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lunedì 25 gennaio 2021

Luoghi del cuore 98: Lione

Lyon - aprile 2011
 

Chissà se è la nebbiolina leggera che sale dal Rodano o l'umidità densa della Saôna che aggredisce la città vecchia nascondendoti parzialmente la collina, da cui emerge come una fantasima la sagoma di Notre Dame de Fourvière oppure sarà il tocco di nera magia che ti sfiora le ossa, ma accidenti, faceva freddo a Lione. Non puoi sgranocchiarti una crêpe al Grand Marnier all'aperto guardando i bei palazzi dei lungofiume, devi giocoforza rintanarti in qualche Bouchon Lyonnais o in qualche piccolo bistrot, intorno ad un tavolino lillipuziano alla francese. La sera provi qualche specialità locale, l'andouillette o un crouton avec chèvre chaud e ti delizi al finale con un cremoso Saint Marcellin. L'ambiente è comunque ammiccante, un sacco di ragazzi giovani che girano e che in effetti mantengono buona parte della città e un'atmosfera piacevole. Pensate un po' ci mancavo da 48 anni, perché Lione rappresenta la mia prima uscita fuori dei patri confini, quando a 16 anni, con l'amico Andrea, all'improvviso decidemmo di prendere un treno per andare a trovare una ragazzotta che trascorreva le ferie estive in Italia.


Non so ma allora sembrava tutto semplice, partivi con un foglietto in tasca con l'indirizzo scritto malamente e manco pensavi a dove saresti andato a dormire; infatti finì che la sua famiglia dovette ospitarci due giorni. E' che le cose si facevano un po' così, senza stare tanto a pensarle; mica come adesso che non ti muovi senza GPS, telefonini a gogo, prenotazione via internet, dai il numero della carta di credito se no guai a te, niente sconto. Il movimento è cambiato; chissà se i ragazzi però mantengono le stesse sensazioni di stupore di fronte al nuovo che ci frastornavano allora. A prima vista la mia bambina pareva tranquilla e bene impostata; il fatto di dover rimanere da quelle parti per metà di un anno non sembrava dare preoccupazioni, anzi ho letto un certo entusiasmo. Forse i tempi cambiano, ma la voglia e la curiosità di vedere quello che c'è dietro la collina non muoiono mai. Chissà se mio papà stava a casa ad aspettare di sapere come era andata, quando sarei tornato a casa, se c'erano dei problemi. Certo quando sei da questa parte è diverso e pensare che allora non c'erano neanche i telefonini!

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Urali                                                            

venerdì 7 gennaio 2011

Parcheggiare a Lione.

La pratica Lione è ormai archiviata, nel senso che orami siamo tornati a casa e rimaniamo fissi davanti al monitor del PC con l'occhio umido in attesa che la piccina si colleghi a Skype. Va beh non esageriamo, è solo questione di farci l'abitudine. Intanto vi dirò che sono esausto, non so perchè ma non ho voglia di alzare paglia, pensa un po' se dovessi lavorare. Sarà perchè ho ancora l'idea di dover caricare e scaricare tutti i bagagli della spedizione, valige, materiali vari, vestiti, scarpe, accidenti quante scarpe, ma quanti piedi avrà mai mia figlia.


Certo, il tour lionese mi ha provato, anche perchè l'ho trascorso quasi tutto in macchina a spostarmi da una parte all'altra della città a fare commissioni, cosa che fa risparmiare un sacco di soldi, ho visto. Il problema in quella città è lasciare la macchina ferma, in qualunque posto. Come cali giù, scattano immediatamente dei costi di sosta terrificanti, da farti levar la voglia di averla una macchina. Così conviene girare continuamente, almeno paghi solo la benzina. Comunque adesso che gli effetti magici del triangolo satanico si sono quasi esauriti, potrei concludere che più che magia si è trattato di illusionismo, nel senso che senza accorgermene mi sono ritrovato a casa col portafoglio vuoto, paga di qui, paga di là che ci vuoi fare. Intanto torniamo alle vecchie abitudini del tutte le feste le porta via, finiti i dolci, riprendono la palestra e gli altri appuntamenti settimanali, le giornate grige e il callo nel mignolino. L'uomo è un animale abitudinario. Se gli togli i suoi appuntamenti si sente sperduto come Pollicino nel bosco. Bene vi prometto che nei prossimi giorni torneremo ad una serie di post più regolare e serio, come del resto è nel mio patrimonio genetico. Intanto vado a farmi un caffé per rimanere sveglio, poi si vedrà.



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giovedì 6 gennaio 2011

Recensione : Eco - Il cimitero di Praga.

Dopo Torino e Lione, stamattina con le ultime 50 pagine del Cimitero di Praga, si è concluso il mio personale triangolo magico. Come sempre Eco, il mio buon conterraneo, non mi ha deluso, anzi, questo lavoro mi sembra uno dei meglio riusciti, così preciso nell'utilizzazione puntigliosa di documenti reali a cui la sua passione di bibliofilo avrà di certo contribuito a far sfogliare e mescolare con il godimento del collezionista che contempla i suoi pezzi più rari. Un aspetto minore, ma non per questo meno piacevole è l'attenzione dedicata all'aspetto culinario di una cucina francese che metteva le basi della sua fama futura, descritta con una convinzione ed un apprezzamento che non gli conoscevo e che me lo rende ancor più vicino, se possibile.

Piacere che non si può non provare poi, nell'osservazione dell'abbondante iconografia, anch'essa proveniente dalle sue collezioni, che completa un opera, che sebbene possa apparire ponderosa, scorre tuttavia veloce nella lettura come un ottocentesco macabro romanzo d'appendice. Maestro nella ricostruzione delle atmosfere, la creazione del formidabile personaggio del capitano Simonini, orrenda sintesi di tutti gli orrori possibili, coacervo di nequizie tali da farlo apparire esagerato, si dipana nel racconto in maniera talmente azzeccata e realistica da porla naturalmente a paragone di ogni evento successivo, mostrando come ogni cosa apparentemente troppo mostruosa per poter accadere, accade poi con naturalezza nella realtà, nei tempi successivi. Questo protagonista, l'unico inventato del romanzo è in realtà un collage di personaggi reali e i crimini che commette sono stati eseguiti davvero, così può accadere che l'unico personaggio falso sia il più vero di tutti, un archetipo in teoria incredibile, ma che se confrontato, assomiglia in maniera imbarazzante a tanti che agiscono oggi tra di noi, nella generale accondiscendenza.

Gli eventi della storia così come sono avvenuti, conducono ad esiti obbligati, per quanto mostruosi e a quanti poi, stupiti si chiedano come sia possibile arrivare a tanto, come abbia potuto la gente non accorgersi di quanto stava accadendo, basta rivolgere lo sguardo poco addietro per capire come il mostro gradualmente si genera e cresce. Un libro che dipinge un affresco demoniaco sul tema del razzismo, germe satanico così geneticamente pervasivo nell'uomo, così spaventosamente odierno, un opera in cui basta saper leggere tra le righe, oltre che per godere dei dotti e fini riferimenti storici e letterari, per poter riconoscere facilmente i sentori che ci circondano nei fatti preoccupanti di questo nostro quotidiano troppo spesso accantonati con sufficienza. E' incredibile riconoscere nelle parole e negli atteggiamenti reali di oltre un secolo fa toni, intendimenti e addirittura sfumature assolutamente attuali. Leggetelo con attenzione, sono certo che non ne rimarrete delusi.


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mercoledì 5 gennaio 2011

Crêpes au Grand Marnier.

Chissà se è la nebbiolina leggera che sale dal Rodano o l'umidità densa della Saôna che aggredisce la città vecchia nascondendoti parzialmente la collina, da cui emerge come una fantasima la sagoma di Notre Dame de Fourvière oppure sarà il tocco di nera magia che ti sfiora le ossa, ma accidenti, fa freddo a Lione. Non puoi sgranocchiarti una crêpe al Grand Marnier all'aperto guardando i bei palazzi dei lungofiume, devi giocoforza rintanarti in qualche Bouchon Lyonnais o in qualche piccolo bistrot, intorno ad un tavolino lillipuziano alla francese. La sera provi qualche specialità locale, l'andouillette o un crouton avec chèvre chaud e ti delizi al finale con un cremoso Saint Marcellin. L'ambiente è comunque amiccante, un sacco di ragazzi giovani che girano e che in effetti mantengono buona parte della città e un'atmosfera piacevole. Pensate un po' ci mancavo da 48 anni, perchè Lione rappresenta la mia prima uscita fuori dei patrii confini, quando a 16 anni, con l'amico Andrea, quando all'improvviso decidemmo di prendere un treno per andare a trovare una ragazzotta che trascorreva le ferie estive in Italia.


Non so ma allora sembrava tutto semplice, partivi con un foglietto in tasca con l'indirizzo scritto malamente e manco pensavi a dove saresti andato a dormire; infatti finì che la sua famiglia dovette ospitarci due giorni. E' che le cose si facevano un po' così, senza stare tanto a pensarle; mica come adesso che non ti muovi senza GPS, telefonini a gogo, prenotazione via internet, dai il numero della carta di credito se no guai a te, niente sconto. Il movimento è cambiato; chissà se i ragazzi però mantengono le stesse sensazioni di stupore di fronte al nuovo che ci frastornavano allora. A prima vista la mia bambina pareva tranquilla e bene impostata; il fatto di dover rimanere da quelle parti per metà di un anno non sembrava dare preoccupazioni, anzi ho letto un certo entusiasmo. Forse i tempi cambiano, ma la voglia e la curiosità di vedere quello che c'è dietro la collina non muoiono mai. Chissà se mio papà stava a casa ad aspettare di sapere come era andata, quando sarei tornato a casa, se c'erano dei problemi. Certo quando sei da questa parte è diverso e pensare che allora non c'erano neanche i telefonini!






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