lunedì 13 agosto 2018

Etiopia 46 - Il grande lago salato


Il lago salato


Rocce 
Si sta facendo sera e forse questo è il momento in cui il calore è più insopportabile. E' un mistero come gli uomini del sale riescano a lavorare in queste condizioni. Ce ne andiamo facendo scrocchiare la distesa salata che si sbriciola sotto i nostri piedi. L'auto riprende il cammino, allontanandosi nel bianco. Percorriamo veloci la distesa perfettamente piatta, il passaggio di qualche auto ogni tanto ha compattato le carreggiate della pista inscurendole visibilmente, in questo modo il cammino è chiaramente segnato, solo che di tanto intanto i segni si biforcano allontanandosi gradualmente verso due diversi orizzonti e poi ancora e ancora, solo di tanto intanto si riuniscono, quasi che ci sia stato un ripensamento da parte degli autisti e subito ti poni il dubbio, se stessi guidando io, da che parte andrei, destra o sinistra; una domanda che ti si pone spesso davanti alle incertezze della vita, in momenti nei quali cerchi disperatamente un segnale ed invece, come qui, vedi soltanto la linea infinita dell'orizzonte senza risposte certe, che ti chiede di scegliere. Ogni tanto nella pianura bianca spunta un rilievo roccioso, una presenza scura che sporca un velo di sposa bianchissimo e che appare piccolissimo alla distanza, tale da sembrare trascurabile, ma che poi si ingrandisce sempre di più man mano che ti stai avvicinando, quasi che i difetti appaiano sempre più grandi ed insopportabili se vai a considerare da vicino le cose. 

L'occhio blu
Sono isole di roccia aspra e corrosa dal calore bruciante che ne spezza la consistenza, riducendola in briciole minute di ciottoli pungenti che si distaccano dalla roccia madre e cascano a terra circondandola. Forse sono lì da secoli e nessuno li ha mai sfiorati ed in fondo che bisogno c'è di farlo. Accanto ad una montagnola più grande, qualche decina di metri fuori dalla superficie che qui è di un bianco più sporco, segnata da scaglie sollevate, quasi contorte dal calore come delle lasagne rinsecchite a cui i troppi gradi del forno abbiano bruciacchiato il sugo, c'è una specie di buco blu che si apre d'improvviso nella terra. Una sorta di piscina di acqua scurissima, della quale, avvicinandoti non riesci a scorgere il fondo, un antro liquido che prelude ad una discesa a quegli inferi che tanti, ed in tanti luoghi diversi hanno cercato ed il cui ingresso non potrebbe essere meglio trovato che quaggiù. E' una pozza di acqua salatissima che sta lì incongruamente, a segnare un punto in mezzo a questo deserto, come a dimostrare che anche l'impensabile è possibile. Gli uomini armati, forse per contratto, vanno a posizionarsi seduti sui talloni in vicinanza della rupe nella sottile parte di ombra che il sole ancora alto concede. Han posato il mitra a terra al loro fianco, inutile attrezzo che concede però dignità anche all'umile, rendendolo temibile. Intanto tutti gli altri corrono gioiosamente alla pozza ansiosi di verificare la spinta di Archimede in questa particolare miscela ad alta concentrazione salina. 

La riva del lago Assal
Lalo ed altri si gettano subito nell'acqua, beandosi del fatto che la spinta verso l'alto è fortissima e si galleggia in modo quasi innaturale, altri più cauti o semplicemente perchè non vogliono mostrarsi in mutande, si siedono sul bordo, immergendo soltanto i piedi in quel brodo primordiale e quasi bollente. Tutti sguazzano e ridono allegramente. Io rimango con gli occhi fissi nel verde blu di quell'occhio perverso in cui riesci a malapena a penetrare lo sguardo per pochi centimetri, cercando di scorgere rilievi o tracce di esistenze, oltre l'oscurità assoluta che ti impedisce di avvertirne la profondità, forse di pochimetri, forse spaventosa ed anch'essa infinita come le tue paure nascoste, come l'immensità di questo deserto. In pochi minuti, tutti sono subito asciutti e di nuovo si corre di nuovo fino alle rive del lago Assal, anche lui immenso, uno specchio piatto che porta incastonato al centro, un monte a cono perfetto, cresciuto dalle sue viscere a causa delle forze segrete forse imprigionate dentro di lui e ansiose di sfogare alla superficie, come un essere alieno che voglia liberarsi eruttandosi fuori con rombi infuocati. Questa è la terra vulcanica per eccellenza. Nella depressione degli Afar, si allargano ben tre placche tettoniche contemporaneamente e tutto quanto ci circonda è terra nuova o nuovissima, che si crea continuamente, che si genera uscendo in superficie per mostrarsi neonata al mondo. 

Carichi di sale
Le auto si dispongono infila davanti al lago, mentre il sole scende dietro una lontanissima linea di rilievi. Il lago, da argento che era, diventa via via sempre più azzurro, poi, mentre il rosa conquista il cielo, assume colorazioni inaspettate, verdi, viola, blu, fino al grigio che ottunde i sensi ed prelude l'arrivo della notte. Dietro di noi, intanto, dapprima puntini lontani, poi striscioline sempre più grandi, le lunghe file di dromedari carichi delle mattonelle di sale, che avevamo visto nelle cave qualche ora prima abbandonati a terra e riottosi ad essere gravati della loro futura fatica, si avvicinano con una lentezza biblica, quasi un andamento rallentato, che tarda ad arrivarti vicino e poi ti raggiunge e poi sfila di fianco a te, senza degnarti di uno sguardo, come se la tua presenza non esistesse. Sei tu l'estraneo in questo luogo. Questi animali hanno percorso il cammino di fianco al lago altre mille volte, sempre uguale per giorni e giorni, sempre all'imbrunire e per tutta la notte, riposando sulle rocce nelle ore più calde, fino a raggiungere il mercato più vicino, a scaricare il loro fardello e poi finalmente ma ingannevolmente liberi, tornare indietro un'altra volta per essere di nuovo ricaricati. Una fatica di Sisifo senza fine, una maledizione che avrà termine solamente con il termine della loro vita. Neanche l'essere che li accompagna, in fondo alla fila, coperto alla meglio da uno sdrucito mantello, un tempo bianco, ti degna di uno sguardo. 

I letti
La tua presenza in quel luogo non esiste, non c'entra nulla, è una inconsistenza da non considerarsi, che nulla toglie al deserto, ma neppure nulla aggiunge. Mentre il sole scompare definitivamente sotto l'orizzonte, beviamo l'ultimo gotto di un liquido che volenterosamente possiamo chiamare vino, caldo e speziato, potremmo anche definirlo vin brulé, poi, risaliti a bordo, le auto riprendono la marcia veloce sulla piana che diventa sempre più buia. Il caldo è sempre uguale, anche quando soltanto i fari gialli illuminano la pista. Ci vuole un po'per riguadagnare la baracca di pali e frasche che avevamo lasciato a metà giornata. Prendiamo possesso ognuno del suo charpoi di corde, posizionandolo vicino alle auto. Dalla baracca esce un grido ritmato:- My name is Shaka, Shaka, Shaka Zulu and dinner is ready - Un ombra un po'folle si agita dietro un pentolone e versa mestolate di maccheroni e pomodoro e poi patate e carote. Ingurgiti e cerchi subito di calmare il bruciore della spezia che ti violenta l'esofago gettando giù qualche sorsata di acqua più calda di quella in cui è bollita la pasta. Shaka è un rasta fatto e finito e sghignazza con l'occhio un po' fuori dalle orbite, quando vede le facce stranite di chi ha appena buttato giù il suo operato culinario. Ormai intanto è scesa la notte e non rimane che andarsi a buttare sul giaciglio improvvisato. Siè levato un vento violento che porta via gli oggetti leggeri e impone di mettersi al riparo delle auto ed il più possibili orizzontali. Sopra di te soltanto la scura coperta di stelle. La luna non è ancora sorta ed uno sciame di astri mai visto attraversa tutto il cielo. 

Il campo
Non riesci ad addormentarti e non ti capaciti se è per tutta quella meraviglia di seta nera punteggiata di minuscoli diamanti o se per gli sghignazzi di Shaka e dei suoi compari che arrivano dalla baracca dove probabilmente continuano abbondanti le libagioni di liquidi misteriosi. Anche stanco e spossato per la lunga giornata non riesci a chiudere gli occhi, è più forte di te, non vuoi rinunciare allo spettacolo di questa cupola nera, di questo planetarium naturale che ti circonda, non sporcato da alcuna luce, se pur fioca, intonso e unico anche se sempre identico a se stesso. Rimani lì a pancia all'aria a chiederti se è così che vivono la notte i pastori erranti di tutto il mondo, siano essi soli con le loro greggi nelle steppe dell'Asia, nelle savane africane o nelle pampas argentine. Se dormono subito vinti dalla stanchezza e incuranti di uno spettacolo ormai così consueto da non destare in loro alcuna emozione o se invece ad ogni sera davanti al ripresentarsi di questo fondale magico non abbiano un piccolo brivido di stupore e di meraviglia. Intanto il disco giallo della luna piena, una palla d'argento  perfetta, vola su tra le rocce e conquista la sua primazia in pochi attimi, annullando tutte le luci più vicine. In un momento dall'oscurità più completa, puoi scorgere le sagome che ti circondano ed ecco di fianco a te comparire la inspettata ed evanescente sagoma della tua ombra, compagna inattesa da cui non puoi essere abbandonato. Sei in uno spazio senza tempo apparente, anche se il gorgoglio sommesso che avverti intorno a te non è il sordo brotolar di vulcani sotterranei o peggio degli spiriti malevoli dei Jin del deserto, ma soltanto il russare prosaico dei tuoi vicini che yi accompagnerà fino all'alba.

La carovana del sale





La guardia
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