Un maitre à penser - Kullu - India - marzo 2024 |
La casa di Roerich |
L'area di Naggar è fatta di tante case sparse a fianco della strettissima stradina che risale lungo il versante della montagna, così contorta da rendere problematico l'incrocio con altri mezzi, siano auto o altri modi di spostarsi su per questi monti carichi di merci o persone. Attorno, strapiombi paurosi e fitta foresta fatta di alberi secolari. Ed è proprio qui, tra questi alberi su un'altura rivolta verso la corona di vette che la circondaro, che si trova il Nicholas Roerich museum, una sconosciuta istituzione voluta da questo strano personaggio e dalla moglie che qui vissero e dove lui morì nel 1947 e fu sepolto in una piccola tomba rivolta verso quelle cime che tanto lo avevano appassionato. Si tratta di uno scienziato e archeologo russo, ma anche e soprattutto pittore di fama che, dopo la rivoluzione girò dapprima il mondo raccogliendo grande successo per i suoi lavori e poi, verso la metà degli anni '20, cominciò a viaggiare in Asia per approfondire il suo lato esoterico e di grande pacifista. Molto apprezzato per le sue profonde conoscenze in materia, fu preso soprattutto dall'area himalayana, che esplorò con cura negli anni trenta, diventando forse uno dei più grandi conoscitori del Ladakh e della parte nordoccidentale del subcontinente.
Pietre del museo |
Proprio qui a Naggar, nella valle di Kullu, si stabilì e la fece base delle sue spedizioni che coprirono approfonditamente questa area e qui ritornava costantemente, per dipingere, per scrivere e incontrare chi lo veniva a visitare, discutendo delle sue idee pacifiste che, si dice, influenzarono profondamente anche Gandhi. Tra le altre cose indagò a lungo sulla leggenda che racconta della permanenza e della vita trascorsa da Gesù Cristo proprio da queste parti, dove esisterebbe anche una sua presunta sepoltura, dopo che sarebbe stato tolto dalla croce ancora in vita, dai discepoli più fedeli e quindi fuggito fin quaggiù a continuare la sua vita di predicatore di amore e di pace. Per questo Roerich fu anche scomunicato dalla chiesa russa. La sua grande casa è stata quindi trasformata in museo permanente dal figlio e dalla moglie che continuò la sua opera e raccontano la sua vita e le sue idee attraverso i quadri e le fotografie che scattava durante le sue esplorazioni. Percorsi affascinanti che riportano a tempi lontani quando tra questi monti sconosciuti, solo sentieri aviti venivano percorsi da popolazioni di montanari isolate dal mondo, che vivevano con le stentate risorse che queste terre estreme potevano dare, tra inverni feroci e monsoni travolgenti.
L'albero delle radici |
Un mondo da scoprire e da descrivere con gli occhi appassionati dell'esploratore e dell'amante della bellezza che ritrovi poi nei suoi quadri. Pochi arrivano fin quassù, forse il suo messaggio di pace e ammiratore della natura severa dell'Himalaya, forse non sono molto attuali e non appassionano più di tanto. Oggi si preferisce il contrasto tra i popoli, il resuscitare di nazionalismi ed il fomentare odi passati per dividere, mai per unire, cosa vista di certo negativamente, forse come privazione di poteri e sul versante naturalistico si segue, in contrapposizione all'amore vero per la natura, una serie di stereotipi fasulli e interessati, che scambiano la fuffa e le menzogne del falso ambientalismo parolaio ai problemi reali che la presenza dell'uomo e soprattutto il suo numero, pone al pianeta. Ma questo è un discorso troppo lungo che ci porterebbe fuori tema e quindi eccoci qui, dopo aver girato a lungo in quella che era la casa dei Roerich, seduti su una panchina a guardare le vette lontane che lui amava e tante volte ha raffigurato sulle sue tele, con quel tratto specifico e riconoscibilissimo influenzato un po' da Van Gogh, un po' da Gauguin, anche lui così amante dell'esotico. Non puoi fare a meno di immaginartelo seduto in questo giardino a guardare la valle progettando viaggi e nuovi itinerari sotto queste imponenti montagne.
A Sharam |
C'è poco da fare, questi luoghi sanno trovare sempre spunti inaspettati e diversi, anche se pervasi dai cambiamenti inevitabili ai quali il mondo li costringe. Do un ultimo sguardo all'incrocio di radici aeree di un albero centenario posto davanti all'ingresso, proprio per questo emblematico delle complessità della vita e del pensiero umano, un vero e proprio monito che segna l'accesso al sito e poi proseguiamo ancora più in su ed ecco, nascosto in una valletta laterale, le poche case del paesino di Sharan che per tradizione è abitato da tessitori. Ogni casa infatti contiene diversi piccoli telai, qualcuno a due, altri a quattro pedali, sui quali anziane donne proseguono un lavoro che la tradizione ha loro consegnato immutabile nel tempo. Scialli colorati, pezze di stoffa dall'ordito grezzo, lane tinte con colori ricavati come cento anni fa e appesi ad asciugare su lunghe corde, lane grezze ma morbidissime da cardare, da sciogliere, da filare su antichi aspi ed ancora avvolgere in gomitoli e matasse. Lavori antichi, non solo per questo pregiati, ma coperti dal fascino che la patina del tempo conferisce al di là del merito specifico. Una anziana avvolta in un grembialone sudicio, raccoglie fili morbidi, le mani nodose che torcono, seduta su un basso treppiede. Al fianco, su un tavolo si allineano tanti mazzetti lanosi color ecrù, che poi andranno lavati e tinti.
I telai |
In fondo al cortile un pentolone ripieno di liquido blu. Forse finiranno lì dentro a prendere il colore del cielo. Ragazze giovani non se ne vedono, me le immagino fasciate in stretti jeans che aspettano un tuktuk per correre giù nella valle in cerca di una scuola superiore o per stare dietro il bancone di qualche negozio che quegli scialli vende, senza fare troppa distinzione tra quelli che arrivano dalla fabbrica, più precisi, dai colori e dai disegni più netti e delineati, più belli insomma secondo il gusto comune. Passiamo attraverso i cortili senza lasciare traccia di noi, neppure i cani ci abbaiano, forse anche loro appartengono ad un passato muto e senza possibilità di rinascita. Nessuno ha neppure cercato di venderci qualche cosa, anche i pochi bambini giocano senza darci retta. E' ora di scendere, ma un po' più in basso rimane da guardare forse il pezzo più bello dell'area, il Naggar Castle, quello che rappresentava il centro del potere, testimonianza molto ben conservata di un castello della metà del XV secolo, nel quale puoi riconoscere lo stile costruttivo, la bellezza dei lavori in legno, la struttura complessiva di uno dei palazzi del potere. Qui ci sono un sacco di turisti che si fanno selfie all'infinito nel bel cortile tra le porte scolpite, sulla balconata affacciata sulla valle sottostante.
Naggar Castle |
Soffitto del tempio |
Irresistibile. Che fai, ti sciogli definitivamente, tratti ancora un po' e alla fine compri, non foss'altro per premiare la capacità contrattuale di uno che sa fare il proprio lavoro. Finalmente arriviamo alla piazzetta del paese che porta ai due antichi templi che sorgono ai due lati e che racchiudono le sacre fonti di acqua calda che sgorga direttamente da una fenditura nella roccia. All'interno c'è una gran folla che sta aspettando che si apra la porta del sancta sanctorum da cui il sacerdote darà la benedizione. Io mi siedo su un gradino ad osservare e essendo unico occidentale, mi si avvicina quello che identifico come una specie di sacrestano del posto che mi sottopone al solito interrogatorio e saputo della mia frequentazione seriale dell'India, mi avvolge subito con sguardo condiscendente e protettivo. Alla fine, suona una campanella e si apre la porta e lui, dovendo partecipare attivamente alla funzione, mi lascia con un augurio: "Pregherò perchè Rama ti faccia tornare in India altre dodici volte". Diciamo che è un bell'auspicio di lunga vita e intanto che la coda si allunga per prendere la benedizione del guru, faccio un salto anche nell'altro tempio, dove si svolge più o meno la stessa cerimonia.
La coda per la bendizione |
Poi vado lungo un corridoio che, attraverso muri stretti porta, non alle toilette come avevo sperato, che anche il cuore vuole la sua parte, ma alla piccola piscina dove si può fare il bagno nelle acque sacre. E' una pozza piuttosto ristretta piena di uomini seminudi, immersi fino alla vita che mi invitano con grandi cenni ad entrare. Mi mostrano dove posso lasciare gli abiti e usufruire del benssere del sacro calore, mentre, dato che siamo a cielo aperto, dall'alto comincia a gocciolare. Io declino, con cortesia ed imbarazzo e me la filo come si dice all'inglese, anche perché intanto comincia a piovigginare più deciso e per terra si forma in un attimo una fanghiglia sospetta. Dall'altra parte anche le ragazze sfuggono agli inviti pressanti di accedere alle terme femminili coperte, il cui ingresso è nascosto da un telo di stoffa dai colori incerti e così senza por altro tempo in mezzo, riprendiamo a scendere la ripida strada per raggiungere l'auto. Non voglio però lasciare il paesino, senza portare con me un ricordino, anche se mi sono ripromesso di non comprare più nulla in giro. Ma questo delizioso cappelluccio di lana cotta grezza, chi se lo lascia scappare.
Jogini waterfall |
Ne farò un fedele compagno di viaggio per luoghi più freddi, serio e grigio come mi si conviene. Me lo calco bene in testa e poi via, ritorniamo verso Manali, che la giornata sta per finire. Ma prima di rientrare definitivamente in città, nenche un chilometro più a monte, c'è ancora una piccola deviazione in un anfratto laterale dove, tra rocce incombenti, alberi caduti e sentieri che si perdono sulla montagna, gorgoglia la Jogini waterfall, una cascatella di non eccessive dimensioni che variano molto nel corso dell'anno a seconda del regime stagionale delle acque. Ci si arriva con un ulteriore breve tratto a piedi scavalcando massi viscidi e ponticelli di legno malfermi, approntati più che altro per poter raggiungere le diverse baracchette che offrono viveri e piatti vari, Maggi, dal e polpette a chi arrriva fin lì e vuole mangiare qualche cosa guardando i salti di acqua. Foto di rito, negli anfratti dietro i rivoli che scendono dal monte, in bilico sui pietroni cercando in ogni modo di cadere dentro le pozze profonde e poi via, sgranocciando un pacchetto di anacardi comprati lungo la strada, che la giornata è stata piuttosto faticosa e la pioggia comincia a benedirci un po' troppo.
Sharan |
SURVIVAL KIT
Da vedere a Naggar - A una ventina di chilometri a sud di Manali, è un'area che racchiude parecchie cose da vedere e che potrete programmare in almeno una mattinata. Oltre al tempio di Tripura Sandari, affacciato sulla valle e esempio della architettura montanara della valle di Kullu, non perdetevi il poco visitato Roerch art museum, ricavato nella casa di questo artista scienziato, candidato al Nobel per la Pace, che raccoglie in diversi edifici, una parte dei suoi quadri (ne realizzò più di 7000) riguardanti soprattutto quell'area ed i suoi abitanti, una imponente collezione etnografica di oggetti e abiti e soprattutto una imponente parte iconografica di foto d'epoca che illustrano la vita di queste popolazioni. Abbiamo poi il Naggar Castle, trasformato in un albergo, di cui si può apprezzare i particolari architettonici ed anche il piccolo museo storico etnografico. Non dimenticate di arrivare un chilometro e mezzo più a monte ad un piccolo paese di tessitori, Sharan village, che rappresenta un pezzo di passato e che prepara due volte all'anno un festival con balli e costumi tradizionali.
Da vedere a Vashisht - Il bazar lungo la via di accesso, pieno di negozietti vari, i due templi dedicati a Rama, posti sulla piazza superiore, che aprono la porta del dio al tramonto per la benedizione. Bella architettura tradizionale. I bagni termali divisi tra maschi e femmine nei due templi, di libero accesso gratuito. Anche se non intendete bagnarvi (cosa che vi monderebbe comunque da tutti i peccati) buttateci almeno un occhiata, per capire come funziona il meccanismo. Poco più a nord verso Manali, deviazione per la cascata di Jogini, abbastanza carina da meritare la sosta.
Henné |
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