalle montagne e ci allontaniamo dal confine georgiano, per percorrere la larga valle che porta dal lago Sevan fino alla nostra destinazione finale per questa densa giornata di visite. Piccoli villaggi lungo la strada che avevamo osservato già prima di Vanadzor, dall'apparenza poverissima. Si tratta di una comunità molto particolare sulla quale vale la pena di spendere due parole. Si tratta infatti di una popolazione denominata Molokhans, che vive in questa valle dalla metà circa del 1800. E' una sorta di setta di protestanti ortodossi che si sono staccati dalla chiesa di Mosca attorno al 1500, rifiutando l'autorità religiosa ed il battesimo con l'acqua, assieme a tutti i simboli dell'ortodossia classica, incluso il culto dei santi e della trinità, riprendendo tradizioni, anche alimentari, col rifiuto ad esempio della carne di maiale e riferite all'antico testamento e una interpretazione strettamente letterale della Bibbia, avvicinandosi dunque in parte all'ebraismo, in una sorta di ritorno alle origini, molto diffuso in fondo in quei secoli nelle comunità cristiane di tutto il mondo. Si definiscono anche come Cristiani spiritualisti. Il nome deriva dal fatto che durante i prescritti giorni di digiuno, bevevano solo latte (in russo moloko). Naturalmente il movimento si spaccò subito in molte dottrine diverse e sette contrastanti tra di loro, generando conflitti e separatismi insanabili come ad esempio i Subbotniky, molto prossimi come ho detto all'ebraismo, che adottarono infatti il sabato in luogo della domenica, come giorno festivo. 

Tubature del gas
Fatto sta che verso la metà del XIX secolo, lo zar, timoroso dell'influenza di questo popolo sulle comunità vicine, lo deportò completamente, visto che tra le altre cose rifiutavano il servizio militare, come avveniva con frequenza in quel paese, contro i mestatori politici, parte in Siberia, mentre la maggior parte finì in questa lontana valle dell'Armenia, mentre una diaspora limitata emigrò in varie parti del mondo (America, Australia e in parte anche in Israele). Naturalmente la storia raccontata dall'altra parte dichiara che la comunità se ne andò verso sud, di sua spontanea volontà, abbandonando lietamente le sue terre su di un lungo treno, in cerca della terra promessa e della nuova Gerusalemme, ma dubito che questa versione sia realistica. Qui, in questi paesini, la comunità sopravvive di stentata agricoltura, riducendosi progressivamente, visto che la dottrina prevede solo abitudine endogamiche, col divieto assoluto di sposare persone di altre religioni, pena la espulsione dalla comunità stessa. Così il gruppo è sceso al di sotto delle 20.000 persone. I Molokhans sono anche allevatori e grandi produttori di particolari formaggi e la valle è ricca di caseifici. L'impressione al passaggio è quella di una zona molto povera ed arretrata, dedita ad una agricoltura di sopravvivenza, mentre, al contrario, si dice che durante il periodo sovietico fossero portati ad esempio come i sovcoz (le entità statali agricole) più redditizie dell'intera URSS, tanto che a molti di loro veniva assegnata la famosa vacanza pagata nei paradisi turistici dell'Unione (spiagge bulgare, georgiane, estoni o nei sanatorj più titolati, come quello di Kislovodsk). 

Una porta

Così ragionando intanto ci avviciniamo a Gyumri, la nostra meta di oggi, che è la seconda città del paese ad una decina di chilometri dal confine turco. Ridendo e scherzando, in due giorni, abbiamo attraversato completamente il paese da una parte all'altra, mentre il nostro amico Marco Polo ci avrà messo almeno un mese, in senso contrario naturalmente. Arriviamo in città che è quasi buio e ci fermiamo sulla piazza principale, la Vertanants, in uno dei locali iconici, il Ponchik-Monchik, famoso soprattutto per i suoi bomboloni (da cui il nome del locale) alla vaniglia e alla cioccolata con cui concluderemo la cena dopo aver assaporato una deliziosa zuppa di funghi dal profumo indescrivibile e alcuni piatti di pollo (14.000 dram in sei). Poi subito a nanna nel b&b in periferia, comunque molto accogliente. Quello che ti colpisce in queste vie lontane dal centro è la presenza delle tubature del gas, tutte esterne che corrono ad altezza d'uomo per tutte le strade, innalzandosi fino a tre o quattro metri per superare gli incroci e proseguire fino a raggiungere tutte le abitazioni con sinuose deviazioni. Sinceramente se ci fosse un incidente d'auto un po' pesante che mandasse qualche mezzo a sbatterci contro, non so cosa potrebbe succedere, magari c'è un sistema di sicurezza che blocca tutto ma ne dubito. Mi sembra di aver visto qualche cosa di simile anche in Russia se non ricordo male, però rimango comunque perplesso. 

Una via del centro

Comunque dopo la colazione mattutina, ricarichiamo i bagagli e rifacciamo un salto in centro sia per cominciare il nostro giro a piedi, sia per fare una seconda colazione nuovamente nel locale di ieri, aggiungendo al bombolone al cioccolato, un bel cappuccino che subito ti mette di buon umore e ben disposto ad affrontare la nuova giornata. Questa volta ci sediamo nel dehors direttamente sulla grande piazza, visto che è uscito anche un bel sole. Siamo viziati, lo so, ma poi, soddisfatti, si gira meglio. E la città è davvero interessante da vedere, dominata com'è da una lunga serie di costruzioni erette in un locale tufo dal colore molto scuro, quasi nero, che conferisce all'abitato un aspetto del tutto particolare. Gli edifici sono piuttosto massicci, molti di inizio novecento, pur ricordando che la città è stata completamente devastata dallo spaventoso terremoto del 1988 che provocò oltre 30.000 vittime. In effetti la parte storica dell'abitato è stata eretta nuovamente sulla base di foto e disegni d'epoca, per merito di un architetto di Palermo che era venuto qui con le squadre di soccorso e che, innamoratosi del posto, qui rimase e attivamente partecipò alla fase ricostruttiva. La sua casa, completamente rimessa alle condizioni originali è poi diventata un albergo. Un particolare che tutti ricordano è che praticamente tutte le costruzioni sovietiche si sbriciolarono quasi completamente senza lasciare traccia, mentre quelle storiche locali subirono pochi danni e fu possibile appunto ricostruirle quasi per intero. 

Chiesa di S. Salvatore

Certamente questo tufo nero circondato da modanature di pietra chiara rende l'aspetto della città del tutto particolare e non puoi fare a meno di passeggiare per le vie pedonali del centro ammirando la serie di facciate, i vecchi negozi, le insegne e sentendoti in un clima d'altri tempi, in quella atmosfera caucasica lenta e tranquilla di una Armenia ottocentesca che ancora non immaginava di dover subire quanto sarebbe accaduto in seguito, quando l'odio e la furia ingorda dei suoi vicini, non ne avrebbe potuto più sopportare la pacifica e fruttuosa civiltà, accanendosi ad ondate successive per depredarla e cercare di spazzarla via, nel tentativo di farne scomparire definitivamente la cultura. Puoi sederti su una panchina si ferro battuto nero e sentirti in un altro secolo, mentre vicino un vecchio con una ispida barba scura offre spiedini alla griglia che ancora fumano, o entrare dentro le fredde mura oscure di una chiesa greve per l'odore di ceri che fondono lentamente davanti ad antiche icone. In fondo ad un cortile, c'erano gli "uffici" dell'ex-KGB, un luogo che anche a non saperlo, appare come un po' tetro, anche adesso che invece ospita un ristorante per giovani, con tante tavole di legno con gli ombrelloni bianchi, nel cortile. I tempi cambiano, ma certe cose conferiscono ai luoghi un imprinting duraturo che fa fatica a sfumare. Quasi mi sembra di ritornare a quella Mosca plumbea degli anni '90, quando il mio amico Zhenja, mi faceva istintivamente cambiare marciapiede quando passavamo davanti alla Lubjanka per andare al negozio di giocattoli del Djetsky Mir. 

Il nartece

Teneva gli occhi rivolti verso il basso, senza darmi spiegazioni, ma le parole non servivano, per lo meno fino a quando non arrivavamo davanti alle vetrine del negozio, illuminate e rutilanti di giocattoli in legno, meravigliosi. Noi invece, dopo un lungo giro, tra i bei giardini ricche di statue neoclassiche, torniamo a piazza Vertanants. Nella chiesa del Salvatore è ormai terminato il restauro e la sua sagoma nera con le eleganti modanature di pietra gialla che ne segnano gli archi e gli spigoli, la rende il monumento clou della piazza che non può non attirare l'attenzione del passante anche distratto. Certo le foto che la ritraggono quasi completamente abbattuta in un cumulo di macerie, fanno impressione ed i raggi di luce che scendono dalle aperture dell'alta cupola centrale appaiono quasi come un segno divino, venuto a benedire l'opera finalmente finita. Anche l'altra chiesa, dall'altra parte della piazza, la Surp Astvatsatsin, che era stata meno danneggiata, giganteggia con le sue strutture ottocentesche così massicce da intimidire quasi il visitatore, in particolare lo spettacolare nartece dalla volta che si mostra come una complicatissima trina di archi in trecciati  che culminano in un oculo centrale che ne illumina la bellezza. Traversiamo ancora la piazza e le vie laterali affascinati dagli antichi portoni, assolutamente eleganti nelle loro tracce di elementi liberty, anche se in qualche caso sbrecciati a quasi abbandonati a se stessi. 

Ulisse

Ma questa è anche una città culturalmente molto viva, che ospita innumerevoli artisti che rappresentano tutti i movimenti più moderni ed interessanti dle paese. Così facciamo anche un salto in una galleria di un amico di Gianluca, che ama molto Gyumki e che si trova molto a suo agio in questo ambiente, evidentemente molto fertile dal punto di vista culturale. Nella galleria sono esposti i lavori di molti artisti armeni davvero interessanti, incluse molte sculture e bronzi di molto fascino. Ci accompagna quello che dovrebbe essere il gestore della mostra, un viso che, se io fossi un regista in cerca di cast, assimilerei immediatamente a quello di Ulisse, un po' scarno dagli occhi volitivi e curiosi al tempo stesso, una barba corta e confusa, i capelli nerissimi e ricci, ma il naso che lo caratterizza completamente con la sua linea retta dalla fronte alla punta, come solo poteva essere quello di Odisseo sulla prua della sua nave, che ritrovi identica su certi vasi attici, lo sguardo un po' perso nel vuoto in cerca della sua dolce Itaca, ma distratto dalla selvaggia e profumata Ogigia. Dalle volte della galleria pendono centinaia di volumi dalle pagine svolazzanti che fluttuano nel vuoto, sulle nostre teste, quasi a voler lasciare scendere dalle loro pagine, idee, storie, immagini inespresse disperse nell'aria per farci sognare ancora un mondo dove regna la mente ed i suoi disegni segreti. Davvero interessante questa città dalle case di pietra nera e dalle anime colorate. Dai, mangiamoci un boccone e via per vedere ancora, prima di lasciare questa bella città, la fortezza nera sulla collina.

SURVIVAL KIT




Kotun Aptm - Masmania Ul., 27 - Gyumri. In zona periferica, casetta, secondo lo stile B&B, di recente sistemazione, con camere ragionevolmente spaziose e bagnetto comune con lavandino davvero lillipuziano, il più minuscolo che abbia mai visto. Spazio per colazione e tavernetta comune per passare la serata. Un'ottima soluzione con camere doppie letto queen a 22 €.

La galleria

S. Salvatore dopo il terremoto
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7 -  Kazbegi

sabato 26 ottobre 2024

Caucaso 28 - I monasteri da Dilijan ad Alaverdi

Monastero di Haghartsin - Dilijan - Armenia - Caucaso - maggio 2024 (Foto T.Sofi)
 

Il lago di Sevan

Siamo arrivati in fondo al lago, qui la costa si insinua tra le colline nascondendo i paesini che hanno un'apparenza di abbandono. Sembra che dopo la caduta dell'URSS, il crollo delle presenze di turisti russi abbia dato un colpo abbastanza pesante all'economia locale, con il conseguente spopolamento della zona. Lungo il lago si vedono infatti zone con quelle che potevano essere aree balneari o comunque luoghi di vacanza, ma il senso di abbandono è inequivocabile e tutto l'intorno ne risente. Quando arriviamo al promontorio che mostra sulla cima la costruzione del monastero di Sevanavank, tutto sembra prendere vita, quantomeno questa presenza attira fedeli e mantiene una attività. Anche la religione ha sempre mosso il business, molto in altri tempi, ma anche adesso è certo. Infetti la scalinata che porta alle costruzioni ammucchiate sulla sommità mostra un certo passaggio di fedeli ma anche di turisti, incluso un gruppo di chiassosi cinesi che guadagnano in fretta la cima tra gridolini delle ragazze e selfie sparsi lungo la salita. Come ho già detto questo promontorio, prima del maldestro e criminoso tentativo di semiprosciugare il lago, era un'isola, detta l'isola degli uccelli, staccata dalla riva e raggiungere il monastero prevedeva anche un passaggio in barca, facendo sì che l'eremo fosse di fatto isolato, tanto che si dice che qui venissero mandati i monaci diciamo così birichini, in modo che non avessero più occasione di essere tentati da donne o ragazzini, che poi alla fine i problemi son sempre gli stessi, in tutti i tempi. Si sa che la carne è debole.

Sevanavank

Le prime costruzioni risalgono al IV secolo, poi distrutte da Tamerlano che potendo non ne risparmiava nessuna, mentre le attuali risalgono al 1400, sebbene distrutte più volte dai terremoti. Per la verità di chiese ne rimangono solo due, la terza fu abbattuta durante il periodo sovietico e le pietre utilizzate per costruire una casa di riposo in città. Sic transit gloria mundi si potrebbe dire, tuttavia il luogo, che dal '90 si è è ripopolato di monaci, presenta nuovamente un rifiorire delle sue funzioni originarie. Sulla cima domini il lago e le due chiesette stanno lì con le loro pietre antiche ricoperte da licheni che le disegnano di trine colorate rosse e azzurre, mentre il cielo si infittisce di nuvole spesse, cariche di pioggia che però non vuole scendere, sempre più aggrovigliate con il solo desiderio di negarci un tramonto di fuoco che ci aspettavamo da questa posizione privilegiata. Così tutto il panorama assume quella colorazione di piombo che tanto caratterizza i laghi e li rende tristissimi. Scendiamo con calma mentre il cielo si scurisce ancora ed i pochi banchetti lungo le scale hanno ormai chiuso, avendo deciso che per il turismo la giornata è finita ed i monaci hanno altro a cui pensare e riprendiamo la via, fermandoci ad un'altra food court lungo la strada, che rappresenta sempre una valida soluzione per ingollare il necessario numero di calorie ed oltre, per proseguire poi fino a Dilijan, una deliziosa cittadina dal sapore passato, nel bel mezzo di un parco nazionale tra le montagne, fatto di foreste di latifoglie e alture che nascondono paesi abbandonati e una serie numerosa di monasteri e chiese antiche che vedremo domani. 

Case di Dilijan

Chiamata anche la Piccola Svizzera armena, era popolarissima in epoca sovietica, quando qui veniva tutta la nomenclatura dei politburò a "riposare", come diceva il mio amico Zhenja. Adesso c'è più calma naturalmente e forse proprio per questo il luogo è ancora più godibile. Noi siamo in una villetta in periferia, con un piano tutto per noi. Quelli che possono, adesso sfruttano le loro case per ospitare i pochi che arrivano ancora da queste parti ed arrotondare in qualche modo in questi tempi difficili. Il mattino ci trova un po' insonnoliti in questa atmosfera montana. E' ancora presto quando usciamo in città per passeggiare tra le sua antiche case che danno sulla valle circostante completamente ricoperta di fitti boschi di latifoglie. Qui ti rendi davvero conto di quale fosse la struttura e l'aspetto di una città armena dell''800, con le sue grandi case di pietra e di legno, con gli ampi balconi che ne circondavano il primo piano, sostenuti da sottili ed eleganti colonnine lignee, che coprivano lunghi porticati sotti i quali ancora adesso è piacevole passeggiare. Non stupisce che questa area così ben conservata, fosse focalizzata alla creazione di un interesse turistico di un certo spessore, senza considerare la splendida natura che circonda la città e le gemme architettoniche che i dintorni conservano, almeno nelle parti che i terremoti così frequenti e distruttivi, hanno evitato nei secoli di radere al suolo. In giro non c'è quasi nessuno e tutto ciò contribuisce ad aumentare l'atmosfera di solitaria bellezza che l'ambiente nel suo complesso ti ispira. 

La statua di Mkitar

Un pope, nella sua lunga tunica nera e il tocco cilindrico calato sui capelli disordinati, passeggia assorto nei suoi pensieri, nelle mani un libro, il breviario?, col dito dentro, certo per tenere il segno. Ha gli occhi semichiusi, il viso serio di chi ragiona sul destino delle anime in questo mondo così difficile da interpretare, da capire o chissà che invece non sia il tesoriere del convento, molto preoccupato dei conti che faticano a quadrare. Qualche casa è unita l'una all'altra da sovrapassaggi che, collegandole, aiutano anche a mantenerne salde le strutture, come nei nostri paesini di montagna, la prima difesa contri i feroci movimenti della terra. Ferro battuto, legni istoriati, rocce scolpite con disegni antichi, croci e stemmi che riportano ad un medioevo non così lontano come la conta degli anni vorrebbe. Fronde che stormiscono lontane sulle colline e che sono la colonna sonora del luogo. Poi basta spostarsi di qualche chilometro fuori città ed eccoci a Goshavank, un gruppo di edifici raggrumati gli uni sugli altri, cappelle, chiesette e ambienti utili alla vita di un monastero, biblioteca, refettorio, magazzini. Fuori, severa e scura, la statua al fondatore Mkitar, scienziato e scrittore, ti osserva mentre varchi l'ingresso di pietra. La chiesa di S. Gregorio l'illuminatore, è la più importante con la sua spettacolare volta nella quale gli archi di pietra si incrociano segnando una splendida crociera quadrata centrale da cui arriva una luce che diresti divina. 

Goshavank

Fuori, nella parte posteriore del complesso, una collezione di croci di pietra, tra le quali spicca quella siglata da Poghos che si dice essere la più bella dell'Armenia. In effetti se la osservi da vicino, assieme alle sue compagne che certo non sono da meno, ti sembra di guardare una sorta di lavoro all'uncinetto che si appoggia sulla pietra luminosa che quasi illumina lo spazio circostante. Certo di monasteri, di chiese il Caucaso è pieno, alla fine ne vedi tanti e il rischio è quello di confonderti o di aver poi un ricordo confuso che assomma tutto in un mescolone di dettagli ed elementi architettonici che vanno a fondersi in un minestrone di sensazioni di generica e confusa bellezza. Ma non è così. Basta riguardare una foto, rimestare un ricordo e subito un elemento distintivo ti salta poi alla memoria e rinnova quel piacere che hai provato, quella sensazione di appagamento che tutta la bellezza assoluta ti sa dare e che alla fine rimane ben fissa nella memoria. Un breve tratto di strada e siamo ad Haghartsin, che, come ricorda il nome è "il gioco delle aquile", un altro gruppo di costruzioni nascosto dal bosco al quale arrivi discendendo una ripida strada in un vallone. Chiare costruzioni dai ripidi ed eleganti tetti a spiovente, sui quali spicca il tamburo ottagonale, che i 16 archetti alleggeriscono ulteriormente, alto con il cono terminale aguzzo che si libra su tutto. E' un'altra bella costruzione molto omogenea di quel periodo d'oro per l'architettura armena, che gira attorno al XII-XIII secolo e che tante bellezze ha seminato in ogni parte del paese. 

La quercia 

Dappertutto noti croci e simboli della cultura armena, dai bassorilievi alle lettere dell'alfabeto sparse anche sulla campane. Sculture ovunque, nella pietra si allinea il disegno potente dello scalpello che crea storie, volti, immagini, molte che riportano le aquile della tradizione che hanno contribuito al nome del complesso. Tre chiese, opera globale dell'architetto Minas, che ne fece il suo capolavoro, la minore delle quali, è una replica in piccolo della principale. E poi un vasto refettorio con mobili replicati su modelli dell'epoca. All'interno tombe di regnanti che hanno fatto la fortuna del luogo e le splendide strutture che culminano in oculi centrali da cui la luce entra prepotente a fendere l'oscurità degli ambienti portando quello che sembra davvero un anelito divino. Non per nulla qui si dice si avverta "la voce di Dio", al punto tale che lo sceicco arabo al-Khashimi, che ha visitato il luogo nel 2005, è rimasto talmente colpito da questa emozione da finanziare completamente i lavori di restauro del sito, caso direi decisamente anomalo in tempi moderni che un islamico finanzi un tempio cristiano. Mi sembra non poca cosa. E poi ancora molte khachkar tra le quali una di quasi 800 anni, detta anche la croce infinita per il suo disegno che crea un effetto di repliche continue. Dietro la chiesa anche quello che rimane di una antica quercia, un tronco corroso dai secoli e ridotto ad una crisalide cava, dentro il quale si può addirittura penetrare, e riuscendo a fuoriuscirne lateralmente e senza danni, avere la certezza della risoluzione dei propri desiderata e della corresponsione delle grazie richieste. 

Haghpat

Poi la strada prosegue in una lunga valle montana verso nordovest e dopo Vanadzor pieghiamo decisamente a nord traversando una costa di montagne per avvicinarci ancora di più al confine georgiano. Altre due gemme ci aspettano nascoste nella valle del Debed, una gola profonda scavata in un altopiano con la parte superiore piatta ed estremamente regolare che percorri velocemente, salvo poi precipitare verso il fondo in una serie di tornanti ripidi e avvolti dal bosco. Si tratta di altri due complessi monastici posizionati in alto in modo da dominare le gole stesse e che quindi propongono viste mozzafiato sul panorama sottostante. Prima Haghpat, decisamente scenografico, domina su un piccolo centro abitato sottostante ed è costituito dal solito insieme di cappelle, chiesette, biblioteca, refettorio e altri magazzini vari destinati alla vita conventuale. Gli interni, dove domina la pietra grigia, sono piuttosto spogli, ma questa povertà d'arredo fa risaltare ancor di più la struttura architettonica con il gioco delle volte sostenute da grandi archi che si incrociano, in particolare la grande sala centrale della chiesa principale, bene illuminata dalle aperture della cupola, sostenute da imponenti e massicce colonne ornate da ricchi capitelli. Qui sono visibili dei begli affreschi che raccontano di come dovevano essere policrome e ornatissime, all'origine. Anche il campanile che spicca esternamente non è consueto in questo tipo di costruzioni. 

Il campanile

Svetta sul culmine della collina come fosse una cappelletta distinta e solo lo slancio di verticalità che lo contraddistingue lo fa individuare nel suo uso, non appena intravedi sopra il timpano, dalle piccole bifore laterali, la minuscola esedra sommitale che ospita le campane. Elegantissimo con i suoi angoli smussati che terminano in decori tipicamente persiani, anche le modanature delle pareti esterne sono di complemento di una vera e propria opera d'arte assoluta. In un altro vasto ambiente laterale, forse un magazzino, al quale tuttavia la serie di archi e volte conferiscono una dignità quasi sacrale, ecco apparire sul pavimento una serie di fori circolari, la parte esterna di orci che probabilmente erano destinati alla produzione tradizionale del vino, che proprio in queste aree ha visto la sua invenzione, se così la vogliamo chiamare. Magnifiche le cappelle esterne, con gli ingressi che appaiono come trine scolpite nella roccia tenera e sormontate da altrettante stupende croci. Torniamo quindi in fondo alla valle, verso Alaverdi la città industriale che è sorta qui in epoca sovietica con lo sfruttamento delle miniere di rame, oggi molto ridotte come produzione e quasi abbandonate, che presenta la faccia triste di ogni luogo postindustriale di epoca passata, con le sue file di capannoni in disuso, lasciati in preda alla ruggine e al degrado. Lo spopolamento che ne è conseguito contribuisce ancor di più a quell'aria di desolato abbandono che ammanta tutti questi luoghi che hanno avuto una storia recente di industrie finite nel nulla, nonostante, assieme all'attività della fonderia, dia ancora lavoro a qualche migliaio di persone. 

Madonna col velo islamico

Certamente l'aspetto dell'area è devastante, in linea con tutti i similari luoghi minerari delle altre parti del mondo. A soli sette chilometri invece, risalendo il bordo della gola, eccoci a Sanahin, altro centro culturale religioso di una certa importanza dove una comunità di monaci studiava i testi sacri, ricopiandoli e producendo opere d'arte straordinarie. Il gruppetto di edifici risulta qui seminascosto tra i rilievi erbose e le costruzioni emergono da lontano solo per le loro parti superiori. Su tutti domina il grande gavit, l'imponente e severo vestibolo della chiesa principale di San Astvatsatsin (Santa madre di Dio), con il suo lungo colonnato di sostegno  che devi percorrere per entrare nella chiesa, passando per la interminabile serie di lastre tombali scolpite, che formano esse stesse un incredibile decoro sacro. Molte le immagini sacre tra le quali spicca una curiosa Madonna con velo islamico, segno che le contaminazioni religiose da queste parti sono tutt'altro che rare. Ma anche l'altra, quella di St. Amenaprkich, ha una struttura straordinaria col suo grande vestibolo quadrato che anticipa la navata rettangolare ed altissima sostenuta da colonne grasse e tozze, completamente ricoperte di iscrizioni nel geometrico alfabeto armeno, quasi a contrasto con lo slancio della costruzione complessiva. In fondo, nell'abside che la tenda rossa lascia aperta e visibile, secondo la tradizione ortodossa armena, due monaci parlano tra di loro alzando gli occhi al cielo di tanto in tanto. 

I lunghi capelli grigi raccolti in una codina, un po' hippy d'altri tempi, si muove all'unisono con i cenni di affermazione. All'esterno le alte pareti alle quali la pietra squadrata darebbe un senso di pesantezza, sono alleggerite da una serie di archetti verticali che terminano in sottili ed eleganti colonnine che arrivano fino al suolo. Anche qui una costruzione a torre contiene il campanile. Attorno, tutta una serie di costruzioni minori, cappelle, le tombe degli Zacharia, la famosa biblioteca ed una chiesetta in rovina, della quale indovini a malapena la cupola crollata di pietre grigie ammonticchiate a terra. Dappertutto una imponente serie di khachkar, alcune bellissime davvero. Ce ne sono almeno una cinquantina, alcune all'interno, altre a far da corona, con la loro tenera pietra rossa a far da contrasto con il grigio delle pareti, sparse all'esterno. Insomma un altro luogo a cui la assoluta assenza di visitatori conferisce un senso di sacralità molto coinvolgente. Se non fosse per qualche banchetto lungo la scala che sale al monastero, davvero avresti la sensazione di vivere in un tempo diverso. Mille anni qui non sono niente, almeno questa è la sensazione. 


Distillatori di calvados

Mentre scendiamo passiamo davanti al cimitero recente, qui niente khachkar, ma grandi lastre tombali di granito nero sulle quali sono state riprodotte, credo con un sistema di elettroerosione, vere fotografie del defunto lì sepolto. Piuttosto impressionanti. Ma una signora ci chiama da dietro al suo banchetto, visto che passa poca gente di qua. Il marito ci fa subito entrare nella sua casupola che sta alle spalle del negozio stesso. Lo abbiamo beccato che stava distillando mele, in una specie di calvados di queste parti e vuole subito mostrarci il suo lavoro, insomma che qualcuno lo apprezzi. Ci racconta un po' del suo laboratorio contadino, poi parte l'assaggio, 56 gradi, un po' forte direi, ma lui ride contento; un po' di formaggio aiuta a far passare l'aggressività del liquore, ma quello di 62 gradi, lo lasciamo; è davvero troppo per noi. E' un pensionato, ha fatto l'insegnate di ginnastica e l'allenatore di basket, adesso si dedica solo alle attività di campagna, con gran gusto direi. Quelli che passano di qui, li invita solo per il piacere della chiacchierata, la moglie fuori al banchetto lo guarda con l'aria di chi ormai se lo trova a casa tutti i giorni tra i piedi e ne deve sopportare la presenza. Ma a questo punto la nostra strada volge a sud e ce ne andiamo anche se con la gamba un po' malferma e non si tratta della strada percorsa. Meno male che guida il nostro Saro.

Il pavimento a Sanahin

SURVIVAL KIT

Gli orci ad Haghpat

Monasteri della zona di Dilijan e Debed - Goshavank - A circa 20 km in un villaggio di nome Gosh, fondato attorno al XII sec. dal sapiente Mkhitar Gosh, estensore del primo codice penale, di cui si vede la grande statua. Uno dei migliori esempi di architettura armena. Nel cortile si vede quella che è considerata la più bella Khachkar dell'Armenia. Haghartsin - Altro capolavoro artistico ad una quindicina di minuti da Dilijan, privo di mura esterne con molti pezzi importanti. Infine, più a nord a pochi chilometri da Alaverdi, nelle gole del Debed, i monasteri di Haghpat e Sanahin dalle architetture molto interessanti e se vi rimane tempo a una ventina di chilometri il monastero di Akhtala, unico della zona a conservare una serie molto completa e piuttosto ben conservata di affreschi.

Una khachkar

Sanahin
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