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Golfo di San Josè . Penisola di Valdèz - Argentina - novembre 2024 |
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Golfo grande |
C'è un baretto, giusto di fronte all'ufficio dei balenieri, che raggiungiamo mentre il resto della gente pian piano sta sfollando. Noi ci imbuchiamo lì, intanto perché son passate le due e anche per calmare un po' lo stomaco, che, sia come sia, un po' smosso lo è, anche se le acque del golfo non sono certo quelle dei quaranta ruggenti che si sviluppano appena passi nelle acque aperte di fronte alla penisola. In effetti si tratta sempre di un tratto di mare chiuso e anche con una imboccatura piuttosto ristretta, ma la dimensione è comunque abbastanza ampia perché i venti che spazzano con monotona ma pervicace violenta la penisola, ne agitino la superficie in maniera adeguata e quindi, per noi diciamo che è già più che sufficiente. Un bel tostado e una bibita fresca calmano le onde marine e anche quelle gastriche. Forse ci aspettavamo tutti qualcosina di più, come ci avevano promesso in molti già passati da questa esperienza, in particolare torme di cetacei che ti circondano festanti e che ti vengono a mangiare in mano, ma anche così devo dire che è stato emozionante e posso concludere dicendomi soddisfatto. A questo punto partiamo con l'intenzione di arrivare a Punta Delgado nell'estremità sud della penisola, anche se è noto che il capo è chiuso, perché l'area è stata privatizzata per farci una struttura privata.
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Guanaco |
Tuttavia si dice che la pista valga comunque la pena di essere percorsa per la quantità di animali che si vedono al passaggio. Mai fu detta cosa più falsa. Sta di fatto che ci sciroppiamo 75 km all'andata che saranno poi altrettanti al ritorno, accompagnati solamente da famiglie di guanachi che ormai non attirano neppure più la nostra attenzione, tanti ne abbiamo visti. Null'altro. Per carità i guanachi sono bellini e coccolosi, ma dopo un po', tutto viene a nausea e la quantità e la consuetudine producono indifferenza. Per questo strano animale uomo, non conta il bello o il brutto, ma è la rarità, l'esclusività che attira. E sul bordo della pista ecco che un guanaco morto, un cadavere straziato da chissà quale fiera o vulturide, spero dopo la sua dipartita naturalmente, giace quasi spezzato in due con le viscere esposte e le ossa del bacino che fanno capolino ad attirare saprofagi di qualche tipo. Il ciclo della natura, così spietatamente si compie e il mondò va avanti senza voltarsi indietro. Così ce ne andiamo anche noi, cercando di vedere. lontano alla nostra sinistra i famosi laghi salati che erano anche classificati come la massima depressione argentina. Si vede infatti qualcosa lontano, in una sorta di avvallamento, un luccicore bianco che riflette il sole, come tutte queste superfici di morte, ospitate nelle parti più desertiche del pianeta, quando il sale diventa l'unica alternativa alla vita.
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I laghi salati |
Mentre cerco di ricavare una immagine decente senza riuscirci, ecco che tra le gambe mi sfila via veloce, un qualche cosa che non faccio a tempo a catalogare. Subito traversa la pista per mettersi in salvo in qualche modo. Si tratta, e dico finalmente, di un armadillo peloso (Chaetopractus villosus), un animaletto lungo una trentina di centimetri, dello stesso colore della terra che lo circonda e nella quale si mimetizza perfettamente. Anche se corre come un disperato per mettersi in salvo sulle sue zampette cortissime a salsicciotto alle quali non daresti due lire in quanto a velocità podistica, si riesce a vedere bene la corazza a fasce che ne ricopre la schiena e la copertura di peli bianchi che gli spuntano più folti nella parte scoperta del ventre. La coda è corta e piuttosto tozza e due orecchiette che tiene basse forse nell'ansia di correre via meglio e più velocemente, gli rimangono schiacciate ai lati della testa. In pratica fila via a zig zag tra i cespi di erba bassa e nonostante cerchi di rintracciarlo al di là della strada scompare per sempre, forse tra gli anfratti di qualche tana che si è appositamente scavato in previsione di questi eventi pericolosi per la sua incolumità. Non riesco neppure a fargli uno scatto, pur avendo l'attrezzo pronto in mano.
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Faraone selvatiche |
Un curioso anomale comunque che avevo visto solo imbalsamato nell'estancia di El Calafate e che sembra assai più raro del suo cugino senza peli, più grande e lento a muoversi, insomma più propenso quando si spaventa a racchiudersi a palla, come a scomparire dal mondo stesso, che dovrebbe essere comunque presente in questi luoghi sia nella versione diciamo coupé, che presenta solamente sei bande, sia in quella che potremmo chiamare limousine, che può arrivare mi sembra fino a 16 bande nella corazza. Ci fermiamo ancora un po' a guardarci intorno speranzosi di veder saltar fuori qualche suo amico, ma niente da fare. Questi animali riescono a nascondersi sotto terra molto bene visto che dispongono di filtri nelle narici che consentono loro di respirare l'ossigeno senza inalare il terriccio che li ricopre e anche se sulla carta dovrebbero essere curiosissimi e attirati dall'uomo nella speranza di carpire cibo, noi abbiamo evidentemente trovato l'unico armadillo scontroso della regione. Alla fine bisogna giocoforza rinunciare all'appostamento. Il peludo, come lo chiamano qui, è dispettoso e non si mostra più. Intorno a noi solamente greggi infinite di lanosissime pecore che cercano di portare al riparo i loro ultimi nati, che a mala pena si reggono sulle zampette ancora malferme.
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Isla de los pajaros |
Poi gli ultimi segni di vita che si mostrano nella steppa sono delle grassocce faraone selvatiche che becchettano qua e là come galline nell'aia. Rammaricati, riprendiamo la strada verso la punta dove arriviamo verso le quattro, ma, con grande delusione, non troviamo altro che un cancello sbarrato con l'invito a tornarcene indietro. Lontanissima verso il mare, la punta che si allunga e che, a quanto si dice, ospiterebbe una ricca loberia, popolata da centinaia di pinnipedi di ogni genere e colonie di cormorani. Pazienza, se la godranno i ricchi epuloni che verranno a pernottare da queste parti, d'altronde eravamo avvisati, dunque inutile lamentarsi sul latte, anzi sulla benzina versata. Torniamo mestamente verso l'uscita del parco che raggiungiamo dopo le cinque e tanto per consolarci facciamo l'ultimo tratto laterale di pista di cinque chilometri che porta fino ad una baia del Golfo di San Josè, da cui si vede la antistante Isla de Los Pajaros, una roccia nera che emerge tra le onde di un blu cobalto, letteralmente ricoperta di uccelli di tutti i tipi che, per la distanza tuttavia è difficile identificare, anche se opportuni cartelli avvisano trattarsi principalmente di diverse specie di cormorani. Inoltre siamo anche a sfavore di luce e allora ce ne possiamo tornare al parcheggio, anche se con la coscienza pulita di aver toccato tutti i punti topici della penisola.
Riprendiamo la via verso casa, ma visto che è ancora presto, facciamo un ultimo salto a vedere il lungomare di Puerto Madryn, la cittadina diventata ormai meta di turismo balneare per gli argentini. In effetti la sfilata di villette, quasi tutte di recente costruzione, occupano tutto il corso antistante la larghissima spiaggia e tutto sembra pronto per l'aprirsi della stagione balneare, quando prenderanno vita i vari locali disposti uno dietro l'altro, segno evidente che di gente ne aspettano parecchia. Come supponevo tuttavia non c'è molto altro da vedere, se non quella che sembra quasi una delle tante località adriatiche in attesa dell'arrivo della stagione. Non rimane quindi che tornare alla base, mentre il cielo si scurisce ed i goccioloni di pioggia cominciano a scendere, ma questa ormai pare sia una costante serale di questa zona nel periodo primaverile. Diamo un'occhiata stanca ai tanti murales che costellano i muri attorno al nostro garage, poi non rimane che rifugiarci nei nostri soliti locali per una bella sberla di carne alla griglia succosa e corroborante. Accidenti, ho trangugiato sicuramente più carne in questo mese che in tutto il resto dell'anno, ma ne valeva assolutamente la pena. Il gelataio invece con il quale attacco un bottone sulla artigianalità della produzione, è davvero molto soddisfatto degli apprezzamenti che provengono dai conoscitori italiani. E così se ne è andato anche un altro giorno.

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Golfo di San Josè |
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