mercoledì 27 dicembre 2023

Corea 29 - Il vulcano Ilchukbong e le donne Haenyeo

Donne Haenyeo - Jeju - Corea del sud - ottobre 2023

 

Seonsang

Gli ospiti dell'albergo sono pochini, si vede subito nel grande salone delle colazioni, dove i tavoli occupati si contano. Evidentemente siamo ormai fuori stagione, questo intantonon è un mese da matrimoni, anche se i neo sposini si rivolgono soprattutto ai grandi resort a sud dell'isola, ma certamente è finito anche il periodo balneare che fa confluire qui un bel numero di bagnanti, anche se bisogna considerare che questa è una abitudine di recente acquisizione. Sta di fatto che anche le addette a rifornire i vassoi del buffet misto, coreano-western, sembrano piuttosto svogliate nel rabboccare i piatti. La fa da padrone il succo di mandarino, che, soprattutto in questa stagione è il vero re dell'isola, sembra che sia in effetti la sua produzione più nota in tutto il paese e dappertutto come noteremo nei prossimi giorni, verrà richiamato, nelle pubblicità ma anche soprattutto nei gadget a disposizione dei turisti. Così saremo spesso circondati da gruppi che calzano cappellini a forma di mandarino, magliette e addirittura vestiti a tema arancione. Avremo di certo modo di assaggiarne a volontà e poter giudicare alfine se questo è veramente speciale e diverso dai suoi succedanei nel resto del mondo come dicono. 

Il vulcano

Intanto bisogna fare un piano di battaglia, considerata la lista di cose da vedere, la mappa dell'isola per identificarne la disposizione geografica ed infine quale siano i bus da prendere per fare l'itinerario più sensato e non perdere troppo tempo. E' sempre questo il cruccio del turista, non perdere troppo tempo per non lasciare indietro troppe delle cose da vedere obbligatoriamente. E' sempre quel maledetto biglietto di ritorno che nella tasca pesa più di un macigno e ti fa godere le cose meno di quello che meriterebbero. Comunque appare sibito evidente che i bus che portano in tutte le direzioni fuori della città di Jeju, che è anche la capitale della omonima isola e che comunque ha circa mezzo milione di abitanti, la metà circa della popolazione, partono dall'aeroporto. Decidiamo di dividere l'isola in tre parti, i due estremi e quella centromeridionale per ognuno dei giorni che abbiamo a disposizione. Oggi ci tocca la punta orientale. Per guadagnare tempo andiamo in taxi fino all'aeroporto e di qui serve una bella oretta per arrivare al porto di Seonsang all'estremità dell'isola, dove ci aspetta una delle attrazioni più importanti per cui Jeju è famosa, il parco del Cratere. Già perché questa è un'isola totalmente vulcanica, siamo infatti nel pieno della cintura di fuoco del Pacifico.

La prova provata

Jeju è emersa dal mare nella forma attuale, dopo l'esplosione di una gigantesca camera magmatica sottomarina solamente 700.000 anni fa, che ha continuato ad eruttare lava fino ad avere la forma attuale con la catena centrale del monte Halla di quasi 2000 metri, che rimane comunque il monte più alto del paese, fino a 25.000 anni fa, poi l'erosione delle forti precipitazione e l'azione implacabile dell'oceano sulle coste le hanno modellate in forme frastagliate e fantasiose. Questa terra di lava e basalto è così uno dei cosiddetti vulcani a scudo tra i più grandi del mondo e la sua superficie, è rimasta, come dire, butterata da oltre 400 crateri disposti attorno al rilievo centrale, le cui pendici sono oggi ricoperte da una imponente foresta di abete coreano, specie endemica di questa terra. Rimane quindi comunque un'isola tropicale dai panorami scabri e violenti, dalla roccia nera e tagliente, ma ricoperta da  una vegetazione rigogliosa e ricchissima, data la fertilità dei suoli, con una biodiversità enorme e un numero di forme autoctone elevato, data la sua relativa lontanamza dalla terraferma. Gli inverni rigidissimi, ho visto foto di questi giorni che la ritraggono completamente ricoperta di neve, conferendole un ulteriore aspetto straordinario, aumentano, se ancora è possibile la variabilità dei climi e degli habitat.

Panorama

Insomma un po' un unicum che presenta davvero tanti aspetti naturali interessanti. Così dopo aver percorso un bel tratto della costa a nord, eccoci nella cittadina orientale di Seonsang, dominata dall'imponente sagoma del cratere di Ilchulbong che si eleva di 200 metri sul mare come un'isoletta dai fianchi scoscesi legata alla terraferma da un istmo sottile. I fianchi della montagna sono ripidissimi e culminano in una cresta che borda l'area della caldera con una frastagliata seghettatura che ne protegge quasi l'accesso e sono verdissimi, ricoperti come risultano, da una vegetazione tropicale che durante tutta l'estate gode di robuste precipitazioni e temperature elevate e riesce così a nascondere la forte erosione che ha modellato i ripidi fianchi della montagna. Il panorama è bellissimo, ma adesso, bando alle chiacchiere, sei arrivato fin qui e ora bisogna salire fino in cima, in pratica è un obbligo morale e poi sono state predisposte una serie infinita di comode scalinate in legno che segnano la via per l'accesso alla vetta e la fiumana dei visitatori vi ci si dirige con orientale caparbietà e determinazione. Vuoi fare la barbina figura di rinunciare perché la fatica è troppa per le tue stanche gambe da vecchietto?

L'interno del  cratere

Accidenti, dal più al meno saranno circa 2000 gradini a salire e ça va sens dire, altrettanti a scendere che per le ginocchia è ancora peggio e non ci si può tirare indietro, visto che intorno a te si incamminano tutti verso l'alto, se pure a velocità diverse, ruderi di ogni gente e assieme ai baldi giovani attrezzati di tutto punto con scarpe da trekking e magliette teniche, ci sono anche anziani traballanti che lemme lemme, aggrappati al mancorrente, come ad un'ancora di salvataggio, seguono la loro personale via penitenziale che prima o poi li farà arrivare al traguardo. Insomma questa è una costante del paese, quasi tutte le attrazioni turistiche, naturali o storiche che siano, sono corredate da un numero imprecisato ma comunque enorme di gradini da salire e successivamene da ridiscendere, una penitenza obbligatoria che ti dice, se vuoi godere, devi soffrire e bere fino in fondo l'amario calice, se no, sei venuto fin qui e non hai visto niente. E allora vai. Le indicazioni puntuali recitano 40 minuti alla vetta, calcolati per visitatori non propriamente atletici e 40 minuti o poco più siano, che non si dica che siamo da meno. Ma è dura, accidenti se è dura. Ad ogni rampa, guardi al di là e te ne ritrovi un'altra che man mano che ti avvicini alla cima diventa sempre più ripida e faticosa, i gradini più alti e la montata più stretta. 

Verso la cima

A poco valgono i tempietti e le edicole poste sui punti più panoramici dai quali domini la valle, certo hai la scusa della foto per fermarti almeno un attimo e respirate profondo, inalare l'ossigeno che ti consenta di proseguire ancora e ancora. Se sei un arido, non te lo godi nemmeno il panorama e prosegui solo per forza di volontà lasciandoti dietro solo una sequela di mantra e di giaculatorie su chi e cosa te lo ha fatto fare, ma poi alla lunga insisti e insisti ancora e quando poi, superata un'ultima e faticosissima serie di gradini arrivi a scavallare l'ultima inaspettata barriera e ti ritrovi magicamente sospeso sul crinale ripidissimo dalle pareti quasi verticali, che circondano l'ovale perfetto del cono di tufo che appare da fuori quasi come le alte mura di un castello medioevale e dalla cima una innaturale valle circondata da un insormontabile vallo che racchiude lo smeraldo centrale, gemma inaccessibile incastonata sul fondo del cratere, non puoi che dichiararti esausto ma soddisfatto. Il nome significa appunto il Picco del sole nascente e credo che vedere da quassù l'alba che rischiara a poco a poco il cielo e colora di rosa le pendici per superarle alfine e rischiarare il buio della parte centrale fino a farne risplendere il verde acceso sia uno spettacolo assolutamente unico. 

La baia sottostante

Il luogo stesso non ha imitatori da altre parti essendo sorto dalle acque con una eruzione idrovulcanica di cosiddetto tipo Surtseyano, dal nome dell'isola islandese conosciuta per questo tipo di generazioni dal mare che prende origine da una esplosione di lava e acqua marina ribollente e ridotta in vapore, che produce in pochissimo tempo una elevazione notevole, ricoperta subito da ceneri e altri prodotti vulcanici che ne determinano l'elevazione. Terminata la fase di climax con la quale si forma la ripida forma dell'isola. subito comincia l'opera distruttiva del mare che la circonda, che col tempo ne eroderà via via le pareti. E qui il fattaccio è avvenuto solamente 5000 anni fa circa e quindi possiamo apprezzarne ancora tutta la potenza vitale fuoriuscita dalle viscere della terra attraverso la superficie del mare. Uno spettacolo che ti fa pensare al classico, mi son fatto un mazzo tanto, ma ne valeva la pena accidenti! Anche perchè pare che di vulcani di questo tipo in questo stato di conservazione, non se ne conoscano altri. Vale la pena di rimanere qui seduti in po' a godersi lo spettacolo delle ombre che mutano continuamente man mano che il sole sale e disegna i fianchi interni della caldera, incentivando le tonalità dei verdi in mille sfimature diverse. 

L'erosione sulla spiaggia di cenere lavica e tufo

Quasi quasi mi mangio un mandarino di Jeju, di cui saggiamante la mia gentile compagna di fatiche, ha fatto scorta prima di salire anche se costano un botto, ma capirà, la qualità si paga e assaporare il profumato succo di questo agrume unico nel suo genere, davanti all'esplosione dello spettacolo naturale, come si dice non ha prezzo e l'unione delle due sensazioni, sono certo contribuirà a cementare nella mia ormai flebile memoria, questo momento. Quando decidiamo di scendere sembra troppo presto ed invece è già passata un'ora e la scalinata prosegue in torno lungo la scogliera alla base del cono. Siamo ormai nella zona d'ombra dello stesso e la baia che si è formata alle pendici della montagna è battuta dalla furia delle onde in lotta perenne per erodere, scavare, rompere, finalmente abbattere quell'orgoglioso insulto al loro dominio. E qui sotto, un gruppo di casupole mostrano la straordinaria capacità opportunistica della nostra specie, quella capacità di adattamento che l'ha portata a conquistare nel bene e nel male, ogni tipo di ambiente naturale per quanto ostile si presentasse, piegandolo ad una situazione che ne permettesse l'attecchimento e la sopravvivenza. 

Donne Haenyeo

Queste abitazioni di pescatori, oggi naturalmente piegate alle esigenze di un turismo che ne compensa molto più proficuamente l'esistenza, raccontano una delle situazioni tradizionali proprie di questa parte dell'isola. Qui vive una etnia di abitanti del mare, le cui donne, le famose Haenyeo, pescano a mani nude nelle profondità delle baie lungo la scogliera, molluschi di vario tipo, da certi enormi conchiglioni puntuti e multicolori ai più noti abaloni, i grandi bivalvi carnosissimi dalla conchiglia madreperlacea verde iridescente e con una curva di buchi e poi dopo un attento lavoro di pulitura, vendono sulla spiaggia da mangiare al volo crudi o sottoforma della famosa zuppa di abaloni, notissima e pluricitata in tutti i k-drama che si rispettino. Ce ne sono diverse qui attorno e la cosa che ti colpisce immediatamente è che l'età media è molto alta e a meno che non sia davvero l'usura di un lavoro duro e difficile oltre che, credo molto pericoloso, sembrano tutte avere almeno più di sessanta anni, se non settanta. Sulla riva rocciosa camminano a fatica, con le gambe arcuate che fanno impressione, avvolte in mute nere e arancio spesse, datatissime, le teste racchiuse da calottine nere che le renderanno riconoscibilissime quando si immergono nell'acqua tra le onde e le rocce. 

Alla pesca

Calzano maschere di colore rosa, altrettanto spesse e senza boccagli che non servono, in quanto dopo qualche bracciata insufflano il massimo di aria possibile e si tuffano giù. Un attimo in cui i piedi, che indossano corte pinne palmate, sgambettano fuori dall'acqua per spingersi verso il fondo e poi spariscono anche per cinque minuti consecutivi, quando poi emergono di colpo, con le prede staccate dalla roccia del fondo a fatica, racchiuse nelle retine che si stringono alla vita, emettendo un suono, un grido, una specie di hoooi, prendendo aria per un paio di minuti prima di rituffarsi di nuovo. Una vita incredibile per queste donne, che tuttavia alla pari delle loro omologhe giapponesi dette Ama, le pescatrici di perle e di ostriche, proprio perché sono sempre state l'effettivo sostentamento delle famiglie, hanno una loro totale autonomia economica e di posizione nella società che in queste zone ha assunto una struttura familiare semimatriarcale dalla quale gli uomini sono abbastanza esclusi, creando una specie di casta completamente autosufficiente. Si dice che molte superino gli ottanta anni facendo questo lavoro e la tradizione pare risalga a quasi duemila anni fa. 

Una "donna che si immerge"

Le quattro che si stanno immergendo intorno alle baracche ristorante dove mi sono posizionato, in precario equilibrio sugli scogli scivolosi, vanno avanti per più di una mezz'oretta prima di tornare a riva con quanto hanno pescato, un paio di secchielli di plastica pieni, dai quali i molluschi vengono subito prelevati, puliti e serviti ai famelici turisti che altro non aspettavano, disposti attorno a panche piazzate alla bella meglio attorno a tavoli di fortuna. Dietro, nella baracca, dai fornelli, si leva il fumo della famosa zuppa. Il profumo è accattivante, ma il malinteso timore della giungla parassitaria che accompagna la leggenda del pescato crudo, mi impedisce di seguire l'istinto del cuore che mi avrebbe fatto volentieri far prendere posto accanto alle vecchie, tra l'altro apparentemente molto simpatiche e ridanciane, che uscite dall'acqua nelle loro tute grondanti, familiarizzano coi turisti come delle gentili nonnette che aspettano di essere riportate all'RSA. Una cosa assolutamente incredibile, direi miracolosa se non la avessi vista con i miei occhi. E non ditemi che è una turistata, perché uscendo di città, lungo la costa rocciosa, se ne vedono assai di questi gruppi di calottine, arancioni come i mandarini dell'isola, che galleggiano tra i flutti, alla faccia di tutto e di tutti.

Yoon
Yoon ride, mentre si leva le corte pinne e posa la maschera rosa che si è tolta dopo essersi scrollata di dosso l'acqua che sembrava non voler scivolare via dalla muta. E' piccolissima vista da vicino e un po' ingobbita forse arriva a malapena ad un metro e 40 e ha quasi 74 anni, almeno così dice, con una punta di civetteria. Fa questo lavoro da quando era una ragazza e la pelle del viso è come incartapecorita, piena di rughe come se di anni ne avesse mille, come se fosse uno di quei personaggi delle serie che qui adesso vanno tanto di moda. Dice che questo lavoro le ha sempre permesso di vivere bene e senza dover dipendere da nessuno e adesso che ci sono sempre più turisti, ancora meglio. Suo marito è morto tanti anni fa e non ha avuto figli, una vena di tristezza le attraversa lo sguardo, ma subito ride guardandosi attorno mentre comincia a pulire le grosse conchiglie colorate che lei e le sue colleghe hanno raccolto. Esegue il lavoro con cura e con l'esperienza dei tanti decenni. Dopo un po' un grosso piatto davanti a lei è quasi pieno. Yoon prende un grosso abalone che ha liberato della conchiglia e lo taglia con un affilato coltello dalla lama corta e larga. Me ne offre una fettina, assicurandomi che è buonissimo. Lo rifiuto anche se mi dispiace deluderla. Lei si stringe le spalle, forse capisce le mie perplessità, d'altra parte i clienti non mancano, così si gira e lo offre ad un gruppo di ragazze che stanno dietro. Ride ancora scrollando la grossa testa, strizzando gli occhi forse ancora umidi per la salsedine. Ai giapponesi no, con quelli non ride mai, almeno non ci riesce. Dopo tanti anni, tante immersioni, tante conchiglie strappate alla roccia mentre sembrano scivolare tra le mani, gli occhi non le bruciano
, dopotutto sono ormai tanti anni che non piange più.


Il pescato

 

SURVIVAL KIT

Il cratere

Parco di Seonsan Ilchukbong - All'estremità est dell'isola, si raggiunge dall'aeroporto con il bus 211 in circa un'ora, che vi lascia al porto. Di qui il sentiero comincia subito dietro le prime case e porta alla scalinata di accesso. Il cratere alto 182 metri, necessita di almeno 40 minuti, un'ora per la salita e apre un'ora prima dell'alba proprio per consentire l'accesso nel momento topico della giornata. Ingresso 5000 W. Ristori solo all'ingresso. Luogo Unesco assolutamente imperdibile. Tra salita, discesa e tempo per ammirare l'area dall'alto, calcolate almeno tre orette. Intorno al cratere di circa 600 metri di diametro, profondo un centinaio, che sorge su una specie di isoletta attaccata alla costa, parte anche il Coastal trail che dicono molto bello e che percorre un tratto di costa rocciosa spettacolare e battuta dalle onde. Possibilità anche di fare giri in barca attorno al cratere per vederlo dal mare (20.000 W)

Pesca finita

Le donne Haenyeo (le donne che si immergono) 해녀 - In particolare vicino al cratere e attorno alla cittadina di Seogsan, ci sono ancora molte comunità di queste donne pescatrici spesso anziane (l'età media è oltre i 60 anni) che munite di tuta si immergono tra le onde delle scogliere in cerca di molluschi che poi vendono al mercato o in improvvisati banchetti direttamente sul posto. Famosa è la loro zuppa di abaloni. Sembra che questa attività tradizionale non stia affatto scomparendo. Vicinissimo al cratere, nella scogliera antistante è possibile vederne alcune che si immergono tutti i giorni generalmente verso le 14 e se ve la sentite, mangiare nel ristorantino improvvisato. Questa pesca tradizionale è registrata con certezza dal 1600 ma è certamente molto più antica; in città c'è anche un piccolo museo che ne racconta la storia. 


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