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domenica 2 giugno 2024

India 29 - Verso il passo

Ragazze del Kerala - Manali - Himachal Pradesh - India - Marzo 2024 (foto T. Sofi)


Vista la pioggia che ormai ha assunto un'andamento continuo e poco incline a smettere, mi sa che è arrivata l'ora di ritirarsi definitivamente, magari cedendo alle lusinghe del ristorante dell'albergo, di cui si dice bene, quantomeno nei commenti. Ma lungo la stradina che risale la collina c'è un'altra sirena che lancia occhieggiamenti irresistibili, infatti pare che proprio dietro il nostro rifugio, ci sia uno dei più frequentati templi della città, anzi forse uno dei più santi in assoluto seppure dedicato ad una divinità minore. Si tratta del tempio di Hadimba, una antica costruzione nascosta nella foresta il cui nucleo primario risale al XV secolo. Tra gli alberi che la proteggono, la piccola costruzione si eleva in maniera piramidale, con tre piani sovrapposti sopra una grotta dove si dice meditasse la dea Hidinba Devi, moglie di Bhima uno dei cinque fratelli protagonisti dell'epopea mitologica del Mahabarata, forse il poema epico più lungo del mondo. Attorno al tempio si dice si avvertano vibrazioni spirituali molto potenti. Per la verità più che di vibrazioni questa sera si avverte un casino del diavolo, visto che il tempio è affollatissimo di gente addobbata di tutto punto in vesti tradizionali rosso vivo, le donne in particolare che portano copricapi complessi ornati da pesanti collane e pendenti di metallo. 

La presenza di occidentali viene subito notata ed il coinvolgimento in una serie infinita di selfie diventa anche occasione per poter fotografare con calma i visi e le figure più interessanti, anche se la luce non aiuta. Sono un gruppo che arriva dal lontano Kerala e tutti sono eccitatissimi più che per la santità del posto, perché non hanno mai visto la neve in vita loro e non stanno più nella pelle di provare ogni lato classico di questa esperienza per loro decisamente mistica. Suoni, canti e balli, ma domani su a correre in mezzo alla neve e a prendersi a pallate. Come non capirli. Le ragazze ridono di gusto occhieggiando qua e là, forse dopo questa gita sociale nasceranno contatti e proposte, chissà, i bambini, anche loro bardati di tutto punto, corrono a perdifiato, pochi accedono al tempio per più di un breve momento di raccoglimento davanti alla pietra nera che raffigura la presenza della dea. E poi un'altra motivazione che di certo ha condotto fin qui il gruppone, sta nel fatto che la location è diventata popolarissima in tutto il paese dopo che è stata scelta per girare un filmone di Bollywood che ha ottenuto un successo clamoroso e per l'India questo significa staccare centinaia di milioni di biglietti, non so se mi spiego. 

Alla fine tutti vogliono essere fotografati, chi in pose marziali come richiederebbe il posto, chi da bella famigliola e alla fine il gruppo vacanza Kerala al completo in tutto il suo splendore si dispone tra gli alberi per la foto finale di rito. In fondo sono turisti anche loro, perché dovrebbero negarsi i classici piaceri per cui hanno pagato? Intanto, poco a fianco, c'è un altro punto di devozione, il Ghatokacha temple, ad un centinaio di metri dal tempio principale e dedicato appunto al figlio della dea Hidimba, la cui origine sembra risalire addirittura al VII secolo. In realtà si tratta solamente di un altare piattaforma eretto attorno ad un gigantesco albero di shami (Prosopis cineraria). Sull'albero sono deposte decine di corna di grandi montoni sacrificati durante le cerimonie. Il mito che riguarda questo guerriero è particolarmente complessa e vi basti sapere che ebbe parte fondamentale nella vittoria dei Pandava (i buoni) sui Kaurava. Insomma arrivando fino a Dune, in tutte le culture c'è un conflitto permanente ed insanabile tra Atreides e Arkonnen, basta cambiare i nomi e i topos si ripetono all'infinito. Per chi volesse saperne di più si rimanda alla lettura del Mahabaratha e dei suoi circa 95.000 versi dei 18 libri principali, in cui troverete facilmente tutto il compendio della mitologia induista. 

il Ghatokacha temple

Intanto gli amici del sud sciamano festosi facendo tintinnare cavigliere e bracciali, le donne e scrollando leggermente il capo e ondeggiando i baffi, gli uomini. Scendono a valle prendendosi l'acqua, che in India non è mai una maledizione, anzi, sembra sempre occasione di festa. Per noi invece, un triste buffet in cui di mangiabile intravedo solamente dei noodles non troppo ricoperti di peperoncino. La notte è calma ed i chiarori dell'alba raccontano di una bella nevicata mista ad acqua che comunque è già riuscita a ricoprire il gardino di un leggero strato molle e fangoso, che non accenna a placarsi. Guardiamo tristemente fuori dai grandi finestroni le falde larghe che scendono mentre il cielo è completamente coperto, la nebbia bassa e le imponenti montagne che dovrebbero fare da quinta, potrebbero non essere mai esistite, se non nella nostra fantasia. Alla fine bisogna deciderci. Il nostro prode Gurgeet, si aggiusta il turbante rosa e decide che quantomeno bisogna fare un tentativo se no cosa siamo arrivati fin qui a fare: Così partiamo verso il passo mentre continua a nevicare. Il fatto che sia mista è comunque un bene perché in questo caso sembra non si accumuli più di tanto sulla strada che sale subito dopo Manali in ripidi tornanti. 

Il fatto è che lo sviluppo turistico della valle è stato imponente e ormai il percorso è sovraccarico di mezzi e di tiuristi che intendono sfruttare in ogni modo e senza alcuna rinuncia, questa che è una, forse l'unica occasione che abbiano avuto per avvicinarsi agli sport invernali, ovviamente sconosciuti al subcontinente fino a pochi anni fa. Così la strada è letteralmente intasata di veicoli che tentano di salire verso il tunnel di Atal che da pochi anni è stato costruito per risolvere il problema della chiusura del passo di Rahtang che per molti mesi all'anno isolava il Ladakh e questa porzione di paese. Naturalmente la dimestichezza degli autisti indiani con la neve è piuttosto approssimativa e accoppiato allo stato di macchine e pneumatici, che già faticano a non uscire di strada in condizioni normali, contribuiscono a creare condizioni diciamo così, difficili. In breve è tutto un casino di macchine che slittano, che scivolano e si mettono di traverso e che non riescono a ripartire, tra lo strombazzamento di clacson dei quattro ruote che invece tronfiamente vorrebbero strada libera e niente impicci. Così in un'oretta riusciamo a percorrere non più di una ventina di chilometri. Siamo in mezzo ad una foresta di grandi conifere nere, con piccole radure e slarghi ormai cmpletamemte coperti di neve. 

Nevica deciso

Piccoli gruppi di bovini o greggi di capre himalayane dalle lunghe corna contorte occupano anch'esse la carreggiata, traversandola qua e là, in fondo senza disturbare più di tanto visto che marciano più in fretta delle auto, anche se si fermano ai margini per trovare qualche cespo di erba nuova appena spuntata e non ancora ricoperta dalla nevicata. Pastori irsuti e avvolti in pesanti tabarri di feltro, le accompagnano senza preoccuparsi troppo del traffico, poi spariscono anche loro tra gli alberi, sulla montagna. Le serie di strambugi al margine della via che affittano attrezzature da sci, sono desolantemente vuoti, i tenutari pencolano sulle gambe con lo sguardo basso, in attesa di clienti che non arrivano, battendo i piedi a terra per ingannare il freddo. Le centinaia di tute dai colori sgargianti, rimangono appese alle grucce, inutili e vuote come allegri sacchi da cadaveri alla fine di una guerra. Procedere è una vera pena, alla fine, quando l'altimetro segnala una quota vicina ai 3000 metri, anche Gurgeet cede. Così non si può continuare, anche il nostro mezzo scivola e non riesce a procedere più di tanto. 

Non siamo stati fortunati, per questa volta non riusciremo a vedere la Solang valley che ci aspetterebbe al di là del tunnel e comunque oggi credo che ci sarebbe davvero poco da vedere. Giriamo i buoi, come si dice a Mandrogne, e torniamo con la coda tra le gambe verso Manali. dove ci aspetta una giornata di cazzeggio in città. Capisco che è un po' come rinunciare ad arrivare alla cima dell'Everest quando ormai sei arrivato a pochi metri dalla vetta, nel nostro piccolo naturalmente, ma cosa ci vogliamo fare, questo è il destino di chi cerca la sua strada filosofica verso il tetto del mondo, saper rinunciare di fronte alla forza della natura è anch'esso un insegnamento. D'altra parte non ci si può opporre al destino barbaro e bastardo, si vede che era destino e noi umili mortali di pianura, non possiamo opporci al fato. Prendiamola così, che va bene. Arrivati giù, ironia della sorte, smette di nevicare. Il bianco lascia però il posto ad una acquerugiola ancora più fastidiosa ed umida. Anche nella Mall road c'è poca gente, si saranno tutti rintanati al calduccio sotto le coperte. Scediamo e liberiamo il nostro amico che corre a rifugiarsi al calduccio da qualche parte. Noi, passando tra una goccia e l'altra andiamo in fondo al mercato dove c'è il monastero tibetano, l'altra attrazione religiosa di Manali. 

Una porta
Il gompa

Il Ghadan Thekchhokling Gompa è un luogo di culto buddista molto famoso e richiama fedeli da ogni parte che vengono qui a meditare sotto la guida di monaci accreditati e di certo sapientissimi. Bisogna in effetti ricordare che tutto l'HImachal Pradesh è diventata la sede per un gran numero di appartenenti al clero tibetano, dopo la diaspora seguita all'occupazione dei Cinesi negli anni cinquanta. L'India li ha accolti ben volentieri in contrapposizione all'antico nemico cinese, concedendo loro larghi spazi proprio in questo stato montagnoso, povero di popolazione che ben si addiceva ai profughi, come bene vedremo poi nella più famosa Dharamsalah. Bisogna sempre ricordare l'importanza geopolitica che hanno le religioni nel subcontinente, specialmente in queste zone di passaggio che distinguono i territori molto di più dei confini di stato. Qui infatti è proprio il passo di Rothtang a segnare il passaggio netto tra la cultura induista e quella tibetana, così come Kargil era la suddivisione altrettanto decisa tra Buddha e Maometto e questo si può vedere nei vestiti e nelle abitudini della gente, oltre che dalla forma dei templi. Qui a Manali in questo bellissimo Gompa, ti senti completamente immerso nell'atmosfera del buddismo tantrico-

La biblioteca
Monaco in meditazione

Puoi rimanere estatico nelle sue sale silenziose ed i templi scanditi dai suoni ritmati di campanelle o di tamburi di preghiera, mentre le voci dei rari monaci fanno da sottofondo con i loro toni a bassa frequenza, così profondi da rasentare la soglia dell'inudibilità. Che contrasto con la folla e la confusione dei templi induisti, anche questi colorati e in fondo, con gli stessi profumi di incensi e di offerte marcescenti, di fumi delle lampade di burro e di legni stagionati, ma così pieni di voci, di canti, di musiche di cembali e armonium. Confusione e festa contro meditazione compunta. Due mondi diversi che tuttavia richiamano le stesse pulsioni umane; quella ricerca di trascendente alla quale l'uomo non riesce a resistere ed è disposto, se opportunamente condotto, a sacrificarsi; quella necessità di superstizione che conduce a chiedere come un diritto in cambio di preghiere, offerte virtuali, meglio se materiali, così almeno auspica senza chiedere direttamente, il clero addetto. Insomma noi giriamo per le sale, saliamo le strette scalette che portano ai piani superiori per ammirare meglio le grandi statue dorate, ai bianchi chorten dalle punte rosse, ruotiamo anche noi le file di mulini di preghiera che ci attirano con il loro movimento ipnotico, rimaniamo estatici davanti alle pareti dipinte che raccontano di premi per i buoni e castighi per i reprobi, storie di santi e di dei e le paragoniamo eventualmente ai nostri prodotti artistici della nostra fede, osservando che oltre che a guerre e violenza, quantomeno questo sono riuscite a produrre. E' quasi mezzogiorno quando usciamo del monastero per perderci un'altra volta nel mercato, mentre il cielo continua a piangere a dirotto.  

SURVIVAL KIT

Templi di Hidimba e Ghatokacha - A poco più di un chilometro dalla Mall street, sulla montagna, questi due antichi templi (il secondo è poco più di un altare), mostrano una tipica forma architetturale della valle e sono molto visitati specialmente da fedeli del sud dell'India, dove questi dei minori sono particolarmente venerati. E' interessante sopratutto la posizione nella foresta tra gli alberi. Ingresso libero.



Ghadan Thekchhokling Gompa - Importante tempio e monastero tibetano a Manali. Lo trovate in fondo al mercato e occupa due interi isolati. Qui si può anche venire per sedute di meditazione. Se non disturbate, potrete entrare e mettervi al fondo delle sale per ascoltare le meditazioni ed i canti dei monaci. Ovviamente i gruppi di turisti numerosi disturbano parecchio. Intorno troverete molti negozietti che offrono materiali e oggetti tibetani.


Strumenti del monaco
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sabato 1 giugno 2024

India 28 - Naggar

Un maitre à penser - Kullu - India - marzo 2024

 

La casa di Roerich

L'area di Naggar è fatta di tante case sparse a fianco della strettissima stradina che risale lungo il versante della montagna, così contorta da rendere problematico l'incrocio con altri mezzi, siano auto o altri modi di spostarsi su per questi monti carichi di merci o persone. Attorno, strapiombi paurosi e fitta foresta fatta di alberi secolari. Ed è proprio qui, tra questi alberi su un'altura rivolta verso la corona di vette che la circondaro, che si trova il Nicholas Roerich museum, una sconosciuta istituzione voluta da questo strano personaggio e dalla moglie che qui vissero e dove lui morì nel 1947 e fu sepolto in una piccola tomba rivolta verso quelle cime che tanto lo avevano appassionato. Si tratta di uno scienziato e archeologo russo, ma anche e soprattutto pittore di fama che, dopo la rivoluzione girò dapprima il mondo raccogliendo grande successo per i suoi lavori e poi, verso la metà degli anni '20, cominciò a viaggiare in Asia per approfondire il suo lato esoterico e di grande pacifista. Molto apprezzato per le sue profonde conoscenze in materia, fu preso soprattutto dall'area himalayana, che esplorò con cura negli anni trenta, diventando forse uno dei più grandi conoscitori del Ladakh e della parte nordoccidentale del subcontinente. 

Pietre del museo

Proprio qui a Naggar, nella valle di Kullu, si stabilì e la fece base delle sue spedizioni che coprirono approfonditamente questa area e qui ritornava costantemente, per dipingere, per scrivere e incontrare chi lo veniva a visitare, discutendo delle sue idee pacifiste che, si dice, influenzarono profondamente anche Gandhi. Tra le altre cose indagò a lungo sulla leggenda che racconta della permanenza e della vita trascorsa da Gesù Cristo proprio da queste parti, dove esisterebbe anche una sua presunta sepoltura, dopo che sarebbe stato tolto dalla croce ancora in vita, dai discepoli più fedeli e quindi fuggito fin quaggiù a continuare la sua vita di predicatore di amore e di pace. Per questo Roerich fu anche scomunicato dalla chiesa russa. La sua grande casa è stata quindi trasformata in museo permanente dal figlio e dalla moglie che continuò la sua opera e raccontano la sua vita e le sue idee attraverso i quadri e le fotografie che scattava durante le sue esplorazioni. Percorsi affascinanti che riportano a tempi lontani quando tra questi monti sconosciuti, solo sentieri aviti venivano percorsi da popolazioni di montanari isolate dal mondo, che vivevano con le stentate risorse che queste terre estreme potevano dare, tra inverni feroci e monsoni travolgenti. 

L'albero delle radici

Un mondo da scoprire e da descrivere con gli occhi appassionati dell'esploratore e dell'amante della bellezza che ritrovi poi nei suoi quadri. Pochi arrivano fin quassù, forse il suo messaggio di pace e ammiratore della natura severa dell'Himalaya, forse non sono molto attuali e non appassionano più di tanto. Oggi si preferisce il contrasto tra i popoli, il resuscitare di nazionalismi ed il fomentare odi passati per dividere, mai per unire, cosa vista di certo negativamente, forse come privazione di poteri e sul versante naturalistico si segue, in contrapposizione all'amore vero per la natura, una serie di stereotipi fasulli e interessati, che scambiano la fuffa e le menzogne del falso ambientalismo parolaio ai problemi reali che la presenza dell'uomo e soprattutto il suo numero, pone al pianeta. Ma questo è un discorso troppo lungo che ci porterebbe fuori tema e quindi eccoci qui, dopo aver girato a lungo in quella che era la casa dei Roerich, seduti su una panchina a guardare le vette lontane che lui amava e tante volte ha raffigurato sulle sue tele, con quel tratto specifico e riconoscibilissimo influenzato un po' da Van Gogh, un po' da Gauguin, anche lui così amante dell'esotico. Non puoi fare a meno di immaginartelo seduto in questo giardino a guardare la valle progettando viaggi e nuovi itinerari sotto queste imponenti montagne. 

A Sharam

C'è poco da fare, questi luoghi sanno trovare sempre spunti inaspettati e diversi, anche se pervasi dai cambiamenti inevitabili ai quali il mondo li costringe. Do un ultimo sguardo all'incrocio di radici aeree di un albero centenario posto davanti all'ingresso, proprio per questo emblematico delle complessità della vita e del pensiero umano, un vero e proprio monito che segna l'accesso al sito e poi proseguiamo ancora più in su ed ecco, nascosto in una valletta laterale, le poche case del paesino di Sharan che per tradizione è abitato da tessitori. Ogni casa infatti contiene diversi piccoli telai, qualcuno a due, altri a quattro pedali, sui quali anziane donne proseguono un lavoro che la tradizione ha loro consegnato immutabile nel tempo. Scialli colorati, pezze di stoffa dall'ordito grezzo, lane tinte con colori ricavati come cento anni fa e appesi ad asciugare su lunghe corde, lane grezze ma morbidissime da cardare, da sciogliere, da filare su antichi aspi ed ancora avvolgere in gomitoli e matasse. Lavori antichi, non solo per questo pregiati, ma coperti dal fascino che la patina del tempo conferisce al di là del merito specifico. Una anziana avvolta in un grembialone sudicio, raccoglie fili morbidi, le mani nodose che torcono, seduta su un basso treppiede. Al fianco, su un tavolo si allineano tanti mazzetti lanosi color ecrù, che poi andranno lavati e tinti. 

I telai 

In fondo al cortile un pentolone ripieno di liquido blu. Forse finiranno lì dentro a prendere il colore del cielo. Ragazze giovani non se ne vedono, me le immagino fasciate in stretti jeans che aspettano un tuktuk per correre giù nella valle in cerca di una scuola superiore o per stare dietro il bancone di qualche negozio che quegli scialli vende, senza fare troppa distinzione tra quelli che arrivano dalla fabbrica, più precisi, dai colori e dai disegni più netti e delineati, più belli insomma secondo il gusto comune. Passiamo attraverso i cortili senza lasciare traccia di noi, neppure i cani ci abbaiano, forse anche loro appartengono ad un passato muto e senza possibilità di rinascita. Nessuno ha neppure cercato di venderci qualche cosa, anche i pochi bambini giocano senza darci retta. E' ora di scendere, ma un po' più in basso rimane da guardare forse il pezzo più bello dell'area, il Naggar Castle, quello che rappresentava il centro del potere, testimonianza molto ben conservata di un castello della metà del XV secolo, nel quale puoi riconoscere lo stile costruttivo, la bellezza dei lavori in legno, la struttura complessiva di uno dei palazzi del potere. Qui ci sono un sacco di turisti che si fanno selfie all'infinito nel bel cortile tra le porte scolpite, sulla balconata affacciata sulla valle sottostante.

Naggar Castle
Non oso immaginare il piacere degli ospiti dell'albergo ad avere davanti alle loro porte questa massa vociante che si esibisce davanti ai telefonini che cliccano in continuazione. Noi scendiamo infine risalendo poi il corso del Beas e dallo stesso versante prendiamo poi la stradina che in un paio di chilometri, porta al paese di Vashisht, un agglomerato piuttosto popoloso a mezza costa. La strada che porta fin su è gremita di macchine e quando arrivi tra le case bisogna scendere e proseguire a piedi, tanta gente la percorre. Sei subito circondato da centinaia di negozietti che offrono ai turisti ed ai pellegrini quanto cercano, venendo fin quassù. Oggetti religiosi, spezie, vestiario della valle, lane e ciarpame turistico di varia foggia. Luisa si lascia attrarre da un ciondolo per il quale il tizio spara un prezzo così elevato da renderlo sospetto. si tratta un po', secondo i canoni orientali perché è davvero grazioso, poi per sganciarsi gli si dice che forse il pezzo è un po' troppo prezioso per le nostre tasche. E qui il venditore si esibisce in un tocco di sapienza commerciale impagabile e diciamo pure irresistibile per una acquirente anche scafata. Infatti la guarda con occhi dolci, la testa leggermente piegata da un lato e, dopo una pausa studiata dice con la vice suadente di un Sandokan brizzolato col turbante rosso vivo: "No, sei tu che sei preziosa". 

Soffitto del tempio

Irresistibile. Che fai, ti sciogli definitivamente, tratti ancora un po' e alla fine compri, non foss'altro per premiare la capacità contrattuale di uno che sa fare il proprio lavoro. Finalmente arriviamo alla piazzetta del paese che porta ai due antichi templi che sorgono ai due lati e che racchiudono le sacre fonti di acqua calda che sgorga direttamente da una fenditura nella roccia. All'interno c'è una gran folla che sta aspettando che si apra la porta del sancta sanctorum da cui il sacerdote darà la benedizione. Io mi siedo su un gradino ad osservare e essendo unico occidentale, mi si avvicina quello che identifico come una specie di sacrestano del posto che mi sottopone al solito interrogatorio e saputo della mia frequentazione seriale dell'India, mi avvolge subito con sguardo condiscendente e protettivo. Alla fine, suona una campanella e si apre la porta e lui, dovendo partecipare attivamente alla funzione, mi lascia con un augurio: "Pregherò perchè Rama ti faccia tornare in India altre dodici volte". Diciamo che è un bell'auspicio di lunga vita e intanto che la coda si allunga per prendere la benedizione del guru, faccio un salto anche nell'altro tempio, dove si svolge più o meno la stessa cerimonia. 

La coda per la bendizione

Poi vado lungo un corridoio che, attraverso muri stretti porta, non alle toilette come avevo sperato, che anche il cuore vuole la sua parte, ma alla piccola piscina dove si può fare il bagno nelle acque sacre. E' una pozza piuttosto ristretta piena di uomini seminudi, immersi fino alla vita che mi invitano con grandi cenni ad entrare. Mi mostrano dove posso lasciare gli abiti e usufruire del benssere del sacro calore, mentre, dato che siamo a cielo aperto, dall'alto comincia a gocciolare. Io declino, con cortesia ed imbarazzo e me la filo come si dice all'inglese, anche perché intanto comincia a piovigginare più deciso e per terra si forma in un attimo una fanghiglia sospetta. Dall'altra parte anche le ragazze sfuggono agli inviti pressanti di accedere alle terme femminili coperte, il cui ingresso è nascosto da un telo di stoffa dai colori incerti e così senza por altro tempo in mezzo, riprendiamo a scendere la ripida strada per raggiungere l'auto. Non voglio però lasciare il paesino, senza portare con me un ricordino, anche se mi sono ripromesso di non comprare più nulla in giro. Ma questo delizioso cappelluccio di lana cotta grezza, chi se lo lascia scappare. 

Jogini waterfall

Ne farò un fedele compagno di viaggio per luoghi più freddi, serio e grigio come mi si conviene. Me lo calco bene in testa e poi via, ritorniamo verso Manali, che la giornata sta per finire. Ma prima di rientrare definitivamente in città, nenche un chilometro più a monte, c'è ancora una piccola deviazione in un anfratto laterale dove, tra rocce incombenti, alberi caduti e sentieri che si perdono sulla montagna, gorgoglia la Jogini waterfall, una cascatella di non eccessive dimensioni che variano molto nel corso dell'anno a seconda del regime stagionale delle acque. Ci si arriva con un ulteriore breve tratto a piedi scavalcando massi viscidi e ponticelli di legno malfermi, approntati più che altro per poter raggiungere le diverse baracchette che offrono viveri e piatti vari, Maggi, dal e polpette a chi arrriva fin lì e vuole  mangiare qualche cosa guardando i salti di acqua. Foto di rito, negli anfratti dietro i rivoli che scendono dal monte, in bilico sui pietroni cercando in ogni modo di cadere dentro le pozze profonde e poi via, sgranocciando un pacchetto di anacardi comprati lungo la strada, che la giornata è stata piuttosto faticosa e la pioggia comincia a benedirci un po' troppo.



Sharan

SURVIVAL KIT

Da vedere a Naggar - A una ventina di chilometri a sud di Manali, è un'area che racchiude parecchie cose da vedere e che potrete programmare in almeno una mattinata. Oltre al tempio di Tripura Sandari, affacciato sulla valle e esempio della architettura montanara della valle di Kullu, non perdetevi il  poco visitato Roerch art museum, ricavato nella casa di questo artista scienziato, candidato al Nobel per la Pace, che raccoglie in diversi edifici, una parte dei suoi quadri (ne realizzò più di 7000) riguardanti soprattutto quell'area ed i suoi abitanti, una imponente collezione etnografica di oggetti e abiti e soprattutto una imponente parte iconografica di foto d'epoca che illustrano la vita di queste popolazioni. Abbiamo poi il Naggar Castle, trasformato in un albergo, di cui si può apprezzare i particolari architettonici ed anche il piccolo museo storico etnografico. Non dimenticate di arrivare un chilometro e mezzo più a monte ad un piccolo paese di tessitori, Sharan village, che rappresenta un pezzo di passato e che prepara due volte all'anno un festival con balli e costumi tradizionali.

Da vedere a Vashisht - Il bazar lungo la via di accesso, pieno di negozietti vari, i due templi dedicati a Rama, posti sulla piazza superiore, che aprono la porta del dio al tramonto per la benedizione. Bella architettura tradizionale. I bagni termali divisi tra maschi e femmine nei due templi, di libero accesso gratuito. Anche se non intendete bagnarvi (cosa che vi monderebbe comunque da tutti i peccati) buttateci almeno un occhiata, per capire come funziona il meccanismo. Poco più a nord verso Manali, deviazione per la cascata di Jogini, abbastanza carina da meritare la sosta.

Henné


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venerdì 31 maggio 2024

India 27 - Manali

Bimba di Manali - Himachal Pradesh - India - marzo 2024

 

Gente di Manali

C'è poco da fare. Manali, pur essendo un paesotto di meno di 10.000 abitanti, cosa che per l'India significa meno di nulla, è nella realtà una vera e propria stazione di turismo montano moderna, a tutti gli effetti. Ormai votata agli sport invernali ed a tutto quello che si ispira alle attività avventurose e naturalistiche, dal trekking estremo, all'alpinismo, fino al rafting ed al parapendio, non si contano le attività e gli inviti che leggi sui cartelli esposti lungo la strada che risale la valle. Qui possiamo dire che converge una gran parte della gioventù dorata del subcontinente, per sentirsi a buon titolo occidentale, quantomeno nelle attività ludiche e nei comportamenti alla moda. E' però anche vero che questo è il solo altro accesso al meraviglioso Ladakh ed alla sua capitale Leh, oltre alla strada di Kargil che parte dal Kashmir e da Srinagar, sempre problematica e spesso chiusa, a causa di problemi politici col vicino Pakistan, che noi percorremmo nel lontano 1978, attraverso il Namika-la, a quasi 4000 metri, in una tra le più alte strade carrozzabili del mondo. Infatti anche da qui si sale rapidamente attraverso la Solang valley fino al Rohtang pass anch'esso a 4000 metri e distante una cinquantina di chilometri, per arrivare poi, attraverso una strada decisamente spettacolare fino al cuore del Piccolo Tibet in un altro centinaio. 

La movida

Purtroppo sembra ormai acclarato che questa nostro target sia sfumato visto che pare il passo rimarrà chiuso per altri quindici giorni. Comunque a Manali ci sono molte cose da fare e da vedere e quantomeno tenteremo di arrivare fino alla Solang Valley. In città ormai gli alberghi, anche piuttosto moderni, non si contano e anzi continuano a nascere come funghi, vista la crescita esponenziale della richiesta e la città ha ormai l'aspetto di una stazione di montagna occidentale, con qualche tocco di esotismo. Il nostro albergo, decisamente bello e nuovo è appena fuori dal centro, risalendo la montagna, un mezzo ad una foresta di pini e cedri. Intanto scendiamo in città per guardarci un po' intorno. E' pieno di gente che passeggia per la via principale, la Mall Road, che si è ormai trasformata in un bazar globale con negozi di ogni tipo, ristoranti e locali. Non fa neanche freddo più di tanto, tanto è vero che pioviggina, ma il cielo non promette bene per domani e le montagne intorno sono poco visibili. Passeggiamo un po', trascinandoci da un negozio all'altro. Ci sono tante cose belle per carità, ma manca un poco il fascino che noi occidentali cerchiamo quando arriviamo in questi lidi lontani, che immaginiamo sempre esotici e diversi da noi. 

Il tempio Durga Mata
L'omologazione di certo è portatrice di maggiore benessere in sede locale, specialmente se riesce a mantenere un'anima di tradizione, ma a noi che arriviamo da lontano, toglie poesia, inutile star lì a girarci intorno e alla fine ti rimane sempre in bocca quel leggero sapore di amaro che se non è delusione poco ci manca. Così finisce che mi siedo sugli alti gradini, davanti al tempietto di Durga Mata ad osservare il passaggio. E' un tempio piccolino ma piuttosto antico, costruito nella classica architettura tradizionale della valle di Kullu, parte in pietra, parte in legno con splendide sculture che ne decorano la facciata e le sottili colonne del porticato. Il tetto in scandole, si eleva ripido per terminare con una cuspide piramidale. La piccola cella ospita il simulacro della dea esposta alla venerazione dei fedeli. L'aarti, la cerimonia quotidiana di omaggio e preghiera alla dea, viene svolta ogni giorno al calar del sole, da un anziano bramino, magro e allampanato, che accoglie i fedeli che passano alla spicciolata, si inchinano, pregano e depongono le loro offerte. Intanto è calato il buio e la strada si è accesa di mille luci come si richiede ad ogni mall commerciale che si rispetti; la folla scorre nel passeggio e al tempio si fermano in pochi. 

Frikkettoni locali al 1986

Il contrasto tra gli scarni lumini che rischiarano la profondità della camera della dea, non riescono a reggere il contrasto con i neon multicolori dell'esterno e rimangono lì, affievoliti dalla luminosità prepotente e smargiassa che pretende ascolto al di là del dovuto, mantenuti in vita forse solamente più dalla pietas dei pochi fedeli della giornata. Ma gli occhi di Durga, brillano vigili dal fondo oscuro delle sua caverna. Aspettano silenziosi il loro momento, quello nel quale si dovrà decidere quali teste tagliare per aggiungerle alla corona di teschi e quali salvare, se ne avranno i meriti. Anche il venditore di pannocchie bollite davanti all'ultimo gradino dell'ingresso, siede sul suo sgabello davanti al minuscolo baracchino con aria assonnata. Non manda neppure richiami ai passanti, offrendo la sua merce demodée, forse sovrastata da quanto la circonda. I bambini frignanti che corrono avanti e indietro inzaccherando di fango, che quello rimane comunque, affrancandosi dalla modernità, costosi scarpini Nike, pretendono gelati spalmosi o barrette marchiate Usa, altro che juleb o laddu, quelli li lasciamo al nonno. Tanto per misurare la temperatura locale, scegliamo per la cena un locale di tendenza, il Cafè 1986, affollatissimo con tanto di ingresso regolato sulla piazza la centro della movida. 

Comunque ci fanno entrare abbastanza rapidamente, visto che siamo stranieri, merce comunque di una certa rarità da queste parti e lo vedi subito popolato da una fauna alla moda, ragazze alte e sgambate con occhi lunghi e pose da modella, ragazzi che si atteggiano a divi bollywoodiani, musica dal vivo e pizze improbabili. Cocktail colorati e piatti che sfrigolano, così gli indiani interpretano gli anni venti di questo nuovo millennio e non c'è Modi che tenga, le tradizioni lasciamole ai villaggi di campagna che le megalopoli hanno voglia di modernità e di sonanti dollari, magari sognando alla vista di televisioni che trasmettono MTV e scene di matrimoni sfarzosi di miliardari sulle coste italiane, Puglia o Portofino non fa differenza, questo è il loro esotico desiderio. Paghiamo proporzionatamente e poi ci ritiriamo nei nostri alloggiamenti in attesa della giornata di domani, che ci accoglie, spostando la tendina del nostro balconcino rivolto a monte, con una copiosa nevicata. D'altra parte siamo o non siamo in alta montagna. Non dura molto però, qui il tempo muta in fretta e anche il cielo piano piano sorride. 


Il tempio Tripura Sandari

Anche la colazione qui è decisamente più internazionale e dunque incameriamo calorie in vista di tempi più duri. Piano piano cessa completamente di nevicare e il cielo mostra sprazzi di azzurro e finalmente compare la splendida cerchia di montagne. Nevi eterne e picchi decisamente maestosi ci circondano. Decidiamo di aspettare domani per salire in quota e torniamo verso Kullu, mentre la giornata si rischiara decisamente. Traversiamo il fiume su un fragile ponticello e passiamo sull'altro lato della valle risalendo poi il versante verso una valle laterale. In breve siamo nella zona di Naggar che offre molte cose interessanti da vedere. La strada sale nel bosco, ma qua e là ci sono diversi segni di passaggio turistico, piccoli stalli che offrono cibo e ristori di varia natura. Spesso pubblicizzato il Maggi, nome evidentemente mutuato dalla storica ditta svizzera produttrice di dadi da brodo e che qui identifica una specie di minestra simile al ramen orientale, di cui naturalmente ogni stallo è in possesso della ricetta migliore. 

Le splendide sculture in legno

Ma noi saliamo decisi, almeno fino al bellissimo e antico tempio di Tripura Sundari. In legno di cedro deodara, questo nome deriva proprio dal sanscrito e significa appunto l'albero degli dei, profuma l'aria all'intorno con le sue resine antiche e racchiude un assortimento di pietre nere scolpite dei principali dei del panteon induista e appare un po' costruito come una rete, visto che lo avrebbe creato proprio la dea mutatasi in ragno. La vista sulla valle è maestosa, premiata come si mostra, grazie ad un provvidenziale squarcio di blu, visto che la giornata vira decisamente al bello. Non c'è nessuno all'interno salvo un anziano che spazza a terra con un corta scopa di vimini. Poi passa alle pietre sacre, ognuna simulacro di un diverso dio, lucidandole fino a farle diventare nere come il giaietto. Ad ognuna rivolge poi una breve preghiera e va avanti ad adempiere il suo compito. Il tempio è silente di fronte alla bellezza delle montagne che ne accentuno la sacralità. I muri, travi di legno orizzontali alternati a strati di chiara pietra, ti raccontano una solidità che dura nei secoli al di là dei doveri caduchi degli uomini. Odore di fiori nell'aria guardando la valle. 

La balconata del tempio

SURVIVAL KIT

Le pietre sacre del tempio

Manali Heights Hotel - Log Huts area, Old Manali - Bell'hotel 3 stelle, rinnovato di recente. Appena fuori dal centro verso la collina. Bella la vista sulle montagne circostanti. Camere spaziose e ben dotate. TV, Free wifi, AC, stufa, no frigo, balconcino. Kit thé, caffé e acqua imbottigliata. Bagno grande, pulito, con molti accessori. Colazione inclusa anche occidentale, ottima. Personale molto gentile. Ristorante valido a detta di molte recensioni. Bel giardino e Spa. Taxi per il centro 200 R. Prezzi molto variabili a seconda della stagione e con diverse offerte sui vari siti. Si trova attorno ai 40 €. 

Cose da fare a Manali - Se siete un occidentale poco interessato alle attrazioni per cui gli indiani vengono qui (sport invernali o sport cosiddetti avventura), la città a 2000 metri è una delle porte dell'Himalaya, base di partenza per raggiungere il Ladakh attraveso la valle dello Spiti. Da notare che per arrivarci si paga una cosiddetta tassa green di 200 R a macchina. In città da vedere il Centro con la Mall road e il Bazar tibetano. il tempietto di Durga Mata, il tempio e monastero Tibetano dietro il Bazar, il tempio Hadimba appena fuori dal centro, il tempio di Vashisht con le sorgenti di acqua bollente, la valle di Solang e se riuscite ad arrivare fino al Rohtang pass (51 km), il permesso di accesso costa 500 R a macchina + 50 R se c'è traffico, la cascata di Joguni e il vicino paesino di Naggar con diverse cose da vedere. Naturalmente una delle attività più gettonate sono i trekking sulle montagne circostanti con vista sui magnifici paesaggi himalayani. 

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