Il gruppo di El Chaltèn - Patagonia Argentina - novembre 2024 |
Oggi sarà una bella sgroppata per raggiungere El Chaltén e fare un bel giro nel parco, sono infatti 450 km andata e ritorno più il giro nel parco di minimo un altro centinaio. Infatti facciamo appena in tempo a sciropparci l'abbondante colazione dell'ostello, ormai sto diventando addicted della magnifica confettura di calafate che forniscono, che alle 7 in punto Maria ci viene a prendere come d'accordo. Di cognome fa Russo, tradendo le sue origini siciliane, i suoi nonni sono arrivati qui prima della guerra e ricordando la nonna quasi si commuove. La giornata oggi è splendida e non ci sono scuse, avremo finalmente l'opportunità, cosa rara, di vedere le famose montagne in tutto il loro splendore. Dopo aver percorso il lato meridionale est del lago Argentino, che con questa luce radente, appare come uno specchio turchese, raggiungiamo la Ruta 40, una strada iconica come lo è per altri versi la 66 negli Stati Uniti. E' infatti è la direttrice fondamentale per traversare la Patagonia e raggiungere quella benedetta Fin del mundo, che è una delle attrattive fondamentali del viaggio. Certo che il paesaggio del deserto patagonico, potrebbe sembrare dalle descrizioni, quantomeno noioso, visto che la sua immensità senza confini, lo definisce proprio come un mare punteggiato di cespugli di erba dura e spinosa, avaro di tutto, verso ogni specie vivente che cerca senza successo di popolarlo.
Così le famiglie di guanachi che si aggirano sulle leggere ondulazioni del terreno sembrano muoversi qua e là come ubriache, masticando qualche filo d'erba con la rassegnazione di un obeso a dieta (similitudine rubata a Chatwin che mi piaceva troppo). Ogni sera prima di dormire, tanto andiamo sempre a letto prestissimo, rileggo qualche pagina di In Patagonia, che a mio parere dovrebbe essere un compagno di viaggio indispensabile in questo mondo; descritte da lui, il deserto, i pascoli, i boschi di questa terra sperduta diventano poi il giorno dopo, più riconoscibili e affascinanti. Quando ribadisce: La Patagonia è un'amante difficile, lancia il suo incantesimo da vera ammaliatrice, per stringerti tra le sue braccia e non lasciarti più, e mentre percorriamo questa landa desolata, con solo qualche vacca e qualche cavallo lontano, capisci quanto abbia ragione. Ancora guanachi lanosi e leggeri e due choiquè che corrono lontani, sullo sfondo la cordillera con le cime imbiancate che a poco a poco si avvicinano, assieme al confine cileno. Più o meno a metà strada si arriva al Parador la Leona, un punto di sosta storico della Ruta 40, costruito qui fin dal 1894 e che rappresenta un momento obbligatorio per chi percorra questa strada. Deve il suo nome al fatto che il famoso Perito Moreno fu proprio qui, morso da un puma. durante la sua esplorazione della zona e miracolosamente se la cavò.
Anche qui all'interno, mentre ti chupi un mate per riscaldarti, sulle seggiole di legno molto country, hai il tempo per gustare le storiche fotografie appese alle pareti che raccontano la vita del secolo scorso da queste parti, davvero una delle frontiere ultime di quel mondo. Nella parte posteriore un piccolo museo di memorabilia d'epoca, tra cui spiccano molte bolas, con le palle trattenute da pelli di animali conciati. Questo attrezzo, particolarmente attraente e unico di questa parte di mondo per concezione, rappresenta ormai un oggetto molto ambito tanto che ne è vietata l'esportazione, almeno per quelle di epoca. La costruzione si allarga sul meandro del fiume dallo stesso nome che scende dalle montagne e anche noi non riusciamo a resistere alle tentazione di fare una foto davanti alla storica palina che segna il nome della strada. Debitamente ristorati, riprendiamo il cammino. La giornata continua ad essere splendida e le creste delle montagne si indovinano ormai in fondo al panorama. Percorriamo quindi il lato settentrionale del lago Viedma ed ecco opportunamente posizionato, un bel mirador dal quale il panorama si dispiega in tutta la sua bellezza. Dietro al terreno appena ondulato, il lago si allunga in una striscia di una azzurro intenso, mentre ancora più in là, anche se l'aria tersa del mattino te la fa apparire vicina, trionfa la linea delle guglie della cordillera.
Tra queste ormai spicca immediatamente il Fritz Roy con le aguzze schegge di contorno, a sinistra un poco distaccato, la freccia impossibile rivolta verso il cielo del Cerro Torre. Queste montagne, secondo alcuni, tra le più difficili da scalare al mondo, hanno rappresentato nella seconda parte del '900, una sfida impossibile, a cui sono stati sensibili soprattutto gli alpinisti italiani. Eppure non si tratta di montagne molto alte, 3400 il primo detto anche Cerro Chaltèn e poco più di 3100 il secondo, ma si tratta di due monoliti di granito con pareti lisce di oltre 900 metri con gli spigoli vivi e verticali, inoltre dopo questa difficoltà inumana, c'è un'ultima beffa mortale, le ultime decine di metri del Cerro Torre infatti, sono perennemente incappucciate da un cappello di ghiaccio che la temperatura rende una ulteriore parete verticale di vetro. Ma non è finita qui, infatti un ulteriore ostacolo è causato dalle condizioni del tempo sempre barbare ed estreme, con temperature polari verso la vetta e venti da uragano costante. Davvero è quella che viene definita una sfida impossibile e se il Fritz Roy fu scalato per la prima volta nel 1952 da Magnone e Terray, col la morte del grande alpinista francese Poincenot, per il Torre, i primi due tentativi del 1958 di Detassis e Cesare Maestri da un lato e di Bonatti e Mauri dall'altra fallirono entrambi proprio per le condizioni avverse del tempo.
L'anno successivo Maestri ed Egger ritentarono l'assalto alla vetta e questa avventura divenne uno dei casi più controversi della storia dell'alpinismo. Infatti dopo una settimana, Maestri fu ritrovato alla base della montagna in stato confusionale, mentre Egger scomparve per sempre con le macchine fotografiche che avrebbero, a suo dire, documentato il successo della scalata, ma le spedizioni successive che tentarono la stessa via non trovarono mai tracce che confermassero il suo racconto. Maestri ritentò nel 1979 per un'altra via, con l'ausilio tecnico di 360 chiodi a pressione, ma arrivato al fungo di ghiaccio sommitale a 30 metri dalla vetta, rinunciò perché a suo parere questo non faceva più parte della montagna e nella discesa tento di togliere la maggior parte dei chiodi utilizzati. Così la prima salita che venne ufficialmente accettata, avvenne nel 1974 da parte dei Ragni di Lecco, con quattro alpinisti che raggiunsero effettivamente la vetta. La scalata lungo quella che venne poi chiamata la via del compressore di Maestri, fu effettuata in solitaria nell'85 da Pedrini, ma la montagna rimane tuttavia una delle sfide più impegnative per il mondo dell'alpinismo. Successivamente tutti i chiodi della via di Maestri son stati rimossi. A parte comunque la storia alpinistica di queste montagne ed i pettegolezzi di cui si è ammantata, rimane la straordinaria bellezza di questi monoliti di granito che elevano tra le montagne le loro pareti verticali e prive di ogni appiglio.
Una sfida di pietra che attira appassionati da tutto il mondo, dove pochi anzi, pochissimi poi la accettano veramente, mentre i più rimangono col naso all'in su a bearsi di tanta bellezza. Intanto, a fianco della strada, una figura a cavallo avanza verso di noi, un residuo di altri tempi o forse no, perché qui davvero il tempo sembra essersi fermato definitivamente. E' un gaucho che arriva forse dalla vicina estancia Punta del lago, almeno così recita il segnale arrugginito che indica una carrareccia polverosa che si perde nel nulla. E' un ragazzo giovane, con un grande cappello sformato che lo ripara dal sole, un fazzolettone al collo, larghi copripantaloni di pelliccia lanosa per proteggersi dal freddo, e uno strano strumento con una grande lama ed il manico di legno appeso al braccio. Ci fa un cenno di saluto e poi si avvia sulla pista fino a scomparire dietro un avvallamento; dietro di lui solo le cime innevate lontane che nascondono il Cile. Dopo questo incontro, facciamo gli ultimi chilometri per arrivare al piccolo abitato di El Chaltèn al limitare del parco, percorrendo quel che resta della strada lungo il lago, mentre in fondo, piccola per la distanza si intravede la lingua del ghiacciaio Viedma che si butta ne lago con un fronte e che invece è piuttosto imponente.
Sorto negli anni '80, El Chaltèn è un paesino di un migliaio di abitanti, spuntato dal nulla con la crescita esponenziale del turismo alpinistico e soprattutto escursionistico, di chi viene fin qui per camminare tra le montagne; ci sono infatti bellissimi percorsi anche di una settimana e di varia difficoltà ed è costituito soprattutto da esercizi di servizio, bar e ristorantini, locande e ostelli per saccopelisti, oltre che a negozi di materiale alpinistico. Ci avviciniamo all'ingresso del parco. L'ultimo mirador è proprio una balconata davanti alle cime, sembra quasi di toccarle con le mani. Il Fritz Roy giganteggia di fronte, una scheggia di granito con la spettacolare parete verticale rivolta verso di noi, le guglie aguzze attorno a fargli da corona; il Cerro Torre, un dente scheggiato di cui noti subito il famoso cappello di ghiaccio che ne corona la vetta. Mentre guardiamo attoniti senza riuscire a rifiatare, poche volte si dice che il cielo sia così limpido e terso, sembrerebbe proprio il giorno giusto per tentare la scalata, ehehehe, ecco che arrivano due bikers, su due mastodontiche BMW, bandana attorno alla testa uno, chioma al vento l'altro, bardature alla easy riders da lunghe percorrenze, anche loro di proporzioni adeguate. Sono motard di un circolo brasiliano che fanno un gran tour patagonico e che sono ormai sulla strada del ritorno, dopo 40 giorni di viaggio. Che magnifiche avventure, queste scorribande senza date di rientro. Sono cose che mi sarebbe sempre piaciuto fare, magari nella prossima vita, vedremo. Intanto contentiamoci di quello che possiamo avere adesso e procediamo verso l'ingresso del parco.
SURVIVAL KIT
Parador La Leona - Locale storico a metà strada tra El Calafate e El Chaltèn, scelto di norma per la pausa di rito durante il trasferimeneto kungo la ruta 40. Potrete mangiare, fare solo uno spuntino o anche dormire e sfruttare i servizi turistici che offre. Piccolo museo nel retro e punto di incontro per tutti coloro che percorrono questa via verso il sud.
Parque de los Glaciares 2 - Questo è il secondo principale lato di ingresso al parco, quello da El Chaltén. Siamo a circa 230 chilometri da El Calafate e consente di visitare tutto il massiccio del Fritz Roy o Cerro Chaltèn, con i suoi ghiacciai che formano il lago Viedma, dalle dimensioni approssimative del lago Argentino. Qui i ghiacciai sono meno spettacolari, ma pur sempre molte belli. Possibilità alpinistiche e naturalmente vasta scelta di trekking nel massiccio, attraverso il quale corre il confine col Cile, al di là del quale il parco continua nell'adiacente parco Bernardo O'Higgins. Si può fare anche qui la traversata con circa 70 km. Non è chiaro se pagando l'ingresso al Perito Moreno, abbiate diritto a entrare anche qui il giorno dopo, essendo lo stesso parco, fatto sta che noi non abbiamo pagato nulla. La visita minima dura l'intera giornata e oltre al circuito del massiccio, potrete vedere la bella cascata del Chorrillo del Salto a cui si arriva dopo un breve percorso a piedi (30 min. in piano) attraverso una magnifica Mata Patagonica nella quale potrete vedere tre alberi tipici che la popolano e il breve trekking di circa un'ora per arrivare al Mirador de los Condores e das Aguilas, con breve salita alla portata di tutti con bella vista sulla valle, visto che l'ho fatta anch'io. Per chi volesse cimentarsi in trekking di un giorno, ci sono i classici del Cerro Torre (8/9 ore) e quello del Fritz Roy (6/7 ore) con i quali si arriva ai piedi delle montagne attraverso splendidi laghetti turchesi (Kaguna Torres, Laguna de los Tres) e magnifici mirador d'altura. Attenzione alle condizioni climatiche, vento sempre molto forte e pioggia improvvisa, che sono ilpunto critico di questa zona. Per arrivare si può affittare un'auto per un giorno, tra benzina e noleggio calcolate da 70 a 100 USD, oppure un taxi che vi costerà attorno ai 230/270.000 pesos per tutto il giorno, circa 12 ore. Questo numero è molto affidabile (abbiamo fatto sia il giro al Perito Moreno che quello a El Chaltèn, oltre all'aeroporto e il parco lungo il lago) +54.9.2966631990 - Josè o Maria o Eugenia con whatsapp. Trattate il prezzo. Ci sono anche escursioni di gruppo guidate da El Calafate ma sempre carissime.
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