Tribù Afar |
La carovana di ritorno dall'Erta Ale |
Bisogna confessare che l'esperienza dell'ascesa al vulcano è stata davvero letale, considerando anche il fatto della delusione per la mancata vista del famoso lago di lava, tuttavia, bisogna dire che riprendere fiato accasciati su una sedia di plastica rotta all'ombra di un'auto, non ha prezzo. Intanto dentro una baracca il sempiterno Shaka Zulu, chiama a raccolta chi vuol buttare giù un piatto di uova e una fetta di anguria, rosa pallido come l'aurora. Si comincia a ragionare, intanto vedo intorno a me parecchia gente che sta tirando il fiato se poi è possibile a questa temperatura. I più atletici e meno stanchi approfittano per farsi innumerevoli selfie con i kalashnikov in mano, ma funzioneranno davvero, poi? Infine a poco a poco qualcuno salpa le ancore, inclusi i fucilieri che ormai hanno assolto al loro compito quantomeno figurativo. Anche i dromedari stanno accasciati dietro le baracche, per loro niente ombra; aspettano silenziosamente che arrivi la sera, certamente per fare il prossimo carico di dannati. Intanto le macchine se ne vanno alla spicciolata. Si tratta di rifare l'infame strada di ieri, quando però risalivamo la valle baldanzosi e carichi di aspettative, adesso invece scendiamo delusi e sconfitti e pure con le ossa rotte. Ripercorriamo le sabbie infuocate rischiando di impantanarci più volte, poi finalmente eccoci sulla pista rettilinea e solida, quando di nuovo si arriva all'asfalto. Pieghiamo verso sud, la strada questa volta è bella e larga, completamente nuova; è una arteria che si sta preparando alle nove realtà commerciali della regione.
Guerriero Afar |
Questa è la direttrice che arriva dal Tigray e dall'Eritrea, con la quale è scoppiata finalmente la pace, direttamente dal porto di Massaua e va fino a Gibouti, tagliando netto tutto il territorio degli Afar. Dopo un poco arriviamo ad un grande assembramento di baracche di lamiera e di costruzioni improvvisate in via di crescita. E' una città senza nome che sta crescendo come un fungo estraneo nella piana, sulla riva del grande lago Afrera, uno specchio di acqua di oltre cento km2 che ha una altissima concentrazione di sale ed è circondato da enormi superfici squadrate e bianche, una serie di saline a perdita d'occhio. Tutta l'area è in evidente sviluppo, con aree di servizio nuove, dove si ammucchiano un gran numero di camion carichi di masserizie di ogni genere, segno evidente che una nuova direttrice commerciale sta generando movimento e crescita esponenziale di nuovi affari. Tra i locali che si affacciano sulla strada, girano un sacco di facce interessate alle nuove opportunità più che alle greggi di capre ed alle mandrie di cammelli. Anche i mitra sembrano essere più facilmente deposti nei retro, piuttosto che maneggiati con nonchallace o appoggiati sulle spalle. Scendiamo fin sulla riva del lago dalla superficie perfettamente immobile e priva della minima increspatura. Ha un colore blu scuro, ma qua e là intravedi i sedimenti bianchi e sbriciolati delleincrostazioni sale grezzo. Tra i palmizi e la rara vegetazione fuoriescono rivoli di acque bollenti.
Il lago Afrera o Giulietti |
Qui la terra è tutta un susseguirsi di fumarole che buttano vapore ed il liquido delle sorgenti arriva in pochi metri al lago quasi a 90°C, bisogna fare una certa attenzione a non finirci dentro. Il lago è stato scoperto nel 1928 da esploratori italiani che l'anno successivo lo chiamarono Giulietti dal nome di uno di loro, che fu trovato morto sulle sue rive. Gli Afar o Dancali che dir si voglia sono sempre stati poco amichevoli con gli stranieri che arrivavano non attesi nel loro territorio. Adesso invece ci puoi fare il bagno tranquillamente anche se non sai nuotare, intanto perché la profondità vicino alla riva è minima e poi perché il sale ti tiene su come un turacciolo. Lalo ed Abi si tuffano tra grandi spruzzi. L'unico problemino è che quando l'acqua ti si asciuga sulla pelle, in pochi attimi, dato il calore infernale, ti rimane sulla pelle una crosta salina che ti fa rimpiangere i pochi minuti di refrigerio avuti prima, una sorta di contrappasso malefico, sempre in agguato da queste parti evidentemente. Ripercorriamo allora la strada fatta, con una sosta a mezza strada, dove il solito Shaka si esibisce nella sua ultima pasta al sugo, così piccante da trapanare la lingua e l'esofago in sequenza. Tuttavia bisogna dargli comunque una buona mancia, solo per sentire la sua sghignazzata contagiosa che ci ha accompagnato per quattro giorni.
Deserto della Dancalia |
La strada di ritorno verso Macallé attraversa un deserto sabbioso severo e monotono con dune bionde e lontane alternate a superfici senza fine di lava nera e accidentata, popolate da dromedari isolati ed immobili, sagome apparentemente senza vita in attesa di qualcuno che li accenda. Di tanto in tanto incrociamo dei camion stracarichi, marchiati Coca Cola, che si dirigono verso sud per calmare una nuova, inestinguibile sete. A poco a poco si recuperano i duemlila metri dell'altopiano. Il triangolo degli Afar, il deserto della Dancalia, il luogo più ostile della terra, con la sua temperatura estrema, è ormai alle nostre spalle. Ora non rimane che prepararci all'ultima esperienza di questo lungo viaggio. L'incontro coi monumenti più noti di questo paese e l'aura di misticismo che li avvolge, approfittando dell'arrivarvi proprio durante il periodo della Pasqua ortodossa etiope, momento speciale per assistere a qualcuna delle sue cerimonie. Ritorniamo quindi alla nostra base, l'albergo Milano di Macallé per restituire i materassi e per trovare un po'di riposo dopo questa esperienza bellissma ma piuttosto dura. Ritroviamo le cameriere svagate ed interessate soprattutto a seguire la telenovela turca sullo schermo sgranato di un vecchio televisore. Intanto, con lo stomaco un po' chiuso, si riesce solo a buttar giù una frittata e una coca ghiacciata prima distendesi finalmente in un letto decente. Dopo un'oretta cominciano a trapanare un muro. Già il piano superiore al nostro è ancora completamente in costruzione.
Lago Afrera |
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La pasta di Shaka Zulu |
Afar |
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